Il Nazionalsocialismo è uno dei temi più trattati in ambito storico. La maggior parte delle persone sul pianeta lo guarda con un misto di paura, disgusto e odio, una piccola parte con nostalgia, un’altra ancora lo sfrutta a fini commerciali (fare un documentario o un film con dei nazisti è pubblico assicurato) e infine c’è una minuscola percentuale che cerca di studiarlo in maniera oggettiva, come fenomeno sociale, cercando di capire, al di là delle facili semplificazioni della comunicazione di massa, su che basi è nato, si è sviluppato e in ultimo affermato.
Ho sempre pensato che per comprendere bene la storia bisogna immergersi nel substrato culturale di quella determinata area geografica in quel determinato lasso di tempo. Il problema dei nostri tempi, invece, è che la maggior parte delle persone tende a giudicare personaggi o accadimenti del passato attraverso i valori e i principi che noi diamo oggi per scontati, ma che fino a pochi decenni fa non lo erano per nulla.
Facendo una lieve uscita dal topic dell’articolo voglio evidenziare che nei suoi 5.000 anni di storia “civile”, intendendo per civiltà la nascita della scrittura, anche il più basilare “diritto alla vita” ha visto centinaia di modifiche a seconda del luogo e del tempo. I sacrifici umani per placare gli dei non sono un’invenzione del cinema e, in alcune aree del globo, sono rimasti in auge fino al XIX secolo. La schiavitù, per quanto abolita formalmente sempre in quel periodo, ancora perdura in forme più subdole e forse persino più inumane in tanti paesi. La preservazione dell’esistenza umana è rigettata persino in paesi democraticissimi come gli Stati Uniti, che ancora oggi iniettano veleni letali agli assassini di fronte alle famiglie delle vittime, come una sorta di vendetta mascherata da giustizia dello Stato.
Per questo, ritornando al tema di oggi, cercherò di analizzare a mente fredda quelli che, a mio parere, sono stati gli elementi che, partendo da molto prima della nascita di Adolf Hitler stesso, sono andati a confluire nella forza espansiva dell’ideologia che perfezionò e di cui divenne il più grande promotore.
L’argomento è vasto e potrebbe riempire libri su libri, perciò lo spezzetterò in più articoli qui sul blog, facendomi guidare anche da eventuali suggerimenti e proposte che usciranno fuori dallo scambio che si svilupperà con voi lettori.
Detto questo, partiamo.
Per capire la Germania del Führer bisogna tornare a quella del primo, grande, Reichkanzler, Otto von Bismarck. Come ho avuto modo di scrivere nel mio articolo sull’argomento (leggi qui), tra il 1866 e il 1871 la Prussia forgiò una nuova nazione con il fuoco dei cannoni, l’acciaio delle baionette e il sangue di decine di migliaia di soldati tra tedeschi, austro-ungarici e francesi.
La potenza della macchina militare creata da Helmuth von Moltke e Albrecht von Roon aveva assunto, sconfiggendo le due più grandi potenze continentali di Austria e Francia, un prestigio raramente visto prima. Il suo modello organizzativo, lo Stato Maggiore, l’addestramento, le tattiche vennero copiati da ogni altro paese in via di espansione, giungendo fino in Giappone, dove istruttori tedeschi insegnavano come usare le più recenti innovazioni belliche ai soldati del Sol Levante.
Ci fu, insomma, una mitizzazione dell’uso della forza come massimo strumento risolutore delle controversie internazionali. In più, con la sua popolazione di 67 milioni di abitanti, la prima sul continente escludendo il gigante russo, la nuova Germania poteva vantare non solo sull’esercito più grande e meglio addestrato al mondo, ma anche sull’economia più florida.
Altro aspetto importante fu la “militarizzazione” della società. I sottoufficiali dell’esercito avevano infatti diritto, una volta concluso il periodo di ferma, ad un posto nella pubblica amministrazione dello Stato federale. Per questo la percentuale di ex soldati nella polizia, negli uffici postali, nelle ferrovie e in ogni altra grande infrastruttura pubblica era altissima, portando con sé un’impostazione mentale basata sui codici militari, sul rispetto di regolamenti e leggi, sulla disciplina, sull’onore, sull’esaltazione del concetto di patria e, in misura che andò aumentando sotto il regno di Wilhelm II, di germanesimo sciovinista.
Questa visione dei tedeschi visti come più civili e superiori agli altri popoli era fondata non solo sulla totale supremazia militare nella Mitteleuropa, ma anche sugli straordinari successi in economia. Nelle fabbriche e nelle miniere tedesche erano prodotti i 2/3 dell’acciaio di tutto il continente ed era estratta la metà del carbone e della lignite. In un settore all’avanguardia come la creazione di energia elettrica, vitale per l’esplosiva crescita dell’Occidente, la Germania superava del 20% la produzione di Gran Bretagna, Francia e Italia messe assieme. Perfino nel settore primario, grazie alla meccanizzazione e ai fertilizzanti ideati da aziende germaniche, il paese deteneva primati su primati.
Nomi come Krupp, Thyssen, Siemens, AEG (Allgemeine Elektricitäts-Gesellschaft), Hoechst e BASF (base del futuro colosso della chimica IG Farben) si affermarono in Europa e oltremare come sinonimi di alta qualità, eccellenza tecnica e innovazione.
A queste basi ancorate a dati reali, si stava affiancando un mix di fattori spirituali e una riflessione culturale presente anche in altri paesi nordici come la Gran Bretagna, divisi tra il positivismo rampante derivante dalle continue scoperte scientifiche e le paure che la nuova società industriale e globalizzata generava con il suo inquinamento, il disagio sociale, il proletariato insofferente e l’aumentare di istanze socialiste e/o anarchiche che minacciavano l’ordine sociale della Belle Époque.
Le classi privilegiate di aristocratici nel loro autunno dorato si mischiavano ai grandi industriali e all’alta borghesia e tutti cercavano di recuperare, in un mondo sempre più materialista, passioni romantiche che spesso sconfinavano nella più bassa creduloneria, come lo spiritismo e l’attrazione morbosa per il macabro, la letteratura gotica, l’aldilà, l’esoterismo.
Se per moltissimi privilegiati queste attività risultavano come meri hobby, per alcuni il ritorno al passato – da rivisitare in chiave moderna – divenne una missione. Alcuni studiosi definiscono la Germania di Wilhelm II, soprattutto quella post-Bismarck, un sistema neo-feudale, dove i nobili junker e in genere i nobili tedeschi cercarono, attraverso la politica di potenza e il nazionalismo, di unire le masse borghesi, contadine e operaie sotto un ombrello di onore, prestigio e ambizione che allontanasse le istanze socialiste, temutissime in tutto il continente, che all’alba del 1914 aveva al suo vertice solo re, principi e imperatori, con la sola grande eccezione della Francia.
Altro aspetto interessante, nei giovani vissuti nella glorificazione (e nell’invidia) di non aver partecipato alle sanguinose ma epiche battaglie dell’unificazione, fu la crescita di valori guerrieri di stampo cavalleresco. Nelle università crebbero a dismisura, ispirate anche dai principi di elitarismo spirituale estrapolati da una determinata lettura di Nietzsche, le associazioni, i circoli e le confraternite – già esistenti da almeno un secolo – dei duellanti, a cui si affiancarono quelle di escursionisti, esoteristi e in genere appassionati della storia e delle tradizioni tedesche. Il mito germanico-ariano iniziò a svilupparsi molto prima della fatidica nottata in una birreria di Monaco del 1919, e lo fu nelle aule universitarie, nelle birrerie, nei caffè e nelle foreste dove questi giovani si incontravano, discutevano, si battevano e si preparavano ad una grande, ultima conflagrazione che gli avrebbe resi degli eroi, consegnando il mondo alla Germania.
Questi studenti delle classi ’80 e ’90 di fine XIX secolo disprezzavano l’appiattimento della politica politicata, l’ipocrisia della morale comune e l’affettazione degli adulti borghesi, giudicata troppo tiepida rispetto ai loro sogni di gloria. Lo Stato, per loro, andava riorganizzato in una forma non più democratica, ma elitaria, razzisticamente pura, governato da uomini giovani, uniti da alti ideali, dalla fede nazionale, pronti a donare la vita per la patria.
Per questo si rispolverarono i passi di Tacito che sono spesso associati all’ideologia nazista, ma che in verità vennero esaltati dagli storici nazionalisti tedeschi ben prima, come il celebre passaggio:
“ Personalmente inclino verso l’opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania non siano contaminati da incroci con gente di altra stirpe e che si siano mantenuti una razza a sè, indipendente, con caratteri propri. Per questo anche il tipo fisico, benchè così numerosa sia la popolazione, è eguale in tutti: occhi azzurri d’intensa fierezza, chiome rossicce, corporature gigantesche, adatte solo all’assalto […] ”
Tacito, De origine et situ Germanorum
Questa “non contaminazione” e “purezza” furono strumentalizzati in seguito anche dai nazionalsocialisti, ma i primi gruppi a teorizzare una razza ariana germanica, a rispolverare lo studio delle rune, a realizzare i primi raduni intorno al fuoco, ad adorare il sole e perfino ad utilizzare la svastica come simbolo benaugurale indiano precristiano furono operarono a cavallo della nascita e infanzia di Adolf Hitler.
Certamente fu la lettura di molti di questi scritti, compresi quelli antisemiti (diffusi in tutta Europa, non solo in Germania), ad influenzare il futuro leader tedesco, ma qui ci tengo ad evidenziare il punto, che passa troppo spesso in cavalleria, che egli non inventò di sana pianta un modo di vedere il mondo, e i tedeschi non ammattirono tutti di colpo, contagiati da una febbre momentanea, ma che il processo fu lungo, diffuso, sfaccettato e soprattutto accettato da gran parte della popolazione europea dell’epoca in varie forme, che poi si condensarono in un unico paiolo dove attinse a piena mani il sistema ideologico-culturale nazionalsocialista.
Ultimo punto per concludere questa prima sezione dell’argomento, che fa da perfetta chiusura a quanto detto fino ad ora, è l’analisi di un manifesto – in forma di pamphlet – che fece grande scalpore in tutta la Germania e che, in un certo qual modo, indica che in molti potevano trasformarsi in futuri Führer.
Nel 1912, poco prima dello scoppio della Grande Guerra, uscì infatti “Wenn ich der Kaiser wär”, traducibile in “Se io fossi il Kaiser”, scritto dal presidente della Lega Pangermanica Heinrich Class. Egli identificò una serie di topoi che non farete fatica a ricollegare a qualcuno di più conosciuto.
Si partiva in primo luogo da una critica alla politica del Kaiser, definita troppo “molle”. La Germania, infatti, era circondata da nemici esterni ed interni che la invidiavano e volevano distruggerla. Non potendoci riuscire faccia a faccia sul campo, puntavano ad indebolirla lentamente, mediante le istanze socialdemocratiche e l’influenza ebraica che corrompeva l’arte, la cultura e il popolo tedesco. L’unica soluzione con questi avversari era togliere loro il lavoro, specialmente i pubblici impieghi, poi la cittadinanza e infine espellerli dal Reich.
In più si sarebbe dovuto abbandonare il perbenismo democratico per ritornare ad un sistema sano ed elitario dove al Reichstag – il Parlamento – sarebbero stati eletti solo tedeschi di sangue puro e di cultura superiore come i nobili, i grandi proprietari terrieri, i potenti industriali e gli accademici nazionalisti, mentre le masse sarebbero state allontanate dagli afflati socialisti grazie ad un sofisticato sistema che avrebbe unito raduni politici nazionalisti o cortei militari.
In seguito ci si sarebbe occupati definitivamente dei nemici esterni, dopo un adeguato aumento degli armamenti per vincere la futura guerra europea che avrebbe donato la pace tedesca al mondo. Nei suoi piani napoleonici Class prevedeva uno spazio vitale composto dall’annessione di Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Austria (popolati da tedeschi o da loro lontani parenti), a cui si sarebbe aggiunta per motivi strategici la Romania tutte le colonie dei paesi conquistati come il Congo belga o l’Indonesia olandese, cosa che avrebbe garantito alla Germania anche quella base per mettersi al pari con la rivale Gran Bretagna sul piano globale.
Queste, lo ricordo ancora, sono parole e progetti scritti nel 1912, non nel 1923, nel 1933 o nel 1939-40. In più, se si vanno ad analizzare i piani di riassestamento europeo ideati dallo Stato Maggiore germanico e dall’entourage del Kaiser Wilhelm poco prima e durante il primo conflitto mondiale, non ci discostiamo di molto, anzi dovremmo aggiungere gli Stati baltici, la Polonia, l’Ucraina e perfino il Caucaso.
Insomma perfino la paternità del concetto di “drang nach osten” viene soffiata agli ideologi del Terzo Reich, per essere trasportata indietro di almeno un decennio.
Vorrei chiudere questa prima parte con un ultimo inciso, per riequilibrare l’opinione che qualcuno potrebbe farsi della Germania, appoggiandosi a tutto quello che di male è stato scritto solo ed unicamente su di lei tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.
Tutte le potenze europee a cavallo tra ‘800 e primissimo ‘900 vivevano processi simili ai tedeschi. La Russia, alleata delle democratiche Francia e Gran Bretagna, era il paese con il più alto numero di pogrom antisemiti, oltre che baluardo della più retrograda e spietata autocrazia antidemocratica. Fu in Francia e in Gran Bretagna, entrambe padrone di imperi sparsi per il globo, che nacquero le moderne ideologie razziali che teorizzavano la superiorità della razza caucasica bianca rispetto alle altre. Su queste basi i belgi del re Leopold avevano schiavizzato il Congo, portando avanti quello che alcuni studiosi considerano il primo genocidio della storia moderna, anche se ad onor del vero questo primato spetterebbe alla prima democrazia del mondo, gli Stati Uniti, che fondarono il loro esplosivo sviluppo post Guerra Civile sullo sterminio di milioni di nativi pellerossa delle grandi pianure.
Infine tutte le piccole e grandi potenze europee, nessuna esclusa, erano malate di sciovinismo nazionalista e militarista. Ognuna di esse era convinta, al pari dei tedeschi, che solo con la guerra, un’ultima, breve e gloriosa, avrebbero risolto i nodi finali delle loro istanze irredentiste o delle necessità di spazio, risorse e popolazione considerate vitali per lo sviluppo sociale ed economico delle rispettive patrie.
Insomma un bollitore in piena ebollizione che, con due soli proiettili da pochi centesimi esplosi da un giovane serbo-bosniaco, eruttò con una violenza mai vista prima nella storia umana. Un cataclisma che spazzò via la vecchia Europa, creando quella destabilizzazione sociale, economica e spirituale dove si innesterà la seconda parte di questa mia analisi.
Alberto Massaiu
4 Comments
Grazie mille è un “buco”ideologico che ho sempre pensato andasse colmato. Se pubblica un libro o ci sono testi in commercio su ciò ci terrei a saperlo.
Poi una domanda, è possibile parlare oggi di un tentativo di egemonia economica tedesca, e come risolvere la violenza autoreferenziale? Grazie davvero!!!
Grazie per i complimenti 🙂 ad ora non ho scritto un vero e proprio libro, se ti interessa approfondire ti consiglio il bel libro di Richard J. Evans “La nascita del Terzo Reich”. La Germania sta effettivamente creando un blocco di potere (e di ricatto) economico-finanziario di tutto rispetto. Probabilmente hanno compreso che la linea dura, militare, comporta troppi rischi. Molto meglio creare un’egemonia nascosta, ma proprio per questo ancora più forte delle precedenti, troppo palesi.
Per una mia convinzione, rintraccerei le radici del nazionalismo e dello sciovinismo europeo, anche nel pensiero filosofico idealista di fine “700. Basterebbe leggere con attenzione ” i discorsi alla nazione tedesca” di Fichte per capire come lo “Spirito del popolo” possa tradursi come primo atto di un nazionalismo ancora non palese nel reale. Per continuare con il concetto di Stato-Nazione espresso da Hegel. E poi prima che movimento culturale, lo stesso romanticismo, rappresenta quella rivalsa politica della Germania nei confronti di una Francia che in nome delle idee repubblicane aveva inferto dure sconfitte all esercito tedesco.
Le radici affondano almeno fino all’epoca romantica. Le suggestioni e le idee gettate a quel tempo maturarono però alla fine del secolo, unendosi a nuove correnti più forti e all’esempio, dato ai giovani, di una grande potenza militare e culturale germanica. L’idealizzazione del periodo bismarckiano fu un altro volano per quello che accadde con la prima e poi con la seconda guerra mondiale.