Basileios V Komnenos Palaiologos si spense nella notte del 21 marzo dell’Anno Domini 1735, all’età di cinquantasei anni.
Non vi erano a prima vista grandi problemi di successione, visto che esistevano almeno due figli maschi e la regola della primogenitura garantiva il regolare e normale avvicendamento sul trono.
Purtroppo per l’Impero Romano l’incauto basileus, senza un minimo di lungimiranza politica ma animato solo dall’affetto di un genitore per i propri figli, decise di spartire equamente i suoi domini tra i due, assegnando al primogenito Ioustinianos la parte orientale con le colonie dell’Oceano Pacifico e Indiano, al secondogenito Konstantinos la parte occidentale, con la Colombia e i domini africani.
Inutile dire che un gesto simile, che aveva comportato quasi la fine di Roma ai tempi di Theodosios e degli inetti figli Honorius e Arkadios, era un rischio troppo grande. In più tra i due non era mai corso buon sangue, e si scontravano sempre in ogni tipo di questione politica, religiosa e militare.
Il primo, molto austero e ligio al dovere, era di sicuro il più adatto a regnare, ma non riusciva a farsi amare da coloro che aveva intono. Il secondo, libertino, volitivo e coraggioso ai limiti dell’azzardo, era capace di attrarre molto l’attenzione sia degli uomini che delle donne.
Il più grande, con il nome dinastico di Ioustinianos III, si installò subito allo Ieron Palation, circondato dalla Guardia Imperiale e dalla maggior parte degli anziani consiglieri di suo padre, tra i quali militava l’oramai ultra-settantenne megas logothetes Eugenio di Savoia. Senza tanti complimenti disse al fratello di scegliersi una città in occidente e di trasferirvi la sua corte, fornendogli una piccola flotta di 12 navi e una scorta di 3.000 uomini per il viaggio.
Konstantinos XV, che aveva adunato in torno a se il meglio della gioventù aristocratica e alcuni ricchissimi mercanti e imprenditori, decise di dirigersi a Roma, sancendo di fatto la separazione dell’impero in due partes, una Occidentis e l’altra Orientis.
Una situazione del genere non poteva durare. Entrambi sapevano che solo un basileus poteva regnare sul mondo, perciò già entro la fine dell’anno tre i due si giunse ai ferri corti. L’occasione fu uno sconfinamento di alcune navi cipriote, che approdarono presso Taranto a causa di un fortunale. Konstantinos, che non aspettava che un occasione per iniziare il conflitto, inviò al fratello un’ambasciata talmente arrogante che per poco Ioustinianos non fece giustiziare l’inviato seduta stante.
La risposta indirizzata a Roma fu altrettanto veemente, ricalcando la prosa di Konstantinos e sottolineando che, in quanto primogenito, lui era in teoria titolare di tutta la Romanìa, e che solo l’intervento benefico del padre gli aveva permesso di detenere un così grande e immeritato potere.
Konstantinos, che si augurava una risposta simile, la mostrò davanti al popolo dell’Urbe, felice fino al delirio di avere un imperatore che risiedeva di nuovo nella città che da oltre un millennio ne era orfana, e dichiarò che l’insulto alla sua sovranità poteva essere lavato solo con il sangue.
Inoltre affermò che la vittoria gli avrebbe arriso, e una volta piegato il fratello avrebbe riportato la capitale nella unica e sola Civitas Aeterna. Le manifestazioni di giubilo si sentirono fino a Costantinopoli, subito seguite da una formale dichiarazione di guerra, che nella prima parte recitava così:
“Noi, Konstantinos, quindicesimo della nostra stirpe, basileus fedele e autokator dei romani, sconfessiamo il titolo usurpato dal nostro fratello Ioustinianos, lo proclamiamo decaduto da tutti i suoi titoli e cariche e proclamiamo la Nostra supremazia sulle due Rome…”
Era la guerra. Bellum civile.
Questa volta, purtroppo per i domini imperiali, non sarebbero state solo le armate imperiali a contendersi i territori della Romanìa, ma altri attori si susseguiranno e trarranno vantaggio dalle divisioni intestine causate dal conflitto dei due basilei. Quello che era stato valutato in principio come la semplice contesa per il trono di Costantinopoli si tramutò in conflitto europeo, insanguinando molti paesi e contrade.
Nel 1737 80.000 uomini sbarcarono in Epiro, con a capo Konstantinos stesso, che sconfisse sul campo le forze di guarnigione dei themata balcanici presso Ocrida e Tessalonica.
Ioustinianos avrebbe reagito immediatamente, ma era preoccupato dai movimenti russi a nord e quelli asburgici a ovest, che minacciavano rispettivamente lo scacchiere ucraino e dei Carpazi. Il valente Eugenio di Savoia, che avrebbe potuto risolvere in breve la questione, si era purtroppo spento l’inverno del 1736, nella sua tenuta principesca di Iconio.
Il miglior generale a disposizione di Ioustinianos era Theodoros Doukas, ma questi si era di recente imparentato con i Phokai, che dopo la fallita usurpazione erano caduti in disgrazia presso la Corte, perciò venne esiliato in Anatolia. Al suo posto venne nominato Mikhael Strategopoulos, un anziano burocrate digiuno di faccende militari ma molto fedele al basileus, che sarebbe stato supportato da due esperti militari a lui subordinati: Branca Doria e Andronikos Tymokrates.
Con 90.000 uomini questi si diressero verso la città di Tessalonica, che era sotto assedio da un paio di mesi, per liberarla e riportare a più miti propositi l’ambizioso fratello minore del sovrano.
Fatto sta che tre strategoi, di cui due subordinati e uno completamente inetto, non potevano far altro che ostacolarsi a vicenda. Non coordinando le loro forze si fecero sorprendere sulla Maritza da un attacco di Konstantinos, che era consigliato da esperti militari francesi e prussiani che pagava profumatamente.
Branca e Andronikos riuscirono a respingere gli avversari e infliggere loro una sconfitta netta, ma Mikhael si fece spazzare via con irrisoria facilità, facendo perire, fuggire o catturare oltre 30.000 uomini. Dopo la disfatta altri 10.000 soldati passarono alle file di Konstantinos, che poté marciare su Costantinopoli appena Tessalonica, visto il risultato campale, gli aprì le porte.
Ioustinianos, con a malapena 30.000 combattenti ancora fedeli, poteva tentare di sostenere un assedio da terra e dal mare ma decise di non voler infliggere alla sua capitale gli orrori del bombardamento da parte degli oltre 250 cannoni di cui disponeva suo fratello, perciò la evacuò e si trasferì in Anatolia.
Là prese immediatamente contatti con Theodoros Doukas e i notabili più importanti per radunare legioni e alleati caucasici. Purtroppo l’Ucraina, vista la crisi del suo protettore, era nuovamente sotto attacco russo e poté inviargli solo 1.500 cosacchi.
Konstantinos XV, appena entrato all’interno della Regina delle Città, si apprestò a farsi incoronare unico basileus dal patriarca Gennadios III con una sontuosa cerimonia ad Aghia Sophia. Rimase nella capitale due mesi, ricevendo messi e soldati dai vassalli transilvani, valacchi e moldavi, poi decise di invadere l’Asia Minore e catturare il fratello, che aveva stabilito la sua base ad Iconio.
Ioustinianos era ben conscio che il suo esercito era molto inferiore in numero e in morale rispetto alle forze di Konstantinos, perciò prese la deleteria decisione di chiedere un aiuto esterno alle potenze europee, promettendo oro e territori in caso di vittoria.
Inutile dire che immediatamente l’Austria – che dai suoi territori ungheresi aspirava ad una maggiore influenza balcanica – e la Francia – che desiderava a tutti i costi le terre oltre le Alpi che aveva perso in favore dei romani negli ultimi due secoli – gli fornirono un immediato appoggio.
Konstantinos, appena lo venne a sapere, rivolse le stesse offerte a Russia e Inghilterra, ipotecando le terre ucraine con la prima e alcune basi e colonie con la seconda in cambio del loro appoggio. Infine, con un colpo di genio, portò dalla sua parte anche la Prussia, che era da tempo in conflitto con l’Austria per l’egemonia sugli staterelli tedeschi.
Peggio di così non poteva accadere. Louis XV fece invadere e occupare immediatamente la Gallia romana, per poi marciare in Italia settentrionale. Nel frattempo un’armata asburgica marciava verso Transilvania e Valacchia, con l’obiettivo di sostituirvi l’egemonia di Costantinopoli con la propria.
I russi presero Kiev entro la fine dell’anno e ricacciarono i sovrani ucraini nei loro antichi domini sulle coste del Mar Nero, inseguendoli senza pietà e con l’ambizione di superare perfino il Vallum Tartarorum, sguarnito per fornire truppe a Ioustinianos.
La Prussia e L’Inghilterra iniziarono a loro volta le operazioni in Germania e sui mari, e la seconda inviò una potente flotta nel Mediterraneo per aiutare Konstantinos. Questi, oramai deciso a farla finita con il fratello, appena giunsero le navi britanniche passò in Anatolia con 90.000 effettivi e 200 cannoni.
Ioustinianos decise di continuare a muoversi verso est, abbandonando Iconio e spostandosi ad Antiochia, presidiando i passi della catena del Tauro e chiamando ogni unità disponibile da Egitto, Siria e Palestina.
Fu proprio tra le aspre gole che permettevano l’accesso alla Cilicia che si svolse la battaglia che invertì la marea del conflitto. Infatti, dopo una serie di durissimi assalti alle forti posizioni trincerate dei legionari di Ioustinianos, l’armata di Konstantinos venne sanguinosamente respinta e in seguito messa in rotta.
A questo punto la situazione si capovolse, e fu il primogenito che mosse verso occidente, rimpossessandosi di Cesarea e Iconio ma perdendo in favore dei britannici le maldifese isole di Rodi e Cipro. In tal modo questi ottennero il quasi totale controllo dello scacchiere orientale del Mediterraneo, dove solo Creta rimaneva in mani imperiali, difesa strenuamente sotto la guida di Thomas Palaiologos.
A questo punto le operazioni per tutte le parti in lotta ebbero termine per l’inverno, riprendendo l’anno successivo.
Ioustinianos, che aveva sfruttato quella pausa per addestrare, armare e motivare le sue truppe, riuscì a ricacciare Konstantinos in una ristretta fascia di territorio anatolico che comprendeva Nicea, Nicomedia e Prousa. Rioccupò inoltre, con un’audace operazione anfibia, sia Cipro che Rodi, dopo che la flotta inglese fu quasi annientata da una tempesta presso l’isola di Chio.
I russi ripresero l’offensiva a nord, occupando tutte le terre fino al Vallum e ricacciando le forze ucraine nella loro ex capitale di Azov. Misero sotto assedio anche la Città-Stato di Astrakhan, ma senza prenderla vista la valente difesa dei principi e coloni armeni insediati ai tempi del grande Eugenio.
Ad occidente Louis e gli austriaci avevano occupato una buona parte della Pianura Padana, ma erano stati fermati da Georgios Maniakes a Piacenza ed erano stati respinti anche presso Genova e Venezia.
Il magister militum per Italiam dovette però ringraziare i prussiani, che nell’aprile del 1738 inflissero una duplice sconfitta ai francesi a Plauen e agli asburgici a Görlitz, inoltre invasero la Boemia, perciò molte risorse vennero sottratte al fronte italiano per trasferirle nella Germania centrale.
Gli inglesi avevano inviato molto denaro ed esperti militari in Prussia, cosa che fece pendere la situazione verso gli alleati di Konstantinos, ma nell’estate dello stesso anno 80.000 russi invasero la Prussia orientale nonostante facessero tecnicamente parte della grande alleanza contro Ioustinianos, costringendo il sovrano a dedicarsi contemporaneamente a due aree geograficamente molto distanti tra loro. Questo voltafaccia russo, che cercava di cogliere risultati attingendo cinicamente a tutte le parti in lotta, isolò il paese diplomaticamente ma generò scompiglio negli assetti di entrambe le due grandi fazioni in campo.
Ioustinianos, conscio e addolorato del disastro che stava avvenendo nell’impero, decise di concludere il più in fretta possibile la contesa, marciando sul thema dell’Opsikion a fine agosto.
Konstantinos aveva però già abbandonato la regione, trasferendosi a Costantinopoli e lasciando a guardia dell’Ellesponto 20.000 uomini trincerati, che si dovevano sacrificare per ritardare la marcia nemica. Inutile dire che all’arrivo del primogenito questi gli si gettarono tra le braccia, dopo aver messo agli arresti gli ufficiali francesi e prussiani che erano stati loro assegnati.
Ora l’ultima cosa da fare per Ioustinianos era il sconfiggere le poche navi romane e britanniche rimaste nella capitale, obiettivo abbordabilissimo visto che la Neon Nautikon era tutta dalla sua parte fin da quando aveva abbandonato la città l’anno prima. Lo scontro quasi non ci fu, infatti gli equipaggi nemici, vista la sproporzione di forze, si arresero e permisero lo sbarco in Europa di 100.000 legionari e 300 cannoni.
Konstantinos, con i sogni infranti, la reputazione rovinata dalle sconfitte e dagli scandali e pochi seguaci si ritirò in Italia. Ioustinianos, oramai padrone della capitale, di tutto l’oriente e di alcuni settori occidentali che gli giurarono fedeltà come la Spagna, aveva solo da muovere in Italia per chiudere la questione.
Ma a questo punto si trovò contro tutte le potenze continentali, oramai desiderose di spartirsi le spoglie dell’impero, che offrirono l’appoggio a Konstantinos in cambio di ampie amputazioni territoriali.
Inutile dire che questi, pur di salvarsi il collo e ancora desideroso della corona, scelleratamente accettò.
Decine di migliaia tra francesi e tedeschi si riversarono come un fiume di ferro nei Balcani. I russi assaltarono la Crimea e si spinsero nei monti del Caucaso, attaccando Georgia e Armenia.
Solo la Prussia e l’Inghilterra decisero di cambiare alleanza e passarono dalla parte del legittimo basileus, che promise alla prima il sostegno militare e politico futuro per ottenere la supremazia in Germania e il titolo di kaiser, alla seconda vasti territori coloniali, che ora sembravano molto meno importanti dell’Europa.
Il 1739 si aprì così con le battaglie di Belgrado e di Herrmanstadt, che videro un ripiegamento generale imperiale, lasciando fagocitare i vassalli danubiani. Solo a giugno, presso Kossovo, l’astro nascente Thomas Palaiologos sconfisse in una battaglia di linea i francesi e qualche settimana dopo gli austriaci presso Bucarest, salvando così l’indipendenza della Valacchia e rendendo un po’ più sicuri i traballanti confini danubiani di Costantinopoli.
Una nuova ondata di terrore si impadronì dei romani quando 75.000 russi penetrarono in Moldavia e spazzarono via le guarnigioni del thema bulgaro che vigilavano le foci del grande fiume.
Lasciate sei legioni a Belgrado affinché vigilassero sul settore Thomas compì un’immane e straordinaria conversione, radunò effettivi e rincalzi durante la marcia e si fece dare ogni bocca di fuoco e ogni moschetto disponibile dalla capitale, arrivando presso Marcianopoli il 18 agosto.
Due giorni dopo affrontò per la prima volta i russi, facendoli ripiegare. Ci vorranno altre due battaglie combattute tra il 24 e il 27 agosto per farli sloggiare dal territorio imperiale e da qualche lembo di Moldavia, ma sarà dal nord che arriverà la salvezza per i romani.
Il 15 agosto, infatti, 44.000 prussiani avevano sbaragliato 82.000 russi presso la foresta di Tannenberg e stavano avanzando sulla costa baltica, mietendo vittorie su vittorie. Perciò l’imperatrice Anna si vide costretta ad inviare sempre più unità a difesa della sua capitale di San Pietroburgo, sottraendole dal settore sud e alleggerendo sostanzialmente la pressione sul Caucaso e in Crimea.
Un’armata romana agli ordini di Theodoros Doukas, ormai riabilitato, ottenne così una netta vittoria sul Vallum e poche settimane dopo liberava Azov e una vasta parte dell’Ucraina meridionale, riportando due vittorie sulle truppe zariste.
Thomas, ormai sicuro a nord, poté muovere a ovest, ma invece che partire da Belgrado e scontrarsi frontalmente con le armate franco-asburgiche attestate in Illyria e Dalmazia, preferì effettuare una grossa manovra aggirante, passando dalla Transilvania e percorrendo come un fulmine l’Ungheria.
Prima che gli alleati potessero richiamare abbastanza effettivi nel settore prese Budapest, bloccando così i rifornimenti e la via di ritirata a quasi 120.000 nemici attestati a sud. Respinse due deboli e mal organizzati attacchi che tentarono di libere la capitale magiara, poi si attestò a ricevere le forze che arrivavano stanche e provate da meridione.
Ad appena una decina di chilometri a sud della città sconfisse l’esercito alleato in un’epica battaglia campale, spazzando via metà delle forze nemiche tra morti, feriti e prigionieri, al prezzo di circa 10.000 uomini.
Subito dopo sia Parigi che Vienna avanzarono offerte di pace, anche perché i prussiani avevano occupato tutta la Boemia, i francesi avevano subito una grossa sconfitta navale presso Calais e si vociferava di uno sbarco britannico sul continente per rimpossessarsi della vecchia base marittima inglese.
I russi erano gli unici che si ostinavano a voler continuare il conflitto fino ad aver ottenuto il pieno controllo o almeno l’influenza sull’Ucraina.
La loro risolutezza portò il proseguo del conflitto all’anno successivo, con tutti i contendenti che, prostrati e con eserciti e finanze a pezzi, combatterono una guerra di logoramento basata su assedi e poche scaramucce, con il fine di stabilire con precisione un confine o avere un vantaggio nelle future trattative.
Solo quando Thomas assediò Vienna e si incontrò con 20.000 prussiani la nuova sovrana Maria Theresia scese a più miti consigli e chiese un armistizio in vista di una futura conferenza di pace. Il nuovo magister militum praesentalis decise di accettare, visto che le sue risorse scarseggiavano e gli uomini erano stanchi e troppo provati per proseguire il blocco alle immense fortificazioni della capitale austriaca.
A nord fu Theodoros che, dopo aver subito un piccolo smacco a marzo, si rifece con una spettacolare vittoria sul Don, che gli valse una rapida avanzata incontrastata verso Kiev.
Quando si presentò davanti alle sue porte vi trovò i messi della tzarina, pronti a trattare un’armistizio. La pace era finalmente vicina. Louis, alle prese con una rivolta contadina scoppiata nella regione dello Champagne, decise di richiamare le sue armate in patria per ristabilire l’ordine.
Gli alleati di Ioustinianos non erano messi in condizioni migliori: i britannici erano alle prese con una rivolta di cattolici in Irlanda e Scozia, che proclamarono loro sovrano l’ultimo Stuart rimasto in vita, erede della precedente dinastia che aveva governato il paese prima degli Orange olandesi e degli Hannover tedeschi. I prussiani erano semplicemente impossibilitati a fare altro, in quanto il loro piccolo paese, già poco popolato, aveva perso in tutte quelle battaglie vittoriose il 50% della sua popolazione maschile attiva.
La guerra per la successione si fermò, ma solo perché nessuno era più capace di sostenere i suoi costi dopo quattro durissimi anni.
Alberto Massaiu
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