Il conte Otto Eduard Leopold von Bismarck nacque lo stesso anno in cui il suo paese, alleato della Gran Bretagna, sconfiggeva Napoleone in via definitiva. Era il 1815 e a Waterloo il generale Arthur Wellesley, duca di Wellington, infrangeva insieme ai prussiani del principe von Blücher la volontà di rivalsa dell’Imperatore dei francesi, mettendo la parola fine al suo disegno di dominare il continente.
Segno del destino o no, il piccolo venuto alla luce a Schönhausen sul fiume Elba avrebbe segnato la sua epoca tanto quanto Bonaparte, inserendo un tassello fondamentale nel panorama europeo e mondiale che è visibile ancora oggi, se guardiamo alla moderna Germania federale.
Bismarck era uno Junker, ovvero un membro della nobiltà agraria prussiana. Il padre era stato anche ufficiale dell’esercito e la madre, Wilhelmine Luise Mencken, portava in dote buoni legami con l’amministrazione statale. Come ogni buon nobile, per quanto non di alta caratura, frequentò fin da piccolo Berlino e la corte degli Hohenzollern, conoscendo di persona i giovani membri della casa reale. In seguito studiò, ad onor del vero con bassi voti, visto che preferiva passare il tempo a duellare e a bere con i membri delle associazioni goliardiche universitarie, giurisprudenza a Göttingen e a Berlino.
A trent’anni era pronto per una carriera politica, anche se era oscillante tra un posto nella pubblica amministrazione oppure in diplomazia. Alla fine unirà le due cose tagliando la testa al toro e diventando l’ago della bilancia della politica prussiana, tedesca ed europea.
Era il biennio 1847-1848, tempo delle rivoluzioni in tutta Europa. In Francia il sovrano liberale Louis-Philippe d’Orléans scappò da una Parigi in aperta rivolta che proclamava trionfante la Seconda Repubblica, mentre l’Austria si trovava ad affrontare contemporaneamente la ribellione ungherese e quella italiana (la nostra Prima Guerra d’Indipendenza, peraltro finita rovinosamente per il Piemonte). In Italia, per l’appunto, scoppiarono rivoluzioni in Sicilia e a Napoli che costrinsero il Re Ferdinando a promettere una costituzione incentrata sulle istanze della borghesia liberale. Sulla scia di questi sommovimenti anche il Papa Pio IX e Carlo Alberto di Savoia concessero degli Statuti, di cui rimase (in seguito alle repressioni successive) solo quello Albertino, che rimase la carta costituzionale italiana fino al 1948.
In Germania, invece, il pensiero liberale e nazionalista vedeva come unico sbocco alla situazione dell’epoca (il paese era diviso in 38 Stati di varia grandezza) l’unificazione sotto l’egida della Prussia, purché concedesse una costituzione e un parlamento, limitando i poteri assoluti del sovrano. Il Re di Prussia Friedrich Wilhelm IV Hohenzollern rifiutò affermando che “non aveva nulla da chiedere né da ricevere da una massa di bottegai” e, dopo un’iniziale incertezza dovuta alla forza dei rivoltosi, appena le acque si calmarono entrò a Berlino con l’esercito e restaurò la situazione precedente, stracciando la carta costituzionale liberale che anch’egli aveva dovuto concedere in un primo tempo.
Nel 1850 l’Austria, il peso massimo nella Mitteleuropa e soprattutto della Germania, rimise ordine nella Confederazione Germanica, dove la Prussia ottenne il poco onorevole secondo posto, sotto la sua ombra. Il paese non era pronto a far valere il suo peso, come dimostrò la scarsa prova contro la piccola Danimarca, che gli tenne testa nei tre anni della Prima Guerra dello Schleswig-Holstein (1848-1851).
La Confederazione si riuniva nella Dieta di Francoforte e Bismarck ottenne il primo incarico di rilievo nell’essere il rappresentante della Prussia al suo interno. Qui iniziò a plasmare la sua idea di separare almeno la Germania settentrionale dall’Austria, facendola rientrare sotto l’influenza del suo paese.
Dopo un periodo dove fu ambasciatore presso gli Zar a San Pietroburgo, il nuovo sovrano (sempre un Wilhelm, il futuro primo Kaiser della Germania) decise di richiamarlo a Berlino per combattere i liberali che non volevano ulteriori (e costose) riforme dell’esercito. Questi ultimi erano riusciti a raggiungere un certo potere nelle elezioni del 1862 e Bismarck, che militava nella corrente dei conservatori fedeli alla monarchia, era l’ultima possibilità per il Re.
Bismarck chiese carta bianca nell’agire e il titolo di capo del governo. Il 22 settembre 1862 li ottenne entrambi e tornò a Berlino, dove due settimane dopo avocò a sé anche il ministero degli esteri, con cui poté finalmente delineare la futura politica aggressiva della Prussia.
L’anno dopo inflisse la prima sconfitta diplomatica al suo bersaglio iniziale: l’Austria. Quest’ultima aveva convocato, nell’estate del 1863, tutti i re, i principi, i duchi e i conti tedeschi per discutere la forma della costituzione federale dove avrebbe sancito, nero su bianco, il suo totale predominio su tutti gli Stati della Germania. Bismarck convinse il suo sovrano a non recarsi a Francoforte e, senza la Prussia, la conferenza finì in un nulla di fatto, lasciando i rappresentati austriaci a bocca asciutta.
Nel frattempo modernizzò l’esercito con la collaborazione del Ministro della Guerra Albrecht von Roon e del Capo di Stato Maggiore Helmuth von Moltke, uno dei più grandi strateghi militari della storia e artefice delle future grandi vittorie prussiane. Quest’ultimo potenziò lo Stato Maggiore, il cuore organizzativo dell’intera macchina bellica statale, su cui i tedeschi rimasero i migliori fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, creando suddivisioni attive anche in tempo di pace come la Sezione mobilitazione, la Sezione geografico-statistica e la Sezione di storia militare.
Von Moltke fu un fervente sostenitore dei cosiddetti Kriegspiel (giochi di guerra), simulazioni di conflitti reali per addestrare gli ufficiali alla guerra su larga scala, introducendoli a tutte le problematiche legate alla logistica, agli spostamenti delle truppe, ai movimenti dell’artiglieria, alla conquista di nodi strategici per tagliare la strada al nemico.
Von Moltke enfatizzò proprio per questo il ruolo strategico della ferrovia, promuovendo la costruzione delle linee interne nelle direzioni di possibili dispiegamenti di truppe. Poiché gli eserciti moderni erano diventati troppo grandi ed ingombranti per essere controllati da un singolo comando, favorì l’autonomia delle armate come tanti piccoli eserciti indipendenti: una volta che una di esse veniva in contatto col nemico bloccandolo, una seconda (o anche una terza) sarebbe giunta attaccandolo ai fianchi o da tergo, secondo il principio della Kesselschlacht, la battaglia di accerchiamento.
Con l’esercito pronto e il governo saldamente nelle sue mani, Bismarck aveva la necessità di un pretesto per mettere a posto i conti con l’Austria, che per quanto sembrasse un gigante aveva i canonici piedi d’argilla, minata dalle istanze separatiste di italiani, ungheresi, slavi meridionali, cechi, slovacchi e polacchi che abitavano il suo immenso impero.
Il casus belli venne concesso dalla crisi dei ducati danesi, che permise una doppia rivincita alla Prussia, che era uscita umiliata dal conflitto di quindici anni prima. In pratica il Re danese Christian IX aveva emanato una costituzione che comprendeva, nei territori del suo Stato, anche i ducati tedeschi dello Schleswig e dell’Holstein, che fino a quel momento aveva detenuto come unione meramente personale.
I liberali prussiani sostenevano le rivendicazioni del duca tedesco di Augustenburg, tentando di rilanciare la loro politica unificatrice. Bismarck li anticipò e giocò al rialzo, affermando che la Prussia sarebbe entrata in guerra in difesa dei diritti tedeschi sui ducati solo un cambio della loro annessione alla monarchia Hohenzollern o comunque ad un loro controllo militare.
Anche l’Austria entrò nella partita, mandando truppe contro la Danimarca. Nel 1864 i due alleati (che non si fidavano uno dell’altro) ebbero la meglio sul piccolo esercito nordico e “liberarono” i ducati. La loro sistemazione politica fu problematica, anche perché i rapporti con Vienna si erano ulteriormente inaspriti per colpa di Bismarck, che nel 1865 non rinnovò i trattati dello Zollverein, l’unione doganale tra Prussia, Austria e Stati tedeschi, portando ai dazi che favorirono la crescita economica prussiana a scapito del suo vicino meridionale.
La situazione precipitò nel 1866 quando Bismarck strinse un alleanza con il neonato Stato italiano, che voleva strappare il Veneto all’Austria. Una guerra su due fronti era un incubo per ogni grande nazione e l’Austria giocò d’anticipo, trattando la neutralità con la Francia (alleata dell’Italia) e proclamando la mobilitazione generale della Confederazione Germanica contro la Prussia.
“Bismarck volle la guerra, profondamente convinto della sua necessità, ma la portò a buon fine contro la volontà del re, del popolo e perfino dell’esercito (…)
La borghesia liberale e gli intellettuali tedeschi, sino ad allora ostili al governo Bismarck, si adattarono prontamente ad adorare quanto, qualche settimana prima avevano condannato”
Hans Delbrück, storico e politico tedesco
Sulla carta l’Austria e i suoi alleati avevano maggiori risorse rispetto ai loro nemici, ma Bismarck, Roon e Von Moltke avevano creato l’esercito più moderno che il mondo avesse fino ad allora conosciuto. Grazie alla ferrovia le armate prussiane sbaragliarono le forza nemiche in appena 15 giorni, con la decisiva battaglia di Sadowa o Königgrätz.
Nella vittoria totale, Bismarck fu astutamente generoso: per evitare che Francia e Russia mettessero becco in una conferenza di pace dove avrebbero fatto pesare le loro posizioni per riequilibrare lo schiacciante risultato conseguito, a caldo propose all’Austria la supremazia della Prussia a nord del fiume Meno e l’indipendenza (sia dall’Austria che dalla Prussia) degli Stati meridionali della Confederazione Germanica ormai politicamente defunta.
Nasceva così la Confederazione del Nord, uno Stato federale dove la Prussia e il suo sovrano detenevano una schiacciante preminenza, ma che al contempo vantava un sistema costituzionale tra i più avanzati e moderni: il diritto di voto risultava più esteso che altrove, ma fra tutti i Paesi europei solo in Germania esisteva realmente lo scrutinio segreto per i parlamentari. Al parlamento spettavano le funzioni fondamentali e a capo dell’esecutivo era posto il monarca di Prussia.
A questo punto rimaneva da terminare l’opera con l’annessione alla nuova entità politica (che comprendeva 22 Stati, 30 milioni di abitanti e 415.150 km² – la Germania moderna è meno estesa, con 357.000) degli Stati meridionali di Baviera, Baden e Württemberg. La Francia di Napoleone III, considerata il paese più forte del continente (la grande nation), era fortemente contraria alla loro entrata nell’orbita prussiana, cosa che avrebbe significato la nascita di una potenza di primo piano che l’avrebbe scalzata dalla sua posizione di predominio.
Perciò Bismarck si convinse che l’ultimo passo andasse compiuto nuovamente con le armi, sconfiggendo i rivali transalpini sul campo. Un primo schiaffo diplomatico fu inferto a Napoleone nel 1867, non permettendogli di annettere il Lussemburgo e proclamando la sua indipendenza e neutralità, con il divieto per tutte le potenze di stanziarvi forze militari e lo smantellamento delle sue fortificazioni. Il secondo, che fece precipitare la situazione, fu il caso del “Dispaccio di Ems”.
In pratica nel 1870 il trono di Spagna divenne vacante per mancanza di eredi e il parlamento offrì la corona a Leopold Hohenzollern-Sigmaringen, un parente cattolico del Re di Prussia. La crisi che ne scaturì rischiò di sfociare in una guerra, con la Francia terrorizzata all’idea di venir circondata da dinastie nemiche a est e a sud. Bismarck complottò per far scoppiare il conflitto ma sia il Re Wilhelm sia Leopold erano contrari e alla fine quest’ultimo rinunciò al trono.
A questo punto la Francia, invece che accontentarsi, decise di recuperare un po’ di prestigio facendo la voce grossa e pretendendo dal sovrano prussiano l’approvazione ufficiale della rinuncia, le scuse per aver appoggiato la candidatura e l’impegno a non farlo mai più. Wilhelm, che ebbe il colloquio con l’ambasciatore francese nella località termale di Ems, rifiutò in maniera cortese ed educata quelle forti posizioni, ma si congedò in amicizia con quest’ultimo e telegrafò il sunto di quanto avvenuto al suo primo ministro.
Bismarck, dopo aver ricevuto rassicurazioni da von Moltke sulle possibilità di vittoria sulla Francia in un conflitto su larga scala, rese pubblico il contenuto del dispaccio ricevuto dal Re, omettendo tutte le frasi concilianti di quest’ultimo e facendo sembrare che Wilhelm avesse congedato bruscamente l’ambasciatore, insultando così la Francia. Il governo francese, spinto da un’opinione pubblica furiosa per l’affronto diplomatico, dichiarò guerra alla Prussia, facendo passare Bismarck dalla parte della ragione in quanto attaccato.
Questo fatto fece scattare le clausole segrete di un trattato di mutua difesa militare che era stato stipulato in segreto dalla Confederazione del Nord e i paesi tedeschi del sud, cosa che permise a von Moltke di schierare grazie alle ferrovie 1.183.000 uomini in appena 18 giorni, contro i soli 288.000 francesi.
In breve tempo la Francia, che immaginava un’invasione eroica della Germania come ai tempi del grande Napoleone Bonaparte (zio di Napoleone III), si vide travolta da oltre 460.000 soldati divisi in tre grandi armate che, dopo alcune battaglie come Wœrth, Spicheren, Mars-la-Tour e Gravelotte, dove i tedeschi vinsero a caro prezzo degli scontri strategici, intrappolarono tutte le forze francesi nelle fortezze di Metz e a Sedan.
“Li abbiamo fatti finire in una trappola per topi”
Helmut von Moltke a Sedan
Alla fine, in poco più di tre mesi, l’esercito francese non esisteva più, stritolato dall’efficiente organizzazione militare prussiana e dai principi di concentrazione delle forze e accerchiamento di von Moltke. Il 1° settembre Napoleone III stesso, circondato con l’armata di Châlons dentro Sedan, si arrese con 83.000 superstiti (sui 130.000 iniziali) e 419 cannoni, mentre il generale François Achille Bazaine seguì il suo esempio (venendo giudicato dai francesi come un traditore) il 23 ottobre, consegnando la roccaforte di Metz e altri 150.000 uomini nelle mani dei prussiani.
In tal modo le forze tedesche poterono assediare Parigi e, poco prima della sua capitolazione, il 18 gennaio 1871 Wilhelm venne incoronato Imperatore – Kaiser – della Germania unificata, che comprendeva anche gli Stati meridionali di Baviera, Baden e Württemberg. Alla Francia, umiliata e sconfitta, venne imposta la cessione dell’Alsazia e della Lorena, che divennero uno dei pomi della discorda del primo conflitto mondiale, oltre che un pagamento di 5 miliardi di franchi come indennità di guerra.
Nello stesso anno, con la nascita del nuovo parlamento tedesco, Bismark venne nominato Cancelliere – Reichkanzler -, oltre che mantenere le cariche di primo ministro e ministro degli esteri di Prussia (che divenne lo Stato più grande del nuovo impero federale) e principe, oltre che membro dell’Ordine cavalleresco della casata Hohenzollern.
Unificata la Germania, colui che in seguito verrà ricordato come l’Eiserne Kanzler, o “Cancelliere di Ferro”, si occupò di politica interna con il kulturkampf e contro i socialisti, ma soprattutto di mantenere salda e stabile la posizione egemone del paese appena creato. Bismarck era ben consapevole che il rischio di accerchiamento dell’Impero sarebbe stato fatale (come avvenne tra la prima e la seconda guerra mondiale), perciò cercò di creare una rete di alleati e di intese, unendo un fronte conservatore che unisse Austria e Russia contro le progressiste Francia (in cui era nata la Terza Repubblica) e la Gran Bretagna, entrambe dotate di vasti domini coloniali in piena espansione.
Ma il vero successo politico internazionale di Bismarck fu la Conferenza di Berlino, che seguì alla creazione dell’impero coloniale tedesco nel biennio 1884-1885, con l’Africa tedesca del Sud-Ovest, il Kamerun, la Nuova Guinea Tedesca e l’Africa Orientale Tedesca. Questo incontro delle maggiori potenze dell’epoca regolò tutte la questioni coloniali in sospeso in Africa. In quella sede Francia e Germania fecero perfino causa comune contro la Gran Bretagna e il Cancelliere, a seguito dei tanti successi ottenuti in quegli anni, toccò l’apice del suo prestigio internazionale. Il sistema continentale da lui organizzato, che comprendeva quasi tutta l’Europa, era più solido che mai e la Germania ne era l’indiscussa arbitra.
Ma il suo articolato disegno non sopravvisse alla prova del nuovo sovrano, Wilhelm II. Quest’ultimo aveva una politica di potenza e un desiderio di emanciparsi dall’anziano, onnipotente e onnipresente Reichkanzler, e lo scontro fra i due divenne presto inevitabile. Di fronte alla incompatibilità delle sue idee con il parlamento e l’Imperatore, Bismarck si dimise dalla cancelleria il 20 marzo 1890. La sua buonuscita fu la promozione a “colonnello generale con la dignità di Maresciallo” e la nominato a Duca di Lauenburg. Morì ad 83 anni nel 1898 e sulla sua lapide venne scritto “Leale servo tedesco del kaiser Wilhelm I”.
Vent’anni dopo il suo lavoro di una vita sarebbe stato spazzato via dalle incaute e arroganti scelte di colui che non aveva voluto imparare dal suo esempio, mettendo così fine al giovane Impero Tedesco e al secolare Regno di Prussia. Il cerchio era completo, l’epopea partita dai monaci cavalieri teutonici si concludeva con la resa delle armate tedesche di Hindenburg e Ludendorff.
“Gli bastava muoversi impettito e mettersi in posa facendo tintinnare la sciabola nel fodero. Desiderava solo sentirsi come Napoleone senza combattere battaglie (…) Ma sotto tutte quelle pose e orpelli vi era un uomo molto comune, vanesio ma nel complesso benevolo, che coltivava la speranza di passare per un secondo Federico il Grande”
Winston Churchill su Wilhelm II
Alberto Massaiu
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