La guerra moderna, inaugurata dalle Guerre d’Italia degli inizi del XVI secolo, vede l’avvento e la supremazia delle fanterie professioniste composte da quadrati di picchieri supportate da balestrieri e, successivamente, da archibugieri e moschettieri.
Le artiglierie ricopriranno un ruolo di rilievo, ma almeno fino a quando non diverranno più maneggevoli e leggere saranno più utilizzate negli assedi che nelle battaglie. Infatti queste potevano fornire un ottimo supporto, ma fin troppo spesso una volta che venivano posizionate sul campo non c’era mai il tempo di riposizionarle se il nemico non era schierato esattamente dove lo si aspettava.
La caduta della cavalleria come regina delle battaglie si era consumata sulle punte d’acciaio delle picche spagnole, svizzere e lanzichenecche o sulle pallottole di archibugi e moschetti. Oramai i cavalieri, sebbene molto corazzati, preferivano usare le lunghe pistole a ruota da cavalleria, scaricarle sui ranghi serrati dei fantaccini per poi ritirarsi e aspettare che la propria fanteria facesse il resto. D’altro canto una carica frontale sarebbe stata un vero suicidio, perciò si tendeva ad un utilizzo dei raparti montati più come disturbo, esplorazione e inseguimento del nemico in fuga.
La guerra, con i suoi eserciti professionali e pagati dallo stato, avevano contribuito in modo decisivo alla nascita degli Stati nazionali, visto che indeboliva il potere millenario dei nobili, che con la leva feudale non potevano più impensierire un monarca dotato di migliaia di effettivi fedeli e centinaia di cannoni, che avrebbero spazzato via ogni resistenza.
Molti aristocratici si adattarono a questo sistema, entrando e facendo carriera nell’esercito regio, oppure riconvertendosi in nobiltà di toga, che viveva alla Corte con incarichi nell’amministrazione o nel protocollo, sempre più volto alla celebrazione di regnanti assoluti.
Agli inizi del 1600 la guerra era un terrificante flagello per le popolazioni civili. I saccheggi sono sempre stati presenti nella storia dell’uomo, ma il conflitto non durava più della stagione feudale delle campagna militari. Ora, con gli eserciti stabili e il mercenariato diffuso, uno stato di belligeranza poteva perdurare per anni fino all’esaurimento delle risorse economiche dei contendenti (e la distruzione completa del territorio).
La prima metà del secolo vide abbattersi sulla Germania uno dei più grandi e terribili conflitti della storia, che avrà come attrici le più grandi potenze d’Europa. Il suo nome, che per alcuni contemporanei fu la Guerra Eterna, è meglio conosciuta ai più come Guerra dei Trent’Anni.
Nonostante la vicinanza all’Illuminismo, questo periodo storico fu caratterizzato dalle tensioni religiose tra luterani e cattolici controriformati, che sfociarono in eccidi e violenze, come la notte di San Bartolomeo in Francia o la distruzione di Magdeburgo in Germania. Erano anni di roghi purificatori, del Sant’Uffizio e della caccia alle streghe, che proprio in questo periodo si acuì in tutte le terre controllate dalla superpotenza creata dai rami asburgici di Spagna e Austria.
L’evoluzione nei campi del sapere, dalla scienza alla filosofia, dalla teologia all’arte bellica, conobbero un’impennata, come accade sempre nei momenti di crisi. Gustavo Adolfo, il giovane Re svedese soprannominato per la sua audacia e capacità militare “Il Leone del Nord”, aveva progetti ben precisi sul futuro della sua nazione. Per raggiungere tali risultati aveva bisogno di un esercito di tali dimensioni che sarebbe stato impossibile da reclutare ed equipaggiare per la bassa demografia scandinava.
L’impero baltico svedese aveva numerosi nemici: danesi, polacchi, russi e tedeschi che tendevano ad attaccare tutte le sparpagliate basi dei sovrani di Stoccolma. La popolazione del regno non era capace di sostenere né la quantità di reclute richieste, né i costi di un così grande numero di effettivi di cui avrebbe abbisognato un armata tradizionale dell’epoca.
Gli ingegnosi militari svedesi iniziarono a puntare quindi sull’alta qualità per sopperire allo scarso numero di coscritti. Il sistema era semplice: in ogni villaggio gli uomini atti alle armi erano suddivisi in tre gruppi, durante una campagna uno di questi gruppi veniva mandato a servire in guerra mentre gli altri due rimanevano a badare ai campi. In tempo di pace tutti i gruppi si addestravano con picca, moschetto o a cavallo a seconda dei bisogni del loro reggimento di appartenenza. In tal modo i sovrani svedesi potevano contare, nonostante l’esigua popolazione dei loro reami nordici, di un bacino di circa 20.000 soldati attivi e di 40.000 a riposo, ben addestrati e molto motivati visto che venendo dagli stessi villaggi erano dotati di una forte coesione e di uno spiccato spirito di appartenenza ad un gruppo.
Tutto questo risultava perfetto sulla carta, ma come dimostreranno i fatti, il sistema poteva collassare se i tempi della campagna si prolungavano e il re avesse avuto necessità di più truppe per le sue guerre. Questi bisogni potevano in parte essere assorbiti reclutando mercenari o servendosi di alleati tedeschi, ma alla fine la guerra germanica si rivelerà un vero flagello per la migliore gioventù svedese.
In ogni caso questo sistema ingegnoso mise a disposizione di Gustavo Adolfo un armata “nazionale” dotata di spirito patriottico e senso di unità impensabile in ogni armata mercenaria dell’epoca. In più i reggimenti svedesi, più snelli e agili sul campo, erano capaci di concentrare volumi di fuoco molto maggiori rispetto ai Tercios ispanici, e venivano supportati da un artiglieria leggera ma molto maneggevole che operava a livello di brigata, supportando i fanti molto meglio rispetto agli statici e pesanti grandi cannoni d’assedio in organico di tutti gli altri eserciti europei.
La fanteria era in proporzioni opposte ai Tercios, dove i moschettieri erano solo di supporto ai picchieri, mentre le brigate svedesi erano composte soprattutto da uomini armati di moschetto con la fanteria pesante che serviva unicamente a proteggerli dalle cariche della cavalleria nemica.
Un ulteriore innovazione fu quella della cavalleria, che da decenni in battaglia era abituata a svolgere solo compiti ausiliari di logoramento, con la già citata tecnica del caracollo. Gli squadroni svedesi invece si riaddestrarono alla carica con la sciabola, ma non per affrontare i fanti nemici, che con gli invulnerabili quadrati avrebbero fatti a pezzi cavalli e uomini, ma piuttosto per spazzare via la cavalleria nemica, non più preparata ad affrontare mischie all’arma bianca.
Quello che nacque da tutti questi preparativi fu il più moderno sistema militare d’Europa, superiore anni luce rispetto a quelli di tutti gli altri sovrani, e lo dimostrerà in oltre dieci anni di straordinari risultati sul campo in ogni angolo della Germania, della Polonia e del Baltico.
Due sono gli scontri topici che caratterizzeranno il passaggio dal sistema della fanteria pesante spagnola a quello delle fanterie moderne dotate di moschetto e baionetta: Breitenfeld, nel 1631, e Rocroi, nel 1643. La prima mostrò per la prima volta la superiorità del nuovo modello svedese, la seconda segnò il definitivo tramonto del vecchio modo di fare la guerra, con il passaggio di consegne dalla superpotenza mondiale spagnola (che da quel momento in poi diverrà di secondo piano) alla nascente nazione egemone d’Europa: la Francia.
A Breitenfeld, Gustavo Adolfo della dinastia Vasa incontrò, per la prima volta, l’armata imperiale cattolica. Quest’ultima era reduce da un decennio di successi colti contro i protestanti boemi, danesi, transilvani e tedeschi. Nel 1630 contava quasi 150.000 effettivi, la più imponente macchina da guerra mai vista in Europa. Fino a quell’anno, sotto la guida di esperti comandanti come Pappenheim, il conte Von Tilly e Wallenstein, nessun avversario era stato capace di fermare l’avanzata cattolica fino al cuore protestante della Germania. Con la proclamazione dell’Editto di Restituzione il Kaiser Ferdinando II mise i recalcitranti nobili protestanti davanti ad una situazione impossibile da superare in via diplomatica. Infatti fin dall’epoca della Riforma i beni della Chiesa Cattolica a nord erano stati incamerati dai vari principi convertiti alla Nuova Fede, ora con l’Editto tutto doveva ritornare agli ecclesiastici, una somma immensa tra immobili, terre, oggetti preziosi e denaro.
Ferdinando fece due cose folli allo stesso tempo. In primo luogo la proclamazione di tale diktat senza la consultazione di Diete Imperiali e senza mettere attenuanti o clausole che rendessero tale onere meno gravoso; in secondo luogo lo scioglimento della maggior parte delle armate cattoliche e la destituzione del comandante supremo Wallenstein, il miglior generale a sua disposizione, per paura del suo eccessivo potere militare ed economico.
Gli Elettori luterani di Brandeburgo e Sassonia, messi alle strette, cercarono appoggio esterno, e lo trovarono nel bellicoso sovrano svedese. Questi non vedeva l’ora di impelagarsi in un nuovo conflitto e aveva il segreto sogno di creare una grande coalizione protestante per far dominare l’Europa settentrionale dalla Svezia, che tra il 1611 e il 1629 aveva collezionato una serie ininterrotta di vittorie su Polonia, Danimarca e Russia, assicurandosi il dominio del Baltico.
Nel 1631, dopo tre mesi di assedio, era caduta in mani imperiali la città di Magdeburgo, vicino alla Sassonia. Il massacro di 25.000 persone seguito al saccheggio e all’incendio della roccaforte luterana aveva portato i tentennanti nobili tedeschi ad appoggiare ufficialmente la causa scandinava, perciò l’intera armata sassone si unì alle forze di Gustavo, che aveva nell’ultimo periodo occupato la Pomerania, facendo raggiungere agli alleati la superiorità numerica sui cattolici.
Il conte Von Tilly, nuovo comandante delle truppe di Ferdinando II e della Lega Cattolica, marciò con 36.000 effettivi verso Lipsia, prendendola e minacciando così l’intera Sassonia. Fu proprio quando si trovava nella città che venne a sapere che gli svedesi procedevano a marce forzate contro di lui.
L’occasione era perfetta per ottenere una facile vittoria sull’incauto Gustavo. Infatti l’inverno era alle porte e sarebbe bastato trincerarsi a Lipsia e costringere così il nemico a pernottare nella cattiva stagione fuori dalle mura, dove avrebbe perso uomini e morale. L’irruento comandante cattolico di cavalleria Von Pappenheim era però di diverso avviso e ingaggiò le avanguardie avversarie il 16 settembre. Il 17 Von Tilly decise di soccorrerlo, uscì dalla roccaforte e si schierò sul campo di Breitenfeld.
L’artiglieria fissa venne piazzata sul pendio, la fanteria schierata a Tercio al centro e la cavalleria su entrambi i lati, con Pappenheim e i tedeschi a sinistra e dei cavalleggeri croati a destra.
Gustavo, trovandosi sulla strada le formazioni nemiche, si dispose in maniera diversa: aveva la superiorità numerica, ma di questi solo tredicimila erano i suoi efficienti svedesi, perciò dispose i suoi uomini a destra, in formazioni più agili e snelle dei Tercios, dove erano i moschettieri l’elemento di base e i picchieri avevano solo il ruolo d’appoggio e di protezione contro i cavalieri nemici. Infine mise i sassoni a coprire il fianco sinistro, oltre a tenere una riserva di cavalleria al centro.
Come previsto da Gustavo, l’artiglieria imperiale risultò poco efficace, sia perché i cannoni erano fissi e non facilmente manovrabili, sia perché le esigue formazioni svedesi offrivano un difficile bersaglio. Al contrario i pezzi svedesi, più piccoli e maneggevoli, fecero scempio dei compatti quadrati di picchieri, aprendo ampi vuoti nelle loro linee.
Verso mezzogiorno Pappenheim caricò senza aver ricevuto ordini la cavalleria svedese e Tilly si vide costretto a muovere l’attacco generale. Fece quindi avanzare i Tercios e i cavalleggeri croati contro i sassoni, ben sapendo che erano il settore più debole dello schieramento avversario.
Come previsto i sassoni offrirono poca o nessuna resistenza e si diedero alla fuga, tallonati dai croati, e verso il primo pomeriggio sembrava che la vittoria imperiale fosse certa, visto che le forze svedesi sarebbero state ben presto accerchiate.
Ma Pappenheim, che aveva agito sempre con irruenza, fece fallire la strategia. Infatti decise, invece che caricare a fondo alla sciabola, di impegnare con il caracollo i cavalieri nemici. Gustavo allora ordinò ai moschettieri (che avevano maggior portata delle pistole cattoliche) e ai cannoni di aprire il fuoco sui reparti montati nemici, compiendo una strage. Quando poi le file dei loro ranghi furono sufficientemente disorganizzate, mandò alla carica la sua cavalleria, che disperse la truppe di Pappenheim, facendo fallire l’accerchiamento.
A questo punto fece ruotare completamente i sui addestratissimi reggimenti, schierandoli verso i Tercios e aprendo subito dopo un fuoco serratissimo che li inchiodò nella zona dove avevano sconfitto i sassoni. Per completare l’opera assaltò con la cavalleria le postazioni dei cannoni imperiali, che ora erano puntati sul luogo dove prima c’erano i suoi uomini e dove ora stazionavano i quadrati cattolici. Vi lascio immaginare la strage che seguì dal tiro incrociato di tutte queste bocche di fuoco e soprattutto l’ironia di essere spazzati via dalla propria stessa artiglieria.
Verso le sei del pomeriggio Gustavo aveva ottenuto una brillante e schiacciante vittoria, perdendo 3.000 uomini ma causando 7.000 morti al nemico e catturando 6.000 avversari, nonché tutta l’artiglieria. In un epoca dove tutti i soldati erano mercenari quei soldati prigionieri si arruolarono nell’armata svedese, aumentando perfino i suoi effettivi per le future campagne.
Il Tercio, come modello tattico nato alla fine del XV secolo, era al suo tragico epilogo. Ma nonostante tutto sarà ancora protagonista di un altro fondamentale scontro bellico, che può considerarsi il suo canto del cigno: Rocroi.
Il modello svedese, per quanto fosse rivoluzionario, non fu immediatamente recepito da tutti i monarchi europei. Il sistema era finanziariamente molto oneroso, con l’istituzione di paghe regolari e reparti permanenti, uniformi, disciplina, regolamenti, addestramento frequente, perciò solo uno stato con una larga veduta per il futuro e ampie risorse finanziarie avrebbe potuto permetterselo.
In piccola scala fino alle prime decadi del XVII secolo solo l’Olanda e la Svezia, soprattutto per ragioni di necessità, avevano adottato la formazione lineare per i fanti armati di moschetto e un qualcosa di simile ad un esercito nazionale, ma una grande potenza, che fino a quel momento era stata uno spettatore nel conflitto tedesco, era pronta ad accettare la sfida: la Francia del cardinale Richelieu.
Questi promosse una riforma totale delle armi francesi sul modello nordico, riuscendo a schierare nel 1634 un armata alquanto inesperta ma imperniata delle innovazioni militari che avevano portato alle spettacolari vittorie di Gustavo Adolfo Vasa.
Proprio in quell’anno Luigi XIII sciolse ogni indugio e appoggiò militarmente la causa protestante, in modo da seguire il sempiterno obbiettivo della monarchia di Parigi: il tener separati i due rami asburgici di Austria e Spagna, in modo da evitare lo strangolamento del suo paese, rendendo la Francia lo Stato egemone del continente.
Le prime prove del neoesercito transalpino furono pessime, tanto che il sovrano di Spagna Filippo IV si sentì abbastanza sicuro da ordinare alla sua armata più potente, quella stanziata nei Paese Bassi spagnoli, di calare su Parigi da nord.
L’armata delle Fiandre, composta da circa 27.000 uomini tra fanti e cavalieri, era allora considerato il corpo combattente più rinomato d’Europa. Composta da veterani castigliani, catalani, andalusi, baleariani, sardi e italiani, non era mai stata sconfitta in battaglia e i suoi Tercios avevano fama di invincibilità.
Il comandante iberico Francisco de Melo mosse quindi verso sud, ponendo l’assedio alla roccaforte di Rocroi, dove nel maggio del 1643 venne raggiunto dai 24.000 francesi capitanati dal giovane e brillante duca d’Enghien.
Questi, come abbiamo già detto, aveva ai suoi ordini un’armata più moderna della sua controparte, ispirata al modello svedese che tante dure lezioni aveva dato alle forze cattoliche nel biennio 1631-1632.
Entrambe le armate disposero le rispettive fanterie al centro e le due ali di cavalleria ai lati, ma la differenza sostanziale stava nella formazione tattica delle fanterie, con i transalpini che adottavano lo schieramento lineare alla svedese, mentre gli iberici mantenevano i possenti e pesanti Tercios che con la gran forza d’urto avevano garantito più volte la vittoria alle armi asburgiche.
Lo scontro non sarebbe stato totalmente lineare, infatti i due eserciti avevano ognuno un vantaggio: i primi avevano la modernità ma anche la poca esperienza bellica; i secondi lo stile antiquato ma un gran valore e un’alta disciplina.
Fin dall’inizio l’iniziativa fu dalla parte dei francesi, che dovevano evitare il sopraggiungere di circa 6.000 uomini di rinforzo agli avversari, e che quindi puntavano su una rapida risoluzione dello scontro. Dopo un breve e inconcludente scambio di artiglieria, i francesi attaccarono su tutto il fronte, ma solo l’ala destra di cavalleria ebbe successo, scacciando dal campo la cavalleria di Albuquerque che, armata prevalentemente di pistole e addestrata al caracollo, non riuscì a far fronte alla carica all’arma bianca.
Al centro la fanteria francese era stata respinta, mentre sul lato sinistro il generale Isenburg passò al contrattacco ricacciando decisamente i francesi che si salvarono solo per la protezione offerta dalla presenza di una palude.
A questo punto il duca d’Enghien ordinò che la vittoriosa cavalleria dell’ala destra, invece di attaccare il fianco sinistro esposto della fanteria spagnola come di consueto, operasse una lunga marcia sul campo dietro le truppe iberiche, per piombare sul retro delle file vincitrici della cavalleria spagnola disposta sul lato opposto. La manovra riuscì alla perfezione e al comandante imperiale, colto di sorpresa, non rimase che ritirasi precipitosamente dal campo.
Una volta scacciata tutta la cavalleria spagnola, solo i Tercios rimasero ad affrontare l’intero esercito francese.
Tuttavia, dimostrando la saldezza e il valore tipico dei veterani, i fanti spagnoli resistettero tenacemente a due attacchi portati dai francesi. D’Enghien decise allora di portare avanti la propria artiglieria coadiuvata con i pezzi catturati ai nemici, per poi sparare ad alzo zero sulle dense e serrate file dei picchieri, falcidiandoli senza pietà.
Solo alla fine del duro calvario gli spagnoli, sottoposti a spaventose perdite, decisero di arrendersi. Era la fine della supremazia delle armi spagnole sul continente e del sistema basato sulle armi bianche nell’arte bellica europea.
D’ora in poi le battaglie si decideranno con moschetti e cannoni e le ultime vestigia della gloriosa picca svizzera saranno rappresentate dalla baionetta, una lama da applicare alla canna del fucile per proteggersi dalle cariche della cavalleria nemica.
Alberto Massaiu
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