Tutti sappiamo cosa sono le Crociate. Papa Giovanni Paolo II le ha anche condannate pochi anni prima della sua morte e ha chiesto perdono per i morti causati in nome della Fede. Crociata è un termine posteriore agli eventi, in quanto verrà utilizzato per la prima volta in Spagna solo durante la reconquista tra il XIII e il XV secolo. Il suo significato attuale è dovuto alla scelta fatta dagli storici del settecento, per indicare un periodo di forte spinta religiosa e fanatismo.
Tra le tante crociate, in mezzo ad altalenanti successi e fallimenti, ve ne fu una che si contraddistinse per la ferocia, il totale opportunismo e la cupidigia che infiammò i suoi partecipanti, rendendo impossibile perfino ai contemporanei il mascherare le vere ragioni della spedizione.
Correva l’Anno del Signore 1199 e la terza Crociata era appena fallita. I tre più grandi monarchi della cristianità occidentale, Filippo Augusto di Francia, Riccardo Cuor di Leone d’Inghilterra e Federico Barbarossa di Germania non erano riusciti a coordinare efficacemente i loro poderosi eserciti e avevano perso l’occasione di strappare Gerusalemme al sultano d’Egitto Ṣalāḥ al-Dīn. Dei tre sovrani uno, il Barbarossa, perì annegando nel fiume Saleph in Cilicia, mentre gli altri due tornarono in Europa per azzuffarsi tra loro per dei castelli di confine in Francia.
Il Papa Innocenzo III non era per nulla soddisfatto dello stato delle cose e desiderava ardentemente un’altra sacra spedizione. Ma come fare? Riccardo Cuor di Leone perì poco dopo in una schermaglia senza importanza, a causa di un’infezione sopravvenuta dopo una ferita al braccio; il sovrano di Francia lo aveva appena bloccato lui stesso con un interdetto a causa del ripudio di sua moglie Ingeburge di Danimarca e in Germania i baroni preferivano scannarsi tra loro per il titolo imperiale.
La soluzione giunse con un mix di sacro e profano, infatti al torneo di Écry-sur-Seine (era lo sport più seguito dell’epoca) un infervorato predicatore chiamato Foulques de Neuilly ammaestrò le folle e animò i giovani cavalieri francesi a partire per l’avventura in Terra Santa.
Venne scelto come capo della spedizione lo stesso organizzatore del torneo, il conte Thibaut di Champagne, ma egli dipartì da questo mondo prima di compiere il volere del Signore, e anche solo prima di lasciare la Francia, nel 1201. L’ardua prova venne accollata quindi alla figura di Bonifacio I di Monferrato, con tutti i suoi onori, ma soprattutto, gli oneri.
Venne rispolverato il piano d’attacco utilizzato da Riccardo nella terza Crociata, cioè il viaggio per mare. Ma come trasportare fino ai porti della Palestina i 4.500 cavalieri, i 9.000 scudieri e i 20.000 fanti che in linea teorica dovevano liberare il Santo Sepolcro?
Marsiglia e Genova furono abbastanza accorte da non invitare nei loro sobborghi una tale massa di soldataglia rozza e indisciplinata, ma Venezia accolse le richieste crociate. Naturalmente, da bravi cristiani, affittarono ai crociati una flotta per sole 85.000 marche d’argento imperiali e con la promessa di poter ottenere come proprio il 50% dei territori e del bottino conquistato.
A questi termini i crociati iniziarono a radunarsi a Venezia per il 1202, ma quando il doge Enrico Dandolo andò a batter cassa mancavano 34.000 marche. E dato che un patto è un patto i veneziani rifiutarono di partire. La situazione così peggiorò, con i nobili cavalieri che rubacchiavano, molestavano donne e compivano ogni genere di misfatto nella città, fino a quando i magistrati cittadini non decisero di spedirli al Lido come appestati, affermano le cronache dell’epoca.
Risolto un problema rimaneva il fatto che lo stallo non poteva durare, in quanto gli investimenti della Serenissima erano stati ingenti, ma il doge Enrico trovò una soluzione che avrebbe permesso ai militi di Cristo di partire, ma a due condizioni: i veneziani avrebbero partecipato all’impresa con a capo Enrico Dandolo stesso, e i crociati avrebbero aiutato la città veneta al recupero della ribelle (ma cristianissima!) cittadina di Zara, che si era resa indipendente dal dominio della Serenissima.
Dopo cinque giorni di assedio la cittadina istriana venne assaltata, presa e saccheggiata totalmente.
La Crociata aveva fatto la sua prima vittima, e si era temprata in attesa del gran finale.
Il Papa Innocenzo ebbe il buon gusto di inorridire per il sacco di una città cristiana da parte dei guerrieri della croce, e pertanto scomunicò tutti i suoi membri. I baroni, da gran vigliacchi, dissero che erano stati ricattati dai veneziani e se la cavarono bene, in quanto il Pontefice circoscrisse la scomunica solo a questi ultimi.
Enrico Dandolo, da buon mercante pragmatico quale era, se ne infischiò altamente delle minacce dal Soglio di Pietro e trattò con Philipp di Svevia (un altro illustre appartenente al club degli scomunicati) per far continuare una spedizione che di santo non aveva ormai più nulla. L’astuto doge aveva un vero e proprio asso nella manica da giocare, in quanta a Zara aveva ricevuto un’ambasciata del principe bizantino Alexios Angelos.
Alexios era il classico perdente delle ormai continue lotte di potere per le quali era famosa la corte di Costantinopoli. Il destino di questi sfortunati personaggi era nei migliori casi una vita monacale in un monastero sperduto nelle Isole dei Principi, nei peggiori una morte che andava dall’avvelenamento allo strangolamento.
Quest’ultimo era stato abbastanza fortunato, in quanto si era potuto rifugiare in Germania dal cognato Philipp di Svevia. Una persona accorta avrebbe optato per una vita tranquilla dopo queste premesse, ma lui tentò il tutto per tutto per riottenere il trono di Bisanzio.
La proposta del principe bizantino ai crociati era molto allettante: aiuti militari, denaro e generi di consumo per i membri della spedizione, favorevoli accordi mercantili con Venezia e soprattutto la riunione delle due Chiese, la romana con la bizantina. Con quest’ultimo punto il doge riuscì a mercanteggiare la benedizione papale sul proseguo della Crociata e l’eliminazione della scomunica.
Così l’avventura entrò nella sua fase cruciale, in quanto l’armata cristiana si diresse verso la città più opulenta e sofisticata d’Europa (all’epoca annoverava un milione di abitanti), dove arrivarono il 24 di giugno del 1203.
Ma una brutta sorpresa aspettava i “liberatori”. Infatti la Regina delle Città chiuse le porte e si preparò a resistere. Si dovette fare un vero e proprio assedio, con tanto di assalto finale, per instaurare Alexios IV sul trono.
Allora avvenne la seconda brutta sorpresa.
Un conto è fare delle promesse e un altro il mantenerle. Le casse dell’impero erano vuote, l’unione delle due Chiese era fortemente osteggiata sia dal clero sia dal popolo. I crociati rimanevano accampati fuori delle mura e attendevano una decisione. Alexios cercava di tergiversare e di tacitare i comandanti dei crociati con dispendiosi regali, cosa che ne accentuò la cupidigia. Un ulteriore passo che peggiorò le cose fu l’imposizione di nuove e gravose tasse per racimolare fondi per acquietare i crociati che cominciavano a fare la voce grossa. Il traballante imperatore si fece nemico anche il clero, confiscando i candelabri d’argento delle chiese e dei monasteri cittadini che fece fondere. Lo scontento degli abitanti cresceva nel vedere quei superbi cavalieri che scorazzavano in città. Cominciarono a verificarsi atti di aperta ostilità contro i crociati che si comportavano come fossero i padroni per le strade, offendendo la popolazione ortodossa. Alcuni di essi, che avevano saccheggiato una moschea, vennero aggrediti dal popolino e per ritorsione appiccarono il fuoco ad alcune case. L’incendio si propagò e per giorni una parte di Costantinopoli fu preda delle fiamme.
Come spesso succede per i tiranni che tirano troppo la corda, Alexios venne rovesciato e ucciso da un insurrezione che mise sul trono un altro Alexios, il quinto del suo nome, che apparteneva alla famiglia Doukas. La popolazione si unì compatta sotto il nuovo sovrano, ben conscia di dover resistere ai barbari occidentali.
Il doge e i comandanti crociati avevano infatti un grandioso progetto: assaltare e conquistare Costantinopoli e fondare sulle ceneri dell’Impero Romano d’Oriente un Impero cattolico latino.
La città resistette coraggiosamente, ma alla fine le preponderanti forze crociate conquistarono un tratto delle mura, come era avvenuto a Gerusalemme nel 1099. Ma se i conquistatori della Città Santa erano stati sanguinari, la loro prova impallidì in confronto al sacco di Bisanzio del 1204.
Mentre Bonifacio di Monserrato occupava il Palazzo Imperiale, gli scatenati crociati entravano nelle case e asportavano qualsiasi cosa di valore riuscivano a trovare. Tutte le chiese vennero spogliate dei vasi sacri, delle icone, dei candelabri e quanto non si poteva asportare veniva semplicemente distrutto. Anche la basilica di Aghia Sophia, la chiesa della Divina Sapienza fatta erigere da Giustiniano, venne completamente saccheggiata con l’altare che venne spezzato, gli arazzi e le icone fatti a pezzi, i mosaici svelti a colpi d’ascia per raccogliere le tessere dorate. Un cronista dell’epoca, testimone oculare, tramanda che una prostituta, seduta sul trono del patriarca, cantava strofe oscene in lingua francese.
Mentre i veneziani si concentravano su quelle cose che avevano un grande valore, i francesi arraffavano tutto quello che luccicava e si fermavano solo per ammazzare e violentare. Le cantine vennero depredate, i quasi 5.000 palazzi della città, i quali, secondo fonti, custodivano i due terzi di tutte le proprietà mondiali accumulate fino ad allora, vennero vandalicamente saccheggiati e dati alle fiamme. La capitale era piena di soldataglia avvinazzata che trucidava chiunque trovasse lungo il cammino. Gli indifesi cittadini venivano torturati perché rivelassero dove avevano nascosto i loro valori. I conventi vennero presi d’assalto, le monache stuprate. Vecchi, donne e bambini giacevano in pozze di sangue per le strade, morti o morenti. Quell’inferno durò per quattordici giorni. Infine i comandanti degli assalitori intervennero, dando l’ordine di cessare il saccheggio – tanto ben poco era rimasto da depredare – e stabilirono che l’immenso bottino doveva essere portato in tre chiese e sorvegliato da fidatissimi franchi e veneziani.
Questo perché il contratto prevedeva la spartizione dei beni saccheggiati: 3/8 ai veneziani, 3/8 ai crociati; i restanti 2/8 erano destinato al futuro, debolissimo, imperatore latino. Fra l’altro i veneziani portarono a casa i quattro cavalli di bronzo che ornano ancora oggi la basilica di San Marco e molte preziose reliquie che sono serbate nel suo tesoro, a Venezia. Così ebbe fine la quarta Crociata, istituita con l’intenzione di liberare i luoghi santi, ma che infine aggredì e saccheggiò unicamente paesi cristiani.
Le conseguenze di quest’atto efferato, che indebolì il quasi millenario baluardo orientale dell’Europa, scaturirono i loro pieni effetti un paio di secoli dopo, quando un rachitico e ormai stanco Impero Romano d’Oriente dovette soccombere all’avanzata dei giovani e ambiziosi Sultani della dinastia ottomana, che presero definitivamente Costantinopoli per farne la capitale di un nuovo, grande e temuto impero.
Alberto Massaiu
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