La prima, grande mossa politica di Napoleon Konstantinos I fu l’avvicinamento con la Gran Bretagna. Egli aveva compreso che l’Impero Romano non avrebbe avuto modo di espandersi ulteriormente in Europa continentale senza far formare nuove coalizioni, perciò le ricchezze e il prestigio andavano accumulati all’estero.
Tra il 1848 e il 1851 vennero stilati una serie di accordi di scambio, commercio e delimitazione delle sfere d’influenza nel mondo. La leva che poté essere utilizzata in tal senso fu il comune timore verso la Russia. Costantinopoli voleva sbarrare l’espansione degli tzar in Ucraina, nel Caucaso e nei Carpazi, mentre la Gran Bretagna temeva l’influenza di San Pietroburgo in Asia Centrale, in quello che passò alla storia come “La partita a scacchi dei Tre Imperi”.
Questo nome venne coniato dal letterato romano Alessandro Manzoni nel 1857 quando Victoria, regina del Regno Unito, dopo aver sedato una terribile rivolta in India delle truppe indigene si fece autoproclamare imperatrice d’India per mettersi al passo dei sovrani di Costantinopoli, di San Pietroburgo e di Vienna.
Ad ogni modo Napoleon Konstantinos seppe giocare bene le sue carte. Offrì un pedaggio ridotto del 25% per ogni imbarcazione battente bandiera britannica che passava per il Canale di Suez e riconobbe il titolo imperiale d’India a Victoria, purché questa garantisse la sovranità di Costantinopoli sulle pentapolis di Goa, Neapolis, Karaikal, Yanaon e Kannur, oltre che nell’isola di Ceylon.
L’abboccamento del 1858 cementò la Megas Hetairea – o Grande Fratellanza – tra Costantinopoli e Londra. Determinò un monopolio globale tra le due Nazioni che lasciò poche briciole alle altre potenze, che si dovettero accontentare delle parti meno pregiate del pianeta nella grande febbre coloniale che venne inaugurata nel 1860 con la presa del Senegal da parte della Francia repubblicana.
Il conflitto con quest’ultima era stato la prima eredità avvelenata ricevuta da Napoleone II nel 1848. Questi aveva risolto la questione in maniera da tenere alto l’onore senza impegnare troppe risorse. Aveva infatti inviato il suo più competente generale, Herakles Sforza-Palaiologos, con un corpo di spedizione scelto di 40.000 legionari che si era unito alle truppe in loco. In breve tempo quest’ultimo aveva ripulito la Provenza e la Linguadoca, recuperando buona parte della Francia meridionale.
A questo punto, invece che intestardirsi in un conflitto che poteva riaccendere la brama d’intervento di altre potenze, aveva siglato una Pax Aeterna con Parigi. Con esso restituì ai francesi tutta la loro costa atlantica, mantenendo però il saldo controllo sulla costa mediterranea fino a Tolosa. Consegnò inoltre tutte le terre a nord fino a Lione, che rimase in mani romane. Tutta l’area venne riorganizzata nei themata della Gallia Prima e della Gallia Secunda, dotate di una maggiore autonomia per evitare pericolose rivolte nazionaliste.
Grazie a questa soluzione militare e diplomatica, i due paesi non ebbero più noie sul continente fino alla Guerra Franco-Prussiana del 1872.
Nel 1850 sposò la bellissima Maria Anna d’Austria, sorella del sovrano Franz Joseph, garantendosi se non un alleato, almeno un vicino tranquillo al di là del Danubio. In cambio dovette accettare la sua auto-incoronazione ad imperatore d’Austria-Ungheria. Per rimanere bilanciato e giocare con i due più potenti avversari in terra tedesca fece sposare la splendida cugina Alexandra Bonaparte – figlia dello zio Luciano, fratello del grande Napoleone I – al principe ereditario di Prussia, Friedrich, nel 1853.
Questa trattativa fu lunga e difficile, anche perché i Bonaparte non avevano il prestigio degli ormai scomparsi Komnenoi Palaiologoi e il basileus dovette mandare giù parecchi insulti diplomatici più o meno velati dalla iper conservatrice corte di Berlino. Ad ogni modo i due giovani si piacquero così tanto ad un ballo tenutosi a Venezia durante il Carnevale del 1852 che seppero far superare gli snobistici cliché da antico regime degli Hohenzollern, che alla fine capitolarono.
Le nozze si svolsero nella reggia del grande Friedrich II a Sanssouci. Come regalo ai novelli sposi Napoleon Konstantinos fece erigere a sue spese un nuovo palazzo poco fuori Berlino, in quello stile eclettico che fondeva motivi neogotici con modelli orientaleggianti greci e arabeggianti che da quel momento impazzò per tutte le corti d’Europa, soppiantando la moda cinese e giapponese che fino a quel momento aveva dettato legge tra i nobili più all’avanguardia.
In questo stile, detto neo-imperiale, si fondevano il mosaico ieratico di foggia greco-ortodossa e le decorazioni floreali musulmane con le dinamiche guglie, le ampie vetrate multicolore e le svettanti torri affusolate e decorate da gargoyle, draghi o altri animali fantastici. I temi trattati erano però figli di quell’era moderna: non più motivi religiosi come il Cristo Pantokrator o la Theotokos , ma politico-militari come incoronazioni, parate, battute di caccia o grandi battaglie.
Napoleon Konstantinos fu un grande amante delle arti e un convinto assertore della modernizzazione a tutto campo del paese. Per tutta la restante parte degli anni ’50 e buona parte degli anni ’60 si lanciò anima e corpo alla riorganizzazione dell’immenso dominio romano.
In primo luogo si dedicò alle terre d’oltremare, in cui soffiavano venti d’indipendenza. Giocando d’anticipo creò degli Stati Clienti dotati di ampia autonomia che vennero denominati Civitates Clientes o Res Publicae Foederatae. I suoi cittadini mantenevano una doppia cittadinanza, quella romana e quella nazionale del proprio paese.
Il loro rango internazionale venne stabilito come principati extra limes, con a capo due consoli eletti ogni cinque anni da assemblee locali ricalcate sul modello del Senatus costantinopolitano, ma che necessitavano di un’approvazione formale da parte del basileus. Queste Nazioni vennero dotate di una politica estera limitata ai commerci e agli accordi non militari, ma potevano inviare loro ambasciatori in qualsiasi paese del mondo. Permaneva però il vincolo di assistenza verso Costantinopoli in caso di guerra e di fornire un accesso privilegiato per i romani ai loro mercati e alle loro materie prime.
Il primo paese ad ottenere questo riconoscimento fu il Brasile nel 1853, poi seguito dal Messico nel 1855 e dalla Grande Colombia nel 1856. In tal modo tutti i territori continentali colombiani di lingua greca furono riorganizzati in tre grandi Stati Clienti, mentre i romani mantennero il dominio diretto sulle isole dei Caraibi divise con inglesi, francesi e olandesi.
Questa mossa, a prima vista condannata da molti monarchi europei come un segno di debolezza, in verità fu la salvezza dell’alta sovranità e dei privilegi dei romani in quelle zone fino ad oggi, un legame di clientela che, seppur sempre più formale è sopravvissuto a ben tre guerre mondiali nel XX secolo.
Cosa non da poco, l’equipaggiamento di flotte e armate di questi tre paesi riempì di commesse le fabbriche e i cantieri navali di Costantinopoli, Alessandria, Napoli, Siviglia, Atene, Damasco, Milano, Marsiglia, Tessalonica e Cartagine, dando una bella spinta all’industrializzazione romana, che si vedeva impegnata in una lotta a tre – ben presto a quattro – con Inghilterra e Francia, a cui si aggiungerà la Germania imperiale dal 1873.
Napoleon Konstantinos promosse anche la rete ferroviaria, che sotto il suo regno divenne la più estesa al mondo. Grazie alla nuova tecnologia a vapore, nel 1866 venne inaugurata la prima ferrovia che collegava Roma a Costantinopoli, passando da Milano e collegandosi fino a Marsiglia. In tutto oltre 3.000 km di strade ferrate completate in appena cinque anni dalla posa del primo binario. Visto il grande successo di pubblicità, subito dopo ne venne cofinanziata un’altra niente poco di meno che dallo shahanshah di Persia Nasser al-Din e dallo al-sharif della Mecca e di Medina Abd Allah. Ovviamente i capitali messi a disposizione da entrambi vennero prestati da un cartello di banche romane, britanniche, francesi, tedesche e americane in cambio di tutta una serie di privilegi commerciali in quelle terre.
Questo nuovo tratto partiva da Prousa, al di là del Bosforo, e giungeva fino a Baghdad da un lato e la Mecca dall’altro, passando ovviamente per la Città Santa di Gerusalemme. A spese del basileus venne esteso il tratto fino ad Alessandria ed Heliopoli, il nome assegnato ormai da tre secoli all’antica capitale mamelucca del Cairo. In totale altri 5.320 km che vennero realizzato in appena dieci anni e sei mesi, completata nel 1879 con una sontuosa celebrazione a Gerusalemme in cui vennero invitati tutti i regnanti più importanti della terra, compreso il neanche trentenne tenno giapponese Mutsuhito, che aveva avviato di recente quel processo di rinnovamento e modernizzazione del suo paese che è passato alla storia come periodo Meiji.
Nel 1853, infatti, una piccola flottiglia militare americana, comandata dal commodore Matthew Perry, aveva forzato il paese ad aprire le porte al commercio occidentale. Al contrario di altre Nazioni, però, il Giappone non era rimasto passivo a subire le preteste coloniali europee e statunitensi, ma si era lanciato in una coraggiosa corsa per recuperare il divario tecnologico perduto con il forzato isolamento seguito alla fallita invasione romana delle isole compiuta dal magister militum Ambrogio Spinola nel 1617.
Dopo aver sedato la ribellione conservatrice dei Boshin tra il 1867 e il 1869, Mutsuhito e i suoi ministri avevano cercato alleati che non volessero abusare del loro vantaggio tecnologico. Vista la politica moderata di Napoleon Konstantinos in campo internazionale e coloniale, la scelta cadde proprio suo romani, a cui in seguito si aggiunsero i tedeschi e in parte anche i britannici, che intervennero con finanziamenti, tecnici e ingenti risorse nell’ottica di rafforzare uno Stato amico che limitasse l’espansione russa e americana nel Pacifico.
Parlando di americani, tra il 1858 e il 1865 il basileus venne chiamato in causa ben due volte dal governo di Washington. La prima per arbitrare l’acquisto di vasti territori spopolati del neonato Stato Cliente del Messico da parte degli Stati Uniti, la seconda quando scoppiò la Guerra Civile tra unionisti e confederati nel 1861.
La prima andò in porto con grande soddisfazione di entrambe le parti. I messicani ortodossi di lingua greca erano pochissimi in quelle sconfinate regioni semi-desertiche che diventeranno in seguito il Texas, il Nuovo Messico, il Colorado, lo Utah, l’Arizona, il Nevada e la California, mentre la forte colonizzazione portata avanti dai protestanti americani era ben lieta di barcamenarsi con le feroci tribù indiane locali come gli apache, i sioux e similia. Il governo di Tenochtitlan si mise in tasca ben trenta milioni di dollari e il sostegno finanziario e tecnologico romano e americano per realizzare un canale presso Panama sul modello di quello di Suez.
La seconda non fu così semplice. Sia il presidente unionista Abraham Lincoln che quello confederato Jefferson Devis chiesero più e più volte il sostegno finanziario e materiale imperiale, ma Napoleon Konstantinos seppe giostrarsi senza impegnarsi direttamente con alcuna delle fazioni in lotta. Ma dove non intervenne Roma, lo fece Londra. Dopo la vittoria confederata di Gettysburg, in cui l’armata del Potomac venne sbaragliata dall’audace carica di Pickett ordinata dal generale Robert Edward Lee, la Gran Bretagna acconsentì all’invio di denaro, armi e rifornimenti al governo di Richmond. Il 9 luglio, una settimana dopo la battaglia, Davis e Lee entravano in trionfo a Washington, mentre Lincoln riparava a New York.
Nell’autunno dello stesso anno Lee sconfisse anche William Tecumseh Sherman a nord di Atlanta, ricacciando nella parte settentrionale delle originali Tredici Colonie le forze dell’Unione.
Pochi mesi dopo, nella primavera del 1864, tre vascelli corazzati usciti di recente dai cantieri di Southampton gettarono l’ancora davanti alla nuova capitale provvisoria. Erano un dono di Sua Maestà la regina-imperatrice Victoria ai suoi alleati confederati, che poterono minacciare di bombardare la città con proiettili incendiari in caso di mancata resa.
A quel punto in città scoppiò una rivolta e il presidente dovette riparare ancora più a nord, a Boston.
Fu a quel punto che, per evitare il totale collasso della causa unionista, intervenne la diplomazia romana. Un frenetico via-vai diplomatico tra Costantinopoli, Londra, Washington e Boston prese vita grazie ad una recentissima innovazione nella comunicazione: il telegrafo. Migliaia di km di cavi sottomarini collegavano fin dal 1860 l’Europa, l’Asia Minore, il Nord Africa romano e le Americhe, permettendo di mantenere un contatto diretto tra i governi in patria e i rispettivi ambasciatori in loco.
In tal modo il basileus poté concordare una pace di compromesso tra i vincitori confederati e gli sconfitti, ma non definitivamente debellati, unionisti. Gli Stati Uniti d’America ritornarono ad essere una repubblica confederale con un governo centrale ridotto ai minimi termini che garantiva un’amplissima autonomia ad ogni suo singolo Stato membro, secondo la dicitura letterale degli Articles of Confederation and Perpetual Union del lontano 1777.
Molte delle rettifiche che erano state apportate nella Costituzione del 1788 e diversi degli emendamenti seguenti vennero formalmente abrogate, riducendo gli Stati Uniti d’America ad un ruolo di attore secondario sul piano internazionale fino alla fine del secolo. Sia Lincoln che Devis si dimisero dalla rispettiva carica e le nuove elezioni del paese unificato fecero salire alla presidenza l’eroe di guerra Robert Edward Lee, che si mise subito all’opera per curare le terribili ferite del paese.
In cambio del suo aiuto alla parte vincitrice, la Gran Bretagna ottenne il protettorato sulle isole Hawaii, adocchiate da qualche tempo da parte di Washington, e in cambio fece cessare le sue rivendicazioni sull’Alaska che, nel 1895, verrà infine acquistato dal governo statunitense ai russi, in bancarotta dopo la catastrofica guerra che questi ultimi persero contro i giapponesi.
All’alba del settimo decennio del XIX secolo l’Impero Romano era così tornato ad essere l’ago della bilancia del mondo, bilanciato solo dal colosso russo e dal dominio talassocratico britannico. Ma un nuovo attore giunse alle porte della storia nella primavera del 1872: la Prussia di Bismarck.
Da quel momento le cose cambiarono radicalmente, aprendo scenari inediti di grande dinamismo e ambizioni sfrenate.
Alberto Massaiu
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