Tutto era iniziato ad Adrianopoli, nell’anno fatale del 378 d.C. oppure, se vogliamo dargli un tocco di folclore storico, nel 1131 ab Urbe condita. L’augusto d’oriente, Flavius Iulius Valens, si era fatto stritolare dai disperati guerrieri visigoti e dai loro alleati alani, che con una classica – per quanto probabilmente improvvisata – tattica ad incudine e martello, con cui avevano annientato il meglio delle armate orientali in un solo giorno.
Gratianus, nipote del defunto Valens e augusto d’occidente, nominò d’urgenza un buon ufficiale, Theodosius, come suo collega a Costantinopoli, assegnandogli l’arduo compito di gestire i visigoti. Questi, da militare pragmatico, decise di non affrontarli in campo aperto, bensì di affidarsi alla guerriglia da un lato e alla robustezza delle mura delle città dall’altro. La sua opera di contenimento si affiancò ad un’altra, volta all’assimilazione.
Se però, un tempo, Roma era stata capace di “diluire” i barbari perché, dopo averli sconfitti sul campo, li spezzettava e li spediva ai quattro angoli dell’Impero, ora questo gioco non poté più essere fatto. L’orda alano-visigota ottenne il diritto ad autogovernarsi, chiedendo ogni volta ai vari imperatori terra da coltivare per la sua gente e gradi, prebende e titoli per i suoi capi.
Inoltre, nella stringente necessità di trovare reclute, Theodosius si affidò sempre più a truppe di origine barbara, che non venivano più per forza addestrate secondo le regole o la disciplina romana. In mezzo a questa situazione potenzialmente esplosiva si misero in luce generali di origine germanica che, pian piano, salirono fino ai gradi più alti della gerarchia imperiale.
Il primo tra tutti fu Flavius Stilicho, un ufficiale per metà vandalo e per metà romano, italianizzato in Stilicone. Questi era nato e cresciuto in un contesto militare, in quanto il padre era stato comandante di cavalleria sotto Valens. Il giovane Stilicho entrò anch’egli nell’esercito imperiale e già nel 384, in quanto tribunus della guardia, venne inviato alla corte dello Šāhanšāh Shapur III, il Re dei Re persiano, per una missione diplomatica.
In quegli anni, dove il sistema militare romano basato sui coscritti indigeni stava scricchiolando rumorosamente, mentre gli aristocratici italici o provinciali preferivano i decadenti agi e lussi delle città alla spartana disciplina dei castra, Stilicho ebbe la strada spianata verso i vertici dell’esercito.
Promosso magister equitum e comes domesticorum, ovvero tra i titoli più alti della gerarchia militare dell’epoca, giunse perfino a sposare Flavia Serena, nipote dell’augusto Theodosius, che lo volle al fianco come suo uomo di fiducia. Negli anni tra il 388 e il 394 collaborò attivamente alla riorganizzazione delle armate d’oriente, diventando magister utriusque militiae (una sorta di generalissimo) mentre aiutava il suo signore a spezzare le ribellioni di vari usurpatori.
Mai momento fu peggiore per avere delle ennesime guerre civili. Ogni soldato era vitale per presidiare le frontiere, eppure la cieca ambizione di uomini senza scrupoli e un minimo di lungimiranza dissanguarono il meglio delle forze imperiali sopravvissute. All’epoca, per quanto poi la storia dimostrerà il contrario, l’occidente si reputava più forte, sano e “romano” dell’oriente, con le sue sovrappopolate e caotiche città levantine e gli industriosi ma pavidi contadini, rispetto alle coriacee leve galliche, ispaniche, britanniche o illiriche.
Inoltre, cosa da non sottovalutare, il meglio delle truppe orientali era andato perduto e le nuove truppe si trovavano in fase di addestramento e riorganizzazione, mentre l’occidente vantava legioni e ausiliari intatti, motivati e di provata esperienza.
Questa situazione mutò tra il 380 e il 395, quando ben due usurpatori, l’ispanico Magnus Maximus e l’italico Flavius Eugenius, furono affrontati e sconfitti da Theodosius. L’ultimo dei due, Eugenius, aveva tentato di restaurare la tolleranza religiosa in occidente, riaprendo i templi pagani come quello di Venere e Roma e di quello della Vittoria, entrando in contrasto con l’intransigente, fanatica e repressiva politica religiosa del collega orientale, che tra il 391 e il 392 aveva emanato i decreti antipagani “Nemo se hostiis polluat”, che metteva al bando ogni sacrificio pagano, perfino in forma privata, e il “Gentilicia constiterit superstitione”, che prevedeva il reato di lesa maestà per chi effettuava sacrifici o si recava nei templi degli antichi dei, per cui era prevista perfino la pena di morte nei casi più gravi. Il cerchio, in meno di cento anni, si era chiuso. I cristiani, da perseguitati sotto Diocletianus, divennero persecutori, spaccando l’Impero Romano.
Eugenius aveva tentato di evitare la guerra fratricida, inviando i suoi ambasciatori a Costantinopoli, ma Theodosios aveva sdegnosamente rifiutato, aprendo la strada al conflitto. Per la prima volta i goti, ora guidati da un giovane leader di nome Flavius Alaricus, andarono in guerra con le legioni orientali. Il 5 settembre del 394 si decise il destino del paganesimo romano, appena oltre le Alpi Giulie. Le cronache rimaste del tempo sono di parte cristiana e narrano di un intervento divino che portò la bora a riversarsi sulle truppe occidentali, avvantaggiando gli orientali e garantendo la vittoria.
La battaglia del fiume Frigido fu forse più devastante di quella di Adrianopoli, perché indebolì grandemente entrambi gli eserciti, rendendo sempre più fragile il confine del Reno e del Danubio, oltre che far fare esperienza di comando, politica e tattica militare romana ai visigoti di Alaricus, che se ne avvantaggerà a breve.
Ad ogni modo, dopo aver completato l’opera, l’ultimo sovrano a regnare dalla Mesopotamia alla Britannia morì. Era il 395 e divise il suo dominio tra i due figli, Honorius e Arcadius, entrambi minorenni. Affidò il primo, più grande, a Stilicho, che divenne l’uomo forte in occidente, mentre il secondo rimase a Costantinopoli, dove cadde nell’influenza del cortigiano Rufinus, che diventerà acerrimo nemico del generalissimo di origine vandala.
Visto lo sconquasso provocato con la guerra civile, Theodosios aveva lasciato al suo fidato comandante, con cui condivideva l’idea di integrare i goti nell’impero, trasformandoli in contadini e soldati, un certo numero di milizie orientali. Al contempo, però, aveva creato un futuro grave terreno di contesa, staccando dalla pars occidentalis la parte orientale della prefettura dell’Illirico, bacino strategico di reclutamento per le armate romane, assegnandola a quella orientalis.
Vista la minore età di entrambi i futuri sovrani, che si dimostrarono in seguito deboli e irrisoluti, quindi facilmente manipolabili dai loro consiglieri, Stilicho cercò di governare l’Impero Romano in maniera unitaria, per cercare di gestire le nubi temporalesche che si stavano affacciando alla frontiera, aggravate dal fatto che i visigoti continuavano a fare la voce grossa, scorrazzando per i Balcani.
Flavius Alaricus, il loro sovrano, usò a pretesto il mancato riconoscimento del grado di generale dell’esercito imperiale (con conseguente lauto stipendio e possibilità di stanziamento per il suo popolo) per rompere i patti con i deboli sovrani. Tra il 395 e il 397 i visigoti saccheggiarono in lungo e in largo, devastando la regione fino al Peloponneso, dove venne inseguito e intrappolato da Stilicho, giunto in aiuto della pars orientalis.
Ormai, però, la rivalità e le incomprensioni tra le due partes, nonostante fossero nominalmente governate da due fratelli, avevano avvelenato tanto gli animi che, invece che aiutarsi, i governi di Milano e di Costantinopoli giocavano ad indebolire l’un l’altro, piuttosto che collaborare per schiacciare i comuni nemici. Alaricus fu abile e astuto a trattare con Stilicho da un lato, facendogli credere di poter diventare un utile strumento per rivendicare l’Illirico, e con Rufinus dall’altro, per la stessa ragione.
Alla fine Stilicho dovette abbandonare l’idea di una chiara vittoria perché, sobillato dalle proposte orientali, il governatore di Cartagine si era ribellato ad Honorius, proclamando la sua fedeltà ad Arcadius, bloccando i vitali rifornimenti di grano all’Italia. Il magister militum dovette intervenire d’urgenza, sedando la rivolta e ristabilendo l’ordine in occidente, perdendo di vista il vitale settore della Pannonia e dell’Illirico.
A Costantinopoli si stava affermando, in quegli anni, quel processo di rigetto barbarico nei gradi dell’esercito che, alla fine, permise la salvezza della pars orientis, con il sacrificio di separare definitivamente i suoi destini da quelli delle province occidentali di Roma. Nel 401, sobillato e finanziato dal nuovo uomo di fiducia di Arcadius (Rufinus era stato assassinato, con buona probabilità per ordine dello stesso Stilicho, che contava ancora qualche alleato nell’esercito orientale), Alaricus e i suoi visigoti invasero l’Italia.
Stilicho si trovò in una situazione drammatica: fronteggiare i visigoti da un lato e i vandali dall’altro (avevano appena invaso la Rezia). Così cadde Aquileia e tutto il settentrione della penisola fu scosso da violenze e saccheggi. Alaricus assediò perfino Milano, dove risiedeva la corte di Honorius, che terrorizzato appena poté scappò a Ravenna, meno esposta alle incursioni nemiche e meglio difendibile.
Ci vollero due anni, tra il 402 e il 403, per ricacciare i visigoti al di là delle Alpi, con le battaglie di Pollenzia e Verona. Questi scontri, per quanto determinanti nel respingere i barbari, non furono probabilmente decisivi, visto che la forza militare di Alaricus poté dispiegare di nuovo la sua potenza pochi anni dopo. Secondo alcuni storici l’errore fu di Stilicho, che dopo le vittorie non volle schiacciare definitivamente l’avversario, sperando di poterlo utilizzare contro i rivali romani in oriente per riprendersi l’Illirico; secondo altri la scelta del magister militum fu obbligata dal risultato degli scontri, favorevole ai romani ma non così tanto da poter loro garantire una così schiacciante supremazia.
Respinto un nemico, se ne fece sotto uno anche peggiore. Nel 405 un’orda di ostrogoti sotto la guida di Radagasius entrò a sua volta in Italia, seminando il terrore. Il magister militum dovette decretare una serie di misure d’urgenza per poter affrontare i nuovi invasori, tra cui assoldare un contingente visigoto sotto il comando di Sarus, rivale di Alaricus, oltre che sguarnire i fronti del Reno e del Danubio per riunire il meglio delle forze militari romane contro i barbari. Nel 406, a Fiesole, Stilicho affrontò e distrusse le forze di Radagasius, annientandole. Per questo successo di rilievo il comandante viene di nuovo celebrato come salvatore di Roma e un arco di trionfo viene inaugurato a Roma per commemorare la vittoria.
Purtroppo la vittoria di Fiesole fu il canto del cigno di Stilicho. Durante l’inverno del 406, complice una gelata del Reno e i pochi soldati rimasti a guardia del limes, un’ennesima – e questa volta definitiva – invasione travolse l’Impero Romano d’Occidente. Vandali, Alani, Suebi e Burgundi presero Mogontiagum e si misero a scorrazzare per tutta la Gallia, distruggendo città e villaggi, dirigendosi sempre più a sud.
Come se non bastasse, Constantinus, un generale britannico richiamato sul continente per contenere gli invasori, si proclamò imperatore nel 407 e sottrasse – nominalmente, visto che erano invase dalle orde nemiche – la Britannia, la Gallia e l’Hispania ad Honorius e Stilicho. Quest’ultimo, invece che focalizzarsi su questo problema scottante, si intestardì follemente con i suoi screzi con l’oriente. Questo è l’unico grave errore geo-strategico che gli contesto a titolo personale. I problemi erano in Gallia, l’accesso di barbari in così gran numero, oltre che la presenza di un usurpatore, necessitava di tutta la sua attenzione, energia e carisma.
Invece, purtroppo, tutti i suoi pensieri tornarono all’Illirico e ad Alaricus, con cui progettava la guerra ad est contro Costantinopoli per riottenere quella parte di prefettura, al costo di perdere metà del resto dell’occidente. La prospettiva di un’ennesima guerra civile – da aggiungere a quella con Constantinus – e la rottura della concordia fratum non venne bene accolta dalle élites romane e una opposizione sorda ai progetti di Stilicho cominciò a farsi sentire, incoraggiata dal partito nazionalista anti-barbaro.
Il comportamento di Alaricus non aiutò per nulla, in quanto egli pretese dal Senato di Roma il pagamento di 4.000 libbre d’oro per i servizi resi all’occidente, anche se la campagna contro Costantinopoli non era mai partita per incomprensioni e problemi logistici. Il magister militum, che aveva ormai dilapidato in pochi mesi tutto il favore guadagnato contro Radagasius, convinse con uno sforzo titanico i patrizi a sottoscrivere l’accordo di alleanza con i visigoti, per quanto lo stesso praefectus urbi Lampadius sostenne che “Questo non è affatto un trattato di pace, ma un patto di schiavitù”.
Lo stesso Honorius, ormai maggiorenne ma non per questo più forte o saggio, gli si mise contro, sfidando la sua autorità di comandante militare supremo. Nel 408, i due si scontrarono direttamente a causa della morte di Arcadius, collega e fratello in oriente. Il giovane sovrano voleva recarsi a Costantinopoli per prendere tutela del giovane nipote Theodosios II ma Stilicho lo convinse che, con Alaricus e Constantinus in agguato, la presenza dell’Imperatore in Italia era vitale.
Fu la sua ultima vittoria. I cortigiani romani lo odiavano in quanto mezzo barbaro, per la sua fede ariana e infine per il prestigio e il potere che deteneva. Uomini gretti e meschini, che mai avevano impugnato la spada o indossato una corazza, misero veleno nelle orecchie dell’imbelle Honorius che non fece nulla quando questi organizzarono un complotto per far fuori il magister militum.
Il 13 agosto del 408, mentre l’Imperatore era in visita alle truppe, ad un gesto stabilito del capo dei congiurati, Olympius, iniziò il massacro: sguainate le spade, i soldati di origine romana compirono un massacro spaventoso. Caddero vittime numerosissime persone, militari germanici e funzionari imperiali legati a Stilicho, ma anche innocenti civili. Quando la notizia dell’ammutinamento giunse a Bologna, dove era rimasto il generale, questi dovette decidere se iniziare un’ennesima guerra civile oppure accettare la fine. La sua fu una scelta degna della migliore tragedia greca, che rende il personaggio pari ai grandi romani del passato.
Ben consapevole di condannarsi a morte, egli comunicò agli ufficiali rimasti fedeli la sua partenza per Ravenna, senza scorta armata, per chiarire le cose con il giovane sovrano che aveva servito con dedizione e fedeltà. Appena giunto nella capitale, purtroppo, fu raggiunto dall’ordine imperiale di essere arrestato e giustiziato. Stilicho cercò di rifugiarsi in una chiesa, ma il giorno successivo i soldati di Honorius entrarono e giurarono di fronte al vescovo che questi avrebbe avuta salva la vita, venendo condannato solo al carcere o all’esilio.
Tale promessa non fu mantenuta. Heraclianus, comandante della guarnigione, prese in carico lo sfortunato magister militum, ormai in disgrazia, ed eseguì egli stesso la sentenza, decapitandolo. Immediatamente in tutta Italia scoppiò un’ondata di violenza contro le famiglie dei barbari foederatii, che andarono ad ingrossare le file dell’esercito di Alaricus, che non più legato ai patti stretti con l’ormai defunto Stilicho si sentì libero di invadere di nuovo la penisola.
Questa volta non c’era nessun comandante di valore che aveva la forza o l’abilità di fermarlo e, dopo aver scorrazzato impunemente per l’Italia, prese e saccheggiò la Città Eterna nel 410, aprendo il periodo di crepuscolo della civiltà romana occidentale.
Alberto Massaiu
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