Era passato molto tempo da quel lontano 1525 in cui Albrecht Hohenzollern, ultimo Hochmeister dell’Ordine Teutonico sul Baltico, aveva abbracciato il protestantesimo e secolarizzato i domini dei monaci-cavalieri, fondando il ducato di Prussia.
Due secoli dopo i suoi discendenti erano diventati Re in Prussia e Kurfürst – Principi-Elettori – del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica per il Brandeburgo. Avevano preso parte alla sanguinosa ed estenuante Guerra dei Trent’anni (1618-1648), il conflitto religioso più crudele che mai l’Europa aveva visto, guadagnando alcune terre in Pomerania e una certa nomea militare, rimanendo comunque una potenza di secondo piano nel grande scacchiere continentale.
Tutto questo sarebbe cambiato dopo il 1740, quando il ventottenne Friedrich salì sul trono del padre Friedrich Wilhelm (i monarchi hanno sempre avuto pochissima fantasia con i nomi e se non ci credete andate a guardarvi la dinastia di Costantino o i discendenti di Carlo Magno).
Il giovane Friedrich aveva una personalità molto particolare per l’epoca, frutto dello strano connubio tra un padre severo e militarista (chiamato da tutti il “Re soldato” per la cura maniacale delle sue forze armate, con cui paradossalmente non aveva mai fatto una guerra) e una madre, Sophie Dorothea di Hannover, donna di grande sensibilità e cultura, che lo introdusse alla lettura, alla musica, alla filosofia e al francese, lingua degli intellettuali per eccellenza all’epoca.
Friedrich si appassionò talmente tanto a queste materie da spaventare il padre, che temeva ammorbidissero troppo l’animo del principe ereditario, che lui voleva a capo dello Stato e dell’esercito. Perciò provvide rapidamente ad un cambio di registro formativo: esercizi fisici durissimi, studio di matematica (ottima per comprendere l’uso dell’artiglieria in battaglia, come dimostrò anni dopo Napoleone Bonaparte), economia politica, arte del governo e Sacra Scrittura (rigorosamente protestante).
In un primo momento questa imposizione sembrò venire rigettata. Al giovane Friedrich l’esercito non piaceva, era scomodo e poco raffinato, mentre lui desiderava dedicarsi all’arte, alla cultura e alla vita godereccia per cui la Parigi di quegli anni era famosa.
Nel 1730, a diciotto anni, il principe tentò una fuga dall’autoritarismo paterno con l’amico Hans Hermann von Katte, tentativo che finì nel peggiore dei modi: catturati e riconsegnati nelle mani del sovrano, Friedrich dovette assistere all’esecuzione per il reato di diserzione dell’amico Hans a Küstrin e rischiò anch’egli la pena di morte, ma alla fine il padre fu dissuaso nei suoi feroci propositi dai suoi ministri, orripilati dall’idea di veder giustiziato l’erede al trono.
Sconvolto dalle conseguenze della sua iniziativa e dal comportamento del padre (che ormai odiava profondamente), si gettò nella letteratura. In quegli anni di semi-esilio nella sua residenza preferita di Sans-Souci – dal francese “senza pensieri”, la versione settecentesca di Hakuna Matata – il ragazzo divenne uomo, scrisse opere di diverso tipo (saggi, poesie e sinfonie) e iniziò un’amicizia per corrispondenza con il filosofo francese Voltaire.
Neanche il matrimonio rasserenò il suo animo tormentato: nel 1733 fu fatto sposare per ragioni di equilibri internazionali alla principessa protestante Elisabeth Christine, figlia del Duca di Brunswick, dalla quale non ebbe figli e con cui visse tutta la vita da separato. Lo stesso Friedrich disse alla sorella maggiore Wilhelmine “Tra noi non può esserci né amicizia né tantomeno amore” e quando salì al trono giunse a dotarla di un apposito palazzo ben lontano dalla sua corte di Potsdam, a cui le proibì per buona misura di recarsi.
C’era una sola cosa che poteva cambiare questo stato di cose: la morte del detestato padre. Il 31 maggio 1740 il “Re soldato” passava a miglior vita con grande soddisfazione del figlio, che lo scrisse in una delle sue numerose lettere. Ma qui avvenne una trasformazione surreale: il giovane principe filosofo, amante delle arti e avverso all’arte del governo, smise i panni dell’intellettuale e mise quelli del sovrano. A quanto pare la rigida educazione paterna aveva avuto una presa ben maggiore di quanto tutti si erano aspettati (forse perfino Friedrich) e attendeva silente il momento di uscir fuori dalla coperta illuminista che il giovane si era stretto addosso per tutti quegli anni.
“Spero che i posteri, per cui scrivo, sapranno distinguere in me il filosofo dal principe, l’uomo integro dal politico”
Federico II
Il sovrano appena incoronato a Berlino regnava su tutta una serie di domini sparpagliati nel nord e mal collegati tra loro: il ducato di Cleves e le contee di Mark e Ravensburg a ovest, il Brandeburgo e buona parte della Pomerania al centro, oltre che il ducato di Prussia molto ad est, da cui era diviso a causa delle terre polacco-lituane che si affacciavano sul Baltico.
Friedrich, secondo del suo nome, decise che questa situazione doveva cambiare. Il principe filosofo diventava il re guerriero che il padre non era mai stato. Se negli anni giovanili aveva scritto l’Antimacchiavelli, un’opera dove criticava l’ipocrisia e il cinismo dei politici, nei suoi anni di regno mostrò fin da subito di possederne a bizzeffe dentro di sé, mettendo la ragion di Stato davanti a tutto, compresa l’etica e la morale.
Karl VI Habsburg, Imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, morì pochi mesi dopo la sua ascesa al trono. Non aveva eredi maschi e lasciava i suoi vasti domini, che spaziavano dalla Boemia fino all’Ungheria, dai Paesi Bassi a Milano e Napoli, in successione alla figlia Maria Theresia. La posizione della giovane monarca era debole, in quanto prima donna a salire sul trono d’Austria e Friedrich ne approfittò subito, invadendo la ricca regione della Slesia e annettendola manu militari senza neanche presentare una dichiarazione di guerra, come richiesto dalle consuetudini formali del tempo.
Il nuovo Re di Prussia aveva calcolato che la Russia non si sarebbe mossa perché in piena reggenza, con il sovrano Ivan in tenera età, mentre tutti gli altri Stati avrebbero visto di buon grado un indebolimento dell’Austria, la grande superpotenza continentale dell’epoca insieme alla Francia.
Il conflitto durò due anni, fino al 1742, e fu la prova del fuoco per il giovane Friedrich, che combatté e vinse le sue prime battaglie campali presso Mollwitz e Chotusitz. Per raggiungere i suoi obiettivi il sovrano tirò fuori la sua vena fortemente spregiudicata, intrecciando rapporti e alleanze con i nemici storici dell’Austria (Francia e Baviera) per rafforzare la sua posizione, ma una volta ottenuto quello che voleva (nello specifico la cessione della Slesia da parte di Maria Theresia) li abbandonò al loro destino senza dare loro nemmeno il minimo preavviso.
Eppure il valzer delle alleanze lo costrinse di nuovo alla guerra, quando si accorse che la sovrana stava rimettendo in sesto il suo dominio, sconfiggendo i nemici francesi e rafforzandosi militarmente. Per questa ragione nel 1744 si alleò nuovamente in segreto con la Francia (che non aveva ancora compreso fino in fondo il nuovo monarca prussiano) e invase repentinamente la Boemia, scatenando la Seconda Guerra di Slesia.
Questa volta Friedrich se la vide brutta perché i francesi vennero paralizzati in Olanda mentre nel gennaio del 1745 Austria, Gran Bretagna, Repubblica delle Sette Province Unite e Sassonia si coalizzarono contrò di lui. Il Re e i suoi generali dovettero combattere ben tre grandi battaglie a Hohenfriedberg, Soor e Kesseldorf, oltre che invadere e conquistare la capitale sassone di Dresda, per far sedere al tavolo delle trattative un’inviperita Maria Theresia.
Con la Pace di Aquisgrana del 1748 Friedrich riconosceva i diritti di successione di quest’ultima in cambio del dominio prussiano sulla Slesia. Il monarca era fiero e soddisfatto, visto che con il suo colpo di mano si era aggiudicato una regione che era grande quanto 1/4 del suo regno, con terre ricche di campi coltivati, miniere e un milione di prosperi abitanti che si aggiunsero ai suoi pochi sudditi, ma si era fatto una nemica che lo perseguiterà per molto tempo.
Maria Theresia aveva infatti la memoria (e il rancore) lunga e definì per tutta la vita Friedrich come “Il brigante di Potsdam”. Sostenuta dal suo uomo di fiducia, il consigliere Wenzel Anton von Kaunitz, quest’ultima giunse a stringere un’alleanza con la Francia, suo antico nemico, per spazzar via l’ambizioso staterello prussiano dal continente. Per tutti i primi anni ’50 del 1700 la diplomazia segreta austriaca andò a tessere una trama che legava Austria, Francia, Sassonia e Russia per smembrare i domini di Friedrich, che aveva come unico alleato la ricca ma lontana Gran Bretagna.
Questa imponente coalizione aveva i numeri per stritolare il piccolo regno, ma non teneva conto di due cose: la superba macchina da guerra prussiana, un esercito super-addestrato e motivato, e la genialità e spregiudicatezza di Friedrich, che alle sue qualità tedesche di organizzatore e pianificatore univa un estro creativo e una determinazione che si riaffacceranno in un condottiero militare solo con Napoleone Bonaparte.
La Guerra dei Sette Anni (1756-1763) fu la prima vera e propria guerra mondiale della storia (combattuta in Europa, India e America) e consacrò sorprendentemente la Gran Bretagna come prima potenza globale e la Prussia come nuova potenza del continente, ma il suo esito fu in bilico fino alla fine.
Friedrich, ormai consapevole del cappio diplomatico che si stava stringendo sul suo collo, decise come suo solito di agire in anticipo: senza dichiarazione di guerra invase la Sassonia, alleata dell’Austria ma rimasta neutrale al conflitto. Con quest’ennesimo atto spregiudicato (condannato da tutte le cancellerie europee) si annesse manu militari l’intero paese, confiscò il tesoro per finanziare la guerra e arruolò forzatamente l’intera armata sassone nel suo esercito (quest’ultima decisione fu la meno felice, perché la maggior parte dei soldati diserterà quasi subito, in odio agli invasori prussiani).
Subito dopo invase la Boemia, puntando su Praga per utilizzarla come trampolino di lancio per minacciare Vienna.
Queste operazioni, unite alla buona abilità difensiva del Feldmarschall von Daun e ad un esercito meno addestrato ma molto più numeroso, diedero il tempo alla coalizione anti-Friedrich di rafforzarsi e aggiungere nuovi alleati alle sue fila: francesi, russi, polacchi, svedesi, sassoni, austriaci e i principi tedeschi armarono grandi eserciti e li scagliarono uno dopo l’altro, anno dopo anno, contro le piccole armate prussiane.
Iniziò un carosello che si ripeté come un copione per tutto il conflitto: all’inizio di ogni anno la Prussia si ritrovava infatti ad avere a che fare con forze numericamente superiori, mentre al termine dell’anno la grande strategia federiciana riportava con una battaglia la situazione alla stabilità.
Inutile mettersi a raccontare tutte le battaglie con le loro alterne fortune, basta menzionarne due: Rossbach e Leuthen, dove il condottiero inflisse due sconfitte decisive agli alleati con forze molto inferiori, scrivendo pagine e pagine di storia militare e ispirando persino il giovane Napoleone, oltre che tanti strateghi e generali fino ai giorni nostri.
Nonostante queste vittorie il destino della Prussia sarebbe stato segnato se nel 1762 non fosse salito sul trono di Russia Pyotr III, che era un vero e proprio fan fanatico ante litteram delle imprese militari di Friedrich. In soli sei mesi di regno, poi venne deposto dalla moglie Ekaterina, rivoluzionò l’intera politica estera russa, restituendo la Prussia orientale a Friedrich e alleandosi con lui contro l’Austria.
Questo permise al monarca prussiano di cogliere un’ultima, decisiva vittoria a Burkerdorf nel luglio del 1762, con cui poté sedersi al tavolo delle trattative da vincente e ottenere il tanto sospirato rango di potenza di primo piano europea assieme a Francia, Gran Bretagna, Austria e Russia.
Da quello storico momento fino alla morte nel 1786, il sovrano si impegnò a rafforzare e potenziare quello che aveva creato in oltre vent’anni di guerra. Fu la perfetta incarnazione del monarca assolutista illuminato, un padre-padrone benevolo che fece riforme importanti senza aver bisogno di un Parlamento, curando l’amministrazione, lo sviluppo e il benessere del paese con una forma mentis che individuava nel monarca il primo servitore dello Stato.
“La corona è soltanto un cappello che lascia passare la pioggia”
Federico II di Prussia
La sua fu la prima nazione europea ad introdurre, nel 1763, l’istruzione elementare obbligatoria. Aveva compreso bene che un popolo acculturato avrebbe fornito sudditi migliori alla corona, che avrebbero generato ricchezza e quell’ossatura di sana burocrazia laica che incentiva lo sviluppo di ogni paese moderno.
Finanziò e promosse l’Accademia di Berlino, dove invitò i più grandi illuministi francesi e concesse una completa libertà di opinione, cosa, anche questa, rivoluzionaria per quell’epoca. Fondò una cappella musicale a Berlino e la capitale divenne il principale centro musicale germanico. Semplificò anche il sistema giudiziario, approntando un codice di leggi che introdussero il moderno Stato di Diritto. Abolì la tortura e fece riconoscere all’interno dei processi maggiori diritti all’accusato, forse memore dell’esperienza vissuta in gioventù con il suo amico von Katte.
Agì anche in economia, favorendo lo sviluppo delle attività manifatturiere e l’incremento della colonizzazione contadina delle province orientali grazie all’accoglienza di tutti i perseguitati europei in materia religiosa, riuscendo a far trasferire in Prussia circa 500.000 nuovi abitanti. La piena e assoluta libertà di culto fu uno dei baluardi del suo paese.
Grande successo ebbe la sua riforma agraria, che permise, grazie all’introduzione dei magazzini statali, di evitare le carestie, nutrire i soldati durante le campagne evitando i saccheggi, e di controllare il prezzo del grano. Fu sempre lui, tra l’altro, ad introdurre la patata nell’alimentazione tedesca. Incentivò la coltura del tubero per il suo elevato rendimento: questo gli permise di nutrire bene i suoi soldati nelle campagne belliche. Infine migliorò le tecniche di coltivazione, bonificò e disboscò numerosi terreni, aumentando notevolmente la produzione agricola.
Per quanto riguarda il settore industriale, egli riuscì prima di tutto a portare le attività manifatturiere già esistenti da livelli di scarsa produttività alla prosperità, mentre gettava le basi di nuovi rami industriali che ebbero grande sviluppo in seguito, come per le miniere in Slesia.
Con tutte queste riforme portò il bilancio statale da passivo ad attivo, con un surplus di 3 milioni di talleri ogni anno.
La voce più potente delle spese era ovviamente l’esercito, che assorbiva l’80% delle finanze della Prussia. Friedrich riuscì inoltre nell’impresa di trasformare la nobiltà terriera in un’aristocrazia militare (i famosi Junker) profondamente legata al suo principe, pronta a servire con onore e dovere sia in guerra (come ufficiali e generali) che in pace (come diplomatici o ministri).
Alla sua morte le forze armate prussiane contavano 195.000 uomini (più del 3% dell’intera popolazione, il doppio in proporzione a grandi potenze come la Francia o l’Austria), cosa che ne fece l’elemento portante del paese e della monarchia, tanto da far dire all’aristocratico francese Honoré de Mirabeau, nel suo trattato del 1788 sulla monarchia prussiana “Molti Stati dispongono di un esercito, l’esercito prussiano dispone invece di uno Stato”.
Fu questa la più grande eredità di Friedrich, che venne raccolta da Otto von Bismarck quando nel secolo successivo plasmò il grande Impero Tedesco con l’acciaio delle baionette e il fuoco dei cannoni.
Alberto Massaiu
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