Nell’ottobre del 1464, sentendosi le spalle coperte in Europa, Alexios decise di espandersi nelle vecchie province d’Asia. La prima azione fu quella di assicurarsi una base al di là del Bosforo. Reparti di thalassatoxotai occuparono con un’audace azione notturna la fortezza di Anadolu Hisari e la cittadina di Scutari.
Il 19 sbarcò in Anatolia la II Legio Macedonica agli ordini di Georgios Kastriotas: 5.000 uomini in tutto, metà cavalieri e metà fanti. Dopo aver sconfitto le milizie di frontiera dell’amīr di Kandar occuparono Calcedonia e Nicomedia. Nei primi di novembre intercettarono e sbaragliarono le forze regolari del sovrano locale, a cui si erano unite delle bande di guerrieri turcomanni. Il 12 novembre cadde Nicea, che era mal difesa e non preparata ad un assedio. Entro la fine di dicembre due delle città più importanti per l’impero e il loro retroterra in Asia Minore erano state recuperate.
Le operazioni si bloccarono durante l’inverno, ma ai primi di marzo due legioni si spinsero a sud, appoggiate dalle navi delle Neon nautikon, ed occuparono le città delle coste anatoliche di Smirne e Attalia. Il culmine della campagna di terra fu la presa e il saccheggio di Bursa il 2 aprile 1465.
Questa era la capitale del più autorevole sultanato turco d’Anatolia, pallido erede del forte regno ottomano, disintegratosi in tanti potentati dopo la catastrofe del triennio 1453-1456. Kastriotas lasciò ai suoi uomini i tre giorni di saccheggio tradizionali, che furono così brutali da costringere i conquistatori a ripopolare successivamente la città con elementi greci, slavi, armeni ed ebrei.
La cittadina venne ribattezzata, in onore del suo conquistatore, Georgiopoli. La nuova denominazione non attecchì, difatti già nel 1490 vari documenti della Cancelleria Imperiale la rinominano con l’antico nome pre-ottomano di Prousa.
La penetrazione negli aspri monti dell’Anatolia interna divenne però sempre più dura, difficoltosa e costosa. In marzo erano presenti al di là del Bosforo 10.000 soldati, in aprile erano 15.000, in maggio 17.500 e in giugno raggiunsero quota 20.000.
In un irrilevante scontro con dei cavalleggeri turchi Georgios Kastriotas fu ferito ad una gamba e dovette essere riportato d’urgenza a Costantinopoli, dove gli salvarono la vita, ma non poterono evitargli di diventare zoppo. Fu sostituito da Leon Phokas, un generale di origine armena sulla trentina, che aveva dimostrato abilità tattica e coraggio durante la campagna. Alla fine, nonostante la schiacciante vittoria conseguita da quest’ultimo il 12 luglio 1465, presso il fiume Meandro, Alexios rinunciò alla guerra, per evitare troppe perdite.
Si giunse così ad una tregua, nella quale l’imperatore decise di tenere solo i territori costieri e poche roccaforti nell’entroterra, come Georgiopoli e Nicea, limitandosi a presidiare i passi montani dai quali potevano provenire le invasioni e le scorrerie turche.
La pace durò solo fino all’autunno del 1466. Infatti proprio in quei giorni una banda di 3.000 predoni turchi attaccò i soldati imperiali nei pressi di Attalia, uccidendone 60. La risposta fu immediata e implacabile: entro i primi di ottobre quattro legioni furono inviate nell’area, al comando di Leon Phokas, il vincitore sul Meandro dell’anno precedente. Il basileus voleva sfruttare l’occasione per inglobare tutte le coste sud-orientali della penisola anatolica. Guidati dal brillante strategos i romani occuparono di abbrivo anche Seleucia e Tarso, ottenendo il pieno controllo della costa della Cilicia.
A questo punto scese in campo, a causa dell’accresciuto potere imperiale nella regione, una coalizione di sultanati turchi e arabi, con a capo l’amīr di Antiochia, Muley Hassan. Questi era stato il capo della guardia di palazzo del vero amīr, che aveva soppiantato con una congiura nel 1461, sostenuto dal sovrano mamelucco d’Egitto, del quale era diventato vassallo.
Le truppe di Leon furono circondate nei pressi di Eraclea, e solo la sua abilità di manovra e il grande coraggio personale salvarono l’armata dalla completa disfatta. Comunque, tra morti e prigionieri, ci furono più di 4.000 perdite per i romani. Si dovette anche abbandonare l’assedio di Adana, e le legioni si ritirarono presso Tarso, dove furono immediatamente strette d’assedio dalla marea musulmana.
Alexios decise di intervenire personalmente. Lasciato il figlio dodicenne Basileios a Costantinopoli, consigliato dal fedele patriarca Gannadios e protetto da Georgios Kastriotas, si diresse in Anatolia. L’armata di rinforzo, molto composita, era formata da due reggimenti di variaghi a piedi della Guardia Imperiale e da altri due montati: i kataphraktoi chrysoi e le scholai. Ad essi si aggiungevano 2.500 fanti svizzeri armati di alabarde, 700 cavalieri borgognoni e tedeschi e 2.000 tra balestrieri genovesi e arcieri inglesi. Completavano lo schieramento la neonata IV Legio Anatolica e il corpo degli stratiotai esperiai.
Alexios arrivò a Tarso via mare il 28 febbraio, sfidando il cattivo tempo e le pericolose tempeste invernali, e liberò la città dall’assedio dopo un breve scontro. Muley Hassan preferì ritirarsi nella sua base di Adana, senza impegnare un combattimento campale.
Il basileus affidò una legione e parte dei mercenari a Leon Phokas, e lo spedì ad assediare Antiochia, mentre con il resto dell’esercito si diresse contro la coalizione nemica. Il 13 Marzo le forze avversarie si incrociarono davanti alla roccaforte di Muley, dove era disposto il suo immenso esercito in formazione da battaglia, forte di circa 60.000 uomini.
Per tutta la mattina lo scontro rimase in parità, nonostante gli agareni superassero i cristiani di tre a uno. Complice però il terreno accidentato, l’amīr non poté allungare lo schieramento e circondare le inferiori forze romane. In più la poca omogeneità delle sue truppe e la precaria fedeltà dei suoi alleati ne rendeva difficoltoso un uso combinato ed efficace.
La sua tattica si ridusse quindi a continui attacchi massicci di cavalleria e fanteria, che venivano bloccati dalle alabarde svizzere, dalle lance e dalle spade dei legionari e dalle asce dei variaghi.
Allo zenit, dopo molti attacchi respinti, la sua armata era sfinita. Fu allora che Alexios decise di caricare alla testa dei reggimenti montati della Guardia Imperiale il fior fiore della cavalleria pesante avversaria. In pochi decisivi minuti i kataphraktoi e le scholai la misero completamente in rotta, lasciando la fanteria musulmana alla completa mercé del sovrano. I legionari, i mercenari e i variaghi si gettarono sui turchi con rinnovato slancio, mentre la cavalleria pesante e leggera attaccava i fianchi e la retroguardia dell’immensa formazione avversaria, circondandola.
Alle sei di sera era tutto finito, ma solo perché gli imperiali non avevano più la forza di alzare le spade e la piana era irrorata di sangue: i romani avevano perduto 600 cavalieri e 2.500 fanti. Gli alleati turchi 3.000 cavalieri e 22.000 fanti. I prigionieri furono oltre 10.000. Era il trionfo totale di Alexios, e la fine di un qualunque potentato islamico in Anatolia.
Antiochia cadde il 23 marzo 1467, mentre molti principi turchi della regione furono presi prigionieri da una retata compiuta dagli arcieri a cavallo imperiali. Muley Hassan fuggì in esilio al Cairo, in Egitto. Si farà risentire più avanti nella nostra cronaca.
L’antica sede patriarcale divenne di nuovo una città romana a tutti gli effetti, come tre secoli prima, mentre molti sultanati della regione divennero vassalli tributari dell’Impero Romano. Particolarmente fastoso fu il ricevimento da parte del patriarca antiocheno Markos IV, che benedisse l’esercito romano e l’imperatore quando entrarono dalle porte cittadine.
Tornato alla Regina delle Città il 27 aprile, Alexios si concesse un trionfo sontuoso, con sfilate, canti, giochi e una messa solenne ad Aghia Sophia. Furono creati cinque nuovi themata asiatici, che si distribuivano a raggera per tutte le coste anatoliche occidentali e meridionali, dal Bosforo fino alla costa libanese: Opsikion, Thrakesion, Anatolia, Cilicia e Siria.
Pago delle conquiste fatte, il basileus si dedicò alla pace e alle riforme, assolutamente necessarie per rendere florido, saldo e potente lo Stato. Al centro di tutti i progetti ci fu il rinnovo della capitale, che doveva rispecchiare il ritrovato benessere dell’Impero Romano.
Con l’arrivo di coloni da ogni parte, stranieri in cerca di fortuna, la mancanza di epidemie o di terremoti devastanti e la ristrutturazione dell’acquedotto di Valente, la popolazione raggiunse i 300.000 abitanti nel 1469, i 360.000 nel 1473, i 420.000 nel 1480 e i 500.000 nel 1485. Interi quartieri vennero ricostruiti, chiese ristrutturate e gli edifici pubblici vennero riportati al loro antico splendore.
Nel 1469 Alexios incaricò Bessarion di Trebisonda e Konstantinos Laskaris di formare un gruppo di studiosi per catalogare tutta la conoscenza che gli antichi greci avevano lasciato nelle terre dell’Impero Romano. Alcuni umanisti italiani come Guarino Veronese, Giovanni Aurispa e Francesco Filefo, parteciparono a questa immane opera. Il risultato fu la Nea anthologia, pubblicata a Costantinopoli nel 1476, che accorpava biografie, testi e commentari di oltre 300 autori del passato. Connesso a questo lavoro fu la Grammatika ton rhomaion, del 1472, testo famosissimo che portò la conoscenza della lingua greca in occidente. Vide numerose revisioni e riedizioni nel 1481, 1487, 1499 e 1522, rese possibili dall’introduzione di una nuova e innovativa scoperta.
Nel 1470, infatti, venne invitato a Costantinopoli il tedesco Johannes Gutenberg, inventore della stampa a caratteri mobili, che restò a spiegare volentieri ai tecnici romani la sua arte, anche grazie all’ottimo stipendio che gli venne offerto come nuovo logothetes tes teknes. La nuova scoperta piacque tanto al basileus, che avviò la creazione di grandi laboratori di stampa a Costantinopoli, Tessalonica, Atene, Nicea, Smirne e Antiochia.
Alla morte di Gutenberg nel 1475 i romani avevano fatto totalmente loro quest’arte, con maestri come Demetrios di Smirne, che divenne il nuovo logothetes, o il monaco Mathaios Stylites.
Un’altra tecnica che in questi anni venne valorizzata molto fu l’utilizzo delle armi da fuoco. Numerosi tecnici tedeschi, italiani e francesi e le precedenti fonderie turche stimolarono grandemente l’utilizzo di questi moderni strumenti bellici. Alexios istituì una carica apposita che sovrintendesse al corretto sviluppo di questa nuova arma: il logothetes ton telebolon. La carica venne affidata ad un turco convertito: Antemios di Adrianopoli.
La titanica bombarda che era stata utilizzata contro la Regina delle Città nel 1453 divenne un monumento, che venne posizionato all’interno della fortezza di Rumeli Hisari, trasformata in una magnifica villa patrizia per occasionali soggiorni e ricevimenti organizzati dal sovrano o dalla sua famiglia. Più avanti divenne nota come il Palazzo dei Porfirogeniti, in quanto fu eletta come sede privilegiata da molti degli eredi alla corona imperiale.
Nel 1472 morì Georgios Kastriotas. Fu pianto molto da Alexios, che in lui aveva trovato un compagno d’armi, un fedele alleato e forse anche un amico sincero. In suo onore il basileus fece edificare una chiesa nella capitale e una nella sua città natale, Croia, dove venne sepolto con tutti gli onori. Subito dopo il figlio Ioannes fu nominato, dalle mani dello stesso sovrano, strategos e prinkeps dell’Epiro, titoli che deterrà fino alla sua morte, avvenuta combattendo contro i turchi d’Anatolia nel 1488.
Nel frattempo Alexios decise di ampliare, abbellire e rendere più sicura la città. Edificò così la quarta cinta muraria a difesa della capitale, che venne chiamata Teichos Alexiakon. Innalzata tra il 1471 e il 1480, era un perfetto sistema di fortificazioni che cingeva anche i sobborghi della capitale. Bianche mura di mattoni alte venti metri e spesse otto si estendevano per chilometri, intervallate da un ventiquattro immense torri e dodici porte fortificate, con ognuna il nome di un apostolo. Su di esse vennero posizionati dozzine di pezzi d’assedio tra cannoni, mortai, colubrine, falconetti e spingarde. Nel 1483 l’opera fu inaugurata insieme alla basilica di Aghia Sophia, completamente restaurata, e il Palazzo Imperiale, ricostruito sulle rovine dell’antico che era abbandonato da secoli. Questo fu ribattezzato come quello che lo aveva preceduto, Mega Palation oppure Ieron Palation. Il lavoro era stato titanico: rimettere in piedi 25.000 metri quadrati di superficie adibita ad abitazione con annesse caserme, cortili con fontane, sale da pranzo e ricevimento e una ventina tra chiese e oratori.
Tutto venne ricreato secondo gli antichi progetti, senza tralasciare un solo particolare: Il vestibolo del palazzo era costituito dalla Chalke, un edificio a cupola dotato di porte di bronzo, che si affacciava sull’Augusteon. Da qui si raggiungeva la Daphne, zona in cui erano concentrati vari uffici amministrativi, che traeva il suo nome da una delle sue decorazioni, una statua raffigurante una ninfa, e che era stata portata un tempo da Roma ed era stata ora ricostruita dal genio italiano Donatello.
Non mancavano poi le grandi sale di rappresentanza come la Triconca o la Magnaura, un ambiente basilicale a tre navate di sfarzo infinito, e infine il Chrysotriklinios. Quest’ultimo era la sala del trono a cupola, di forma ottagonale, le cui pareti vennero rivestite come un tempo da finissimi tappeti persiani, il tutto illuminato da candelabri d’oro realizzato a Damasco. Il Chrysotriklinios era in comunicazione con gli appartamenti privati del sovrano, la stanza del tesoro, il Vestiarios imperiale e infine le cappelle di Aghios Theodoros e del Pantheon.
Un altro edificio che fu inserito nei lavori della cittadella imperiale era stato il Boukoleon, un piccolo palazzo prospiciente al Mar di Marmara che era stato la residenza preferita di Ioustinianos, dotato di un soffitto ricoperto di oro zecchino. Un’altra stanza che fu ricostruita, interamente rivestita di porfido, era quella nella quale le imperatrici mettevano al mondo i loro figli, perciò detti porfirogeniti.
Non furono dimenticate neanche le attrezzature sportive e di benessere come un ippodromo coperto e una campo da polo privato e un impianto termale con bagni di vapore e piscine calde e fredde.
Venne poi realizzato un prolungamento del complesso che portava al Kathisma, la tribuna imperiale che si affacciava sul grande ippodromo, dalla quale il sovrano aveva un contatto diretto, ma sicuro, con il popolo. Il grande luogo di feste e giochi fu rinnovato all’interno del progetto generale legato al palazzo, anche se una parziale ricostruzione era iniziata già nel 1462, ma era stata interrotta per la guerra contro i signori turchi d’Anatolia. Il progetto della nuova residenza del basileus si concluse in appena cinque anni, tra il 1478 e il 1483. Tutti e tre i programmi edilizi dovevano essere completati entro quest’ultima data, per poter essere inaugurarti insieme in occasione della commemorazione dei venti anni del regno di Alexios.
Per completare la munifica opera edificatoria dell’autokator vanno citate la riedificazione o la ristrutturazione di chiese, fortificazioni ed edifici pubblici nei territori di Europa e Anatolia.
Dai primi anni ’70 Alexios decise la riforma delle forze armate, troppo approssimata in quegli anni di rapida espansione. Ora c’era bisogno di regole che ristrutturassero tutta la macchina bellica romana. Tra il 1475 e il 1477 venne redatto e pubblicato un manuale di arte militare, il Neon strategikon, che sarà oggetto di studio per tutti i comandanti del tempo, citato ancora ai nostri tempi.
Le vecchie unità vennero sciolte e riassegnate in nuove strutture, più duttili e maneggevoli. Queste vennero chiamate novae legiones, passate poi al solo legiones. Alexios abbandonò infatti il vecchio modello gestionale ellenizzato dei secoli precedenti, rifacendosi all’antica tradizione classica dell’epoca d’oro augustea. Per farlo si affidò non solo agli esperti di cose militari, ma anche agli studiosi e agli umanisti romani e italiani, che portarono alla cosiddetta “rivoluzione latina” delle forze armate. Tutti i gradi militari e i nomi delle unità passarono al latino, esattamente come i comandi di base tattici. L’antica lingua dei Cesari, perlomeno tra le truppe imperiali, tornò in voga.
Queste nuove entità combattenti erano formate da 6.000 uomini, suddivise in 4.000 in fanteria, 1.000 arcieri a cavallo e altrettanti cavalieri pesanti. I soldati a piedi, chiamati scutati o skutatoi, erano pesantemente corazzati, protetti da scudi e armati con lance, spade e archi. I cavalleggeri, detti equites sagittarii o hippotoxotai, erano addestrati alle tattiche mordi e fuggi oltre che all’esplorazione e inseguimento, armati con corazze di cuoio conciato o maglie metalliche leggere, oltre che di lance, sciabole e potenti archi corti compositi. Infine i cavalieri corazzati, i cataphracti o kataphraktoi, erano soldati alti e forti, dotati del meglio delle bardature e delle protezioni d’acciaio per uomini e cavalli, equipaggiati con lance pesanti da carica, mazze, asce e lunghe spade.
Una legione, nell’idea di Alexios, doveva risultare come un piccolo esercito a se stante, capace di operare in perfetta autonomia in ogni teatro bellico. Perciò ogni unità legionaria venne dotata anche di un parco d’artiglieria da campagna e da assedio, compresi una decina di sifoni lanciafiamme caricati con fuoco greco.
Furono create in tutto dieci novae legiones, per un totale di circa 60.000 uomini.
I Legio Praesentalis
II Legio Augusta
III Legio Invicta
IV Legio Macedonica
V Legio Bulgara
VI Legio Serba
VII Legio Ulpia Traiana
VIII Legio Asiana
IX Legio Anatolica
X Legio Caesar Imperator
Oltre alle legioni furono create diverse coorti ausiliarie di fanteria e cavalleria, chiamate auxilia pedites e equites. Queste unità venivano reclutate tra i popoli sottomessi, alleati o vassalli dell’Impero Romano. A quell’epoca furono principalmente valacchi, moldavi, bosniaci, turchi, armeni, italiani del meridione, siriani e georgiani.
Venne creato anche un robusto reparto d’artiglieria campale, separato dalle piccole unità mobili assegnate alle legioni. Il comando di Costantinopoli, il più importante, era affidato al magister palatii tormentorum o domestikos ton telebolon, il comandante supremo dell’artiglieria imperiale.
A completare le unità regolari dell’esercito stavano le compagnie di fanti di marina, i thalassatoxotai, circa 3.000 uomini in tutto, che dipendevano dal megas droungarios della flotta.
Per la salvaguardia e la protezione dell’imperatore invece furono potenziati i corpi della Guardia Imperiale. Alla storica e celeberrima Guardia Variaga, reclutata tra nordeuropei come inglesi, scozzesi, irlandesi, scandinavi, russi, tedeschi e svizzeri, si affiancarono i reggimenti a cavallo delle scholae palatinae e degli athanatoi, reclutati tra il meglio dell’aristocrazia imperiale. In totale, la nuova guardia poteva mettere in campo 3.000 fanti e 2.000 cavalieri. A questi soldati scelti si aggiunse per un certo lasso di tempo il corpo degli stratiotai esperiai, anche detti latinikon in quanto provenivano dalle isole italiane di Sicilia e Sardegna. Questa unità, di numero variabile tra i 1.500 e i 3.000 soldati, scomparve alla fine del secolo, quando la penisola ritornò totalmente in mani romane.
Al suo comando stava di norma una delle figure di maggior fiducia del basileus stesso, spesso con lui imparentato, che si fregiava del titolo di megas domestikos.
Oltre a queste truppe regolari, addestrate ed equipaggiate a spese dell’erario imperiale, vanno contate anche le milizie territoriali, dette limitanei o stratiotai, formate da contadini e cittadini che potevano essere chiamati alle armi in casi estremi. Ogni maschio tra i 14 e i 40 anni era obbligato ad addestrarsi con l’ausilio di ufficiali e soldati delle truppe regolari per un mese all’anno, suddiviso in due periodi di due settimane, dopo il periodo della semina e quello del raccolto. Queste forze non venivano pagate dallo Stato, che era tenuto solo ad armarle e mantenerle in caso di mobilitazione, mediante depositi militari siti in località strategiche vicino ai centri di raduno di queste milizie territoriali.
In tutto, nel 1483, l’Impero Romano poteva disporre di circa 100.000 truppe scelte, un parco d’artiglieria moderna secondo solo a quello della Francia e altri 120.000 miliziani.
A queste cifre vanno aggiunte le 350 navi tra fuste, dromoni, galee leggere, pesanti e incendiarie, a cui si affiancarono le prime navi d’alto mare come cocche, caracche e in seguito caravelle. La marina romana divenne così la più potente forza del Mediterraneo Orientale.
Quest’ultimo ed immenso lavoro venne portato avanti con enormi investimenti, che furono però compensati dalle ricche miniere d’oro dei Balcani, dai proventi delle attività manifatturiere come l’industria serica e tipografica e dalle entrate commerciali, stimolate dalla legislazione favorevole, dall’ampia tolleranza religiosa e da una saggia riduzione delle imposte, che attirarono capitali e investimenti dall’occidente, oltre che mercanti da ogni parte del mondo.
Alberto Massaiu
2 Comments
Interessantissimo, Mi piacerebbe sapere se la riforma delle forze armate da parte di Alexios, specialmente nella cavalleria e fanteria, sostitui anche la ‘Tecnica di guerra bizantina’. o fu solo aggiornata visto l’impiego delle armi da fuoco, specialmente dei cannoni. L’antico ordinamento militare voluto da Leone VI ‘Taktica Consitutio VII , o anche Leo Sapiens taktica,VII 85 che tanta gloria diede all’esercito bizantino. Saludos Costantino n.b. ti ho spedito un email al tuo indirizzo
Ciao Costantino, la riforma ho modificato in buona parte l’arte della guerra bizantina, recuperando in parte i ricordi della tradizione augustea e integrandoli con le nuove filosofie più moderne. Vedrai che in seguito verranno introdotti anche i quadrati di picchieri sul modello svizzero e i dragoni che sostituiranno gli arcieri a cavallo con gli archibugi prima e i moschetti poi. Potresti provare a rimandarmi la mail all’indirizzo alberto.massaiu89@gmail.com? Perché non ho ricevuto nulla da parte tua. Grazie mille e a presto 🙂