La cosa più tragica della guerra civile appena conclusa fu il suo risultato. Ioustinianos, infatti, non era riuscito a sconfiggere definitivamente il fratello, che rimaneva a Roma protetto dalle armi francesi e austriache, che poterono così instaurare una sorta di protettorato sui themata del nord, dove i loro rappresentanti facevano il bello e il cattivo tempo.
Konstantinos sarebbe rimasto in questo minuscolo dominio a recriminare sulla sua sfortuna e Ioustinianos forse sarebbe riuscito a restaurare il prestigio e l’unità imperiale con una successiva campagna, ma il fratello maggiore si spense senza eredi il 4 novembre 1740. Rimasto il solo pretendente al trono, Konstantinos non si fece scrupolo di abbandonare l’antica capitale appena restaurata nel suo rango e si installò nel Mega Palation di Costantinopoli, ottenendo l’incoronazione ufficiale ad Aghia Sophia il 1° gennaio del 1741.
Se l’inizio della sua carriera politica era stato fallimentare, i suoi dieci anni di regno furono catastrofici. Tra alcol, amanti e droghe importate dall’oriente debilitò completamente il suo fisico e la mente, perdendo tutto il fascino e il carisma che gli avevano permesso il tentativo di scalata al potere degli anni precedenti.
La sua scelta di ministri e comandanti militari si basava unicamente sul nepotismo e la corruzione più abbietta. L’aristocrazia e i ceti benestanti ne approfittarono largamente per accrescere la loro influenza a corte e impossessarsi di molte leve del governo, indebolendo il potere autocratico e rilassando i costumi. Questo clima sarà la base per la nascita dei movimenti culturali illuministi e repubblicani che porteranno al suo apice la crisi dell’Impero Romano per la fine del secolo.
Nel 1745 verrà aperto a Costantinopoli il primo salotto borghese da parte di Theodora Kantakouzina, due anni dopo il suo esempio sarà seguito da Madame de Bercy a Parigi e nel 1750 sarà la volta di Londra e Vienna. Stava nascendo la classe borghese, che presto ingaggerà una lotta senza quartiere per affermare i suoi diritti contro l’aristocrazia, il clero e il sovrano.
Tra il 1742 e il 1744 Konstantinos nominò entrambi i figli co-imperatori, con il nome di Romanos VII e Ioannes X. Al primo affidò le province orientali, con capitale Antiochia, al secondo le occidentali, con capitale Roma. Lui rimase basileus anziano nella Regina delle Città, ma praticamente tutte le funzioni di governo vennero delegate sempre di più a Lucia de Medici, sua moglie, che amministrò lo Stato insieme al suo amante Leon Dalassenos, lasciando in un angolo il “sovrano”, che passava le sue giornate a crogiolarsi nei fumi dell’alcol.
Leon Dalassenos era un giovane aristocratico di antichissimo lignaggio e di bella presenza. Alto, con una forte muscolatura temprata in guerra, occhi azzurri e una folta barba nera, era dotato di spiccata intelligenza, cultura, fascino e buon cuore aveva tutte le caratteristiche per essere apprezzato dal popolo. Insieme a Lucia, anche lei mille volte migliore del marito, tennero da soli a galla l’impero. Alla fine i due decisero di organizzare un colpo di stato per detronizzare il terzo incomodo nel 1746.
Purtroppo, all’ultimo momento, qualcuno tradì i congiurati e le guardie imperiali vennero scatenate prima contro di loro e successivamente contro l’intera capitale, giudicata complice del tradimento.
Oltre 60 alte personalità e 5.000 cittadini rimasero sul terreno in poche ore, vi furono 300 arresti e altrettante condanne a morte, mentre almeno altri 20 o 30 esponenti dell’aristocrazia e del clero andarono in esilio. Tra di loro figurava lo stesso Leon, che si rifugiò in Italia, dove nel 1747 si proclamò basileus cacciando Ioannes X.
La povera Lucia venne tonsurata e mandata in un monastero in Cilicia, dove si dedicherà fino alla morte a stendere un saggio divertente sugli usi di corte, intriso di pettegolezzi sugli aristocratici più in vista del tempo.
Ma torniamo a Leon, che con la sua elevazione alla porpora aveva portato alla scissione delle province occidentali. Quell’inetto di Konstantinos inviò un’armata nella penisola, ma Leon la sbaragliò presso il Gargano. L’augusto ci riprovò nel 1748, ma venne nuovamente sconfitto sia per mare che per terra dall’abile avversario, che raccolse sempre più consensi, oltre che in occidente, anche in oriente. Questi pensò allora di partire alla conquista di Costantinopoli, che sarebbe stata l’unico modo per rimettere in ordine le cose nell’Impero Romano.
Konstantinos agì d’anticipo, con una delle più antiche forme di strategia romana: chiamò dei popoli esterni perché attaccassero da tergo il suo nemico. Nel 1749 l’Austria, la Baviera e la Francia dichiararono guerra a Leon. Il ribelle si trovava così soverchiato da tutte le parti, con un esercito francese davanti a Nizza, uno di alleati tedeschi presso l’Illyria e un altro romano a Durazzo, pronto a sbarcare in Puglia.
Leon non avrebbe voluto portare lo scontro alle estreme conseguenze, ma vistosi con le spalle al muro decise di ricorrere agli stessi metodi dell’avversario, contattando la tzarina di Russia e lo shāh di Persia affinché attaccassero da tergo Konstantinos e i regnanti di Prussia e Inghilterra affinché ostacolassero Francia e Austria.
Il bellicoso Friedrich II non vedeva l’ora di avere un pretesto per poter occupare la restante parte della Slesia austriaca e non si fece pregare, mentre l’Inghilterra volle ulteriori concessioni mercantili a alcune basi navali negli oceani.
Ai primi di marzo Leon sbaragliò i francesi presso il Rodano ma non poté evitare l’invasione del nord della penisola da parte dei tedeschi e l’arrivo della flotta imperiale a Brindisi. In fretta e furia dovette ripercorrere a ritroso i suoi passi, bloccando gli austriaci a Verona e i bavaresi a Mantova, per poi procedere a marce forzate a sud. Laggiù, con le truppe esauste e decimate, si trovò contro 40.000 romani ben equipaggiati ed esperti.
Nonostante la situazione disperata decise di attaccare lui, rimediando però una cocente sconfitta, che lo costrinse a ritirarsi verso Roma.
Sarebbe stata di sicuro la sua fine, ma venne salvato dagli ormai storici nemici dell’impero. Infatti il 7 aprile i russi sconfissero un esercito ucraino-romano nei pressi di un guado sul Dniepr e il 16 i persiani superarono il Vallum Costantinii e penetrarono in Armenia e Georgia, sconfinando in Anatolia in tarda primavera.
Per sua fortuna Friedrich II aveva invaso la Sassonia e la Boemia, infliggendo dure batoste ad austriaci, sassoni e bavaresi, che dovettero ritirare molte delle loro forze dall’Italia. I francesi, che si stavano leccando ancora le ferite per la sconfitta di marzo, avevano anche perso una flotta in una battaglia navale contro gli inglesi ed erano tenuti in scacco da questi ultimi nelle loro colonie.
Leon poté cosi riarmarsi e bloccare le truppe di Konstantinos presso Benevento, ricacciandole indietro in Puglia e Lucania. Il 9 maggio Bologna capitolò alle armi austriache, che insieme ai francesi calarono verso le Marche e la Toscana. Leon dovette marciare ancora a nord per respingere la nuova minaccia, tamponando l’infiltrazione nemica a Fiesole e ad Ancona, ma la battaglia decisiva si combatté a Parma. Il 6 giugno 10.000 invasori rimasero sul terreno morti o feriti, con altri 6.000 prigionieri. I legionari di Leon avevano subito 7.500 perdite.
L’Italia era salva dagli stranieri, che si ritirarono oltre confine richiamati a nord dagli eventi incalzanti.
Infatti, sempre lo stesso mese, nelle piane della Sassonia Friedrich II infliggeva una devastante sconfitta ad un esercito combinato di oltre 50.000 tedeschi e francesi, invadendo poi la Baviera e prendendo Monaco. Il kurfürst della casata Wittlesbach si era rifugiato dall’alleata Maria Theresia a Vienna.
Leon fece la sua entrata trionfale a Milano il 23 giugno, da dove proclamò la sua titolarità a governare un Impero Romano unito, dal Mar Caspio all’Oceano Atlantico. L’eco del suo richiamo fu sentito fino a Costantinopoli, dove il mese successivo scoppiò una dura rivolta contro il folle sovrano, che per calmare i cittadini dovette abdicare in favore dei suoi due figli, Romanos e Ioannes. Sembrava che la sua disastrosa epopea politica fosse finita, ma il peggio doveva ancora venire.
Appena due mesi dopo, quando le acque si erano nuovamente calmate, Konstantinos decise di risalire sul trono. Ioannes, che era molto impulsivo e critico verso l’operato del padre, gli si oppose e venne incarcerato e condannato a morte per alto tradimento.
A questo punto anche Romanos, il primogenito, spinto dall’amore fraterno e dalla convinzione della follia del genitore, si ribellò.
Non ebbe naturalmente alcuna difficoltà a trovare alleati, compreso l’avversario Leon Dalassenos. Questi, infatti, molto intelligentemente aveva compreso che la loro guerra stava rischiando di mandare in frantumi il paese, con i nemici penetrati in Anatolia, Italia, Balcani e Caucaso. Con un veloce scambio epistolare i due si misero d’accordo, con Leon che avrebbe ritirato la sua candidatura al trono in cambio del titolo di megas logothetes oppure di magister militum praesentalis, con annesso il matrimonio con Eirene, sorella di Romanos e Ioannes.
Poteva essere una soluzione onorevole per tutti, ma Konstantinos ci mise ancora del suo. Rientrato in segreto nei Balcani, Leon si doveva incontrare a Filippopoli con Romanos per stabilire la presa di potere nella capitale. Ma il basileus anziano aveva scoperto la trama dei due, perciò aveva rinchiuso senza clamori in prigione anche Romanos, mandando al suo posto, nel luogo dell’appuntamento, un manipolo di sicari.
Il 15 novembre Leon stava banchettando con alcuni seguaci nel palazzo dello strategos della Bulgaria Georgios Lekapenos, in attesa dell’arrivo del principe ereditario. All’improvviso entrarono una trentina di soldati della Cohors Praetoria, un nuovo reggimento della Guardia Imperiale voluto da Konstantinos XV e a lui completamente fedele, che con moschetti, pistole e sciabole massacrarono tutti i presenti.
Leon, ferito ad un fianco da un proiettile, si trascinò fino ad una delle porte della stanza agitando la sua sciabola dorata, ma venne raggiunto e finito a colpi di baionetta. La sua testa venne poi spiccata dal busto e portata sotto sale al raggiante imperatore.
Konstantinos credeva di aver risolto così tutti i problemi, che la sua cecità e limitatezza mentale avevano ridotto all’infimo obiettivo di rimanere sul trono, sacrificando a questo fine la grandezza, il benessere e l’unità dello Stato.
Quando la testa di Leon Dalassenos venne esposta a Costantinopoli un esercito francese controllava tutto il nord-ovest italiano, da Milano fino a Firenze, mentre uno asburgico deteneva il Veneto, la Dalmazia e le Marche fino all’Umbria. Solo 33.000 legionari di Leon rimanevano a difendere la via di Roma, ma la loro lealtà era dubbia visto che erano stati reclutati, pagati, addestrati dall’uomo vilmente assassinato dal loro cosiddetto “imperatore”.
La situazione a est era ancora peggiore. Privi di guida e senza un punto di riferimento i soldati inviati contro russi e persiani avevano rimediato solo sconfitte, arretrando per la prima volta in tre secoli fino all’Anatolia. In luglio truppe russe avevano occupato di forza la Crimea superando il Vallum Tartarorum e in agosto erano penetrate in Armenia, spazzando via un esercito romano presso Teodosiopoli e assediando Trebisonda e Cesarea.
Da sud i persiani avevano investito prima i principi arabi, curdi, armeni e georgiani che fungevano da cuscinetto tra i loro domini e i themata di Siria, Mesopotamia, Georgia, Armenia e Palestina, per poi superare il Vallum Costantinii in più punti e sconfiggere le forze degli strategoi locali a Damasco e Aleppo. Il 12 settembre Antiochia aveva capitolato, separando l’Egitto e l’Africa dal cuore dell’Impero Romano.
Solo un insperata epidemia nelle truppe persiane e zariste aveva bloccato una loro ulteriore avanzata, ma nessuno dubitava che il 1750 avrebbe visto la capitolazione dell’oriente e dell’Italia.
Nel freddo inverno tra il 1749 e il 1750 Konstantinos dichiarò pubblicamente, all’apice della sua follia, che il 1° gennaio avrebbe fatto giustiziare entrambi i due figli traditori, per proclamare suo erede il nipote Konstantinos, nato da Romanos e Marie-Louisa d’Habsburg nel 1747. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Il 25 dicembre, durante la celebrazione di Natale presso Aghia Sophia, il patriarca Gregorios IV, dopo aver cercato di muovere a compassione e a raziocinio il basileus, lo proclamò insano di mente, lo dichiarò deposto e infine, per completare il tutto, lo scomunicò.
Rosso d’ira, Konstantinos ordinò il suo arresto ma una folla infuriata respinse i suoi scherani e scoppiò una rivolta generale. La capitale insorse, con i cittadini che per giorni assaltarono gli acquartieramenti della Guardia Imperiale, le caserme, i palazzi signorili, gli arsenali e le darsene militari dei porti della Neon Nautikon.
Konstantinos ordinò di cannoneggiare la folla e di rastrellare i quartieri dove gli scontri erano più accesi, con la disposizione di non fare prigionieri e incendiare gli edifici. In sei giorni morirono migliaia di cittadini, tanto che il basileus fu molto vicino ad avere partita vinta, ma il 1° gennaio, all’ordine di decapitare i due eredi al trono, anche l’esercito e la marina si ribellarono.
Antiokos Lekapenos, fratello di quel Georgios massacrato a Filippopoli insieme a Leon Dalassenos, prese il comando dei ribelli e di alcune navi della flotta, con i quali respinse gli assalti della oramai odiosissima Cohors Praetoria. Ioannes Kastriotas, grande amico dell’erede al trono, si riunì con Konstantinos Dracula e Andronikos Asen e portarono le loro legioni che difendevano i Balcani verso la capitale, per spalleggiare la popolazione contro il tiranno.
Ma il colpo più grande sarà il passaggio dalla parte degli insorti di Thomas Palaiologos, eroe della guerra precedente e unico grande comandante rimasto nell’impero dopo la morte di Theodoros Doukas, commissionata da Konstantinos XV durante le epurazioni seguite al tentato colpo di stato di Leon Dalassenos.
Il grande generale era in Anatolia per cercare di arginare russi e persiani, ma il 10 gennaio proclamò di essere fedele ai basilei Romanos VII e Ioannes X durante l’adunata della sua armata. Il giorno dopo 60.000 legionari si diressero verso Costantinopoli a tutta velocità. Il destino dell’Impero Romano era nelle loro mani.
Alberto Massaiu
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