L’ultima serie TV che ho avuto il piacere di seguire è stata quella di Vikings, prodotta da History. Narra le gesta del mitico personaggio Ragnarr Loðbrók, primo vero “vichingo”, dalla sua ascesa come scorridore piratesco al suo dominio in Scandinavia.
Al di là della serie, che consiglierei a tutti coloro che sono interessati alle saghe nordiche visto che History ha curato molto bene la parte storica e culturale, ho voluto approfondire per voi alcuni degli aspetti del mondo norreno che ho giudicato più interessanti.
Partiamo dal principio, ovvero dal nome. Il popolo che noi comunemente definiamo vichingo è quello dei normanni, da “norse man” o uomo del nord. Il termine vichinghi viene dall’antico danese “vik”, che vuol dire baia. Per l’appunto i vichinghi erano quei normanni che abitavano nelle insenature sul mare, esperti commercianti e guerrieri, dediti al commercio come alla pirateria. Nelle saghe nordiche il termine viking alludeva genericamente ad una spedizione oltremare, e il vikingr era colui che vi partecipava. Nell’uso dell’epoca il termine era utilizzato più come un verbo, ovvero effettuare un viking – una spedizione -, piuttosto che come un sostantivo. L’accezione ora più comune deriva probabilmente dal significato datogli dai popoli che subivano le loro incursioni. Furono soprattutto i poveri anglosassoni, i quali popolavano l’attuale Inghilterra e venivano flagellati continuamente da questi predoni, che diedero al termine vichingo la connotazione di pirata e saccheggiatore.
L’epoca vichinga ricopre un vasto periodo, che comunemente spazia dal 793, anno del saccheggio dell’abbazia di Lindisfarne, fino al 1066, anno della sconfitta delle forze norvegesi nella battaglia di Stamford Bridge. In questo lungo lasso di tempo i normanni navigheranno per il Mar Baltico, il Mare del Nord, l’Atlantico e il Mar Mediterraneo, oltre che nei grandi fiumi dell’attuale Russia e quivi saccheggeranno, colonizzeranno, faranno scambi e condurranno epici scontri che hanno plasmato la memoria e le tradizioni collettive di tanti popoli diversi tra loro.
I vichinghi giungeranno infatti a conquistare e a colonizzare una parte della Scozia, dell’Inghilterra – creando il Danelaw – e quasi tutta l’Irlanda; fondarono una colonia in Islanda, esplorarono la Groenlandia e stabilirono un insediamento in America Settentrionale, ben cinque secoli prima di Cristoforo Colombo, a l’Anse aux Meadows, in Terranova; saccheggiarono la Francia e la Spagna e in Normandia fondarono l’omonimo ducato dal quale, uno loro diretto discendente chiamato Guglielmo il Conquistatore, nel 1066 partirà per conquistare l’Inghilterra; crearono un potente e ricco regno nel meridione d’Italia, strappandolo ai duchi longobardi, ai bizantini di Puglia e Calabria e agli arabi di Sicilia; stabilirono la loro potestà sulle terre russe che da una tribù norrena – Rus’, per l’appunto – presero il loro nome e nelle quali fondarono le antiche città di Novgorod e di Kiev; viaggiarono infine fino a Baghdad, Gerusalemme e Costantinopoli, dove militarono nella celebre Guardia Variaga – vareghi era il nome con cui i bizantini definivano i normanni – degli Imperatori di Bisanzio.
Ma come fecero a compiere tutte queste gesta? E soprattutto quando e come partirono? La spiegazione che venne data per buona per molto tempo fu di natura ambientale. Alla fine dell’VIII secolo ci fu un irrigidimento del già non mite clima scandinavo, che, unito ad un aumento della popolazione, costrinse questa gente ad emigrare.
In verità questa tesi appare alquanto semplicistica, dato che non tiene conto del fatto che i normanni si sarebbero potuti stabilire semplicemente più a sud, in Germania – dove oltretutto erano legati per stirpe, cultura e lingua alle popolazioni locali – o al massimo nei Paesi Bassi. La spiegazione più semplice è alla fine quella più probabile. I normanni erano da sempre commercianti, che fin dall’alba dei tempi portavano la loro preziosa ambra fino al Mediterraneo, per commerciarla con minoici, micenei, egiziani, fenici e infine greci e romani. Alla fine dell’VIII secolo l’Europa e il Mediterraneo erano squassati dalle invasioni degli avari ad est e dei musulmani a sud, era inoltre appena morto Carlo Magno e il suo immenso impero era squassato dalle guerre civili dei suoi inetti figli. L’intero scacchiere che un tempo, con Roma, era stato forte e unito, apriva immense opportunità per i vichinghi, che ne seppero approfittare al meglio.
La Normandia venne strappata al debole sovrano Carlo il Calvo, che aveva perfino rischiato di perdere Parigi, attaccata da una flotta normanna che aveva disceso la Senna. Il meridione italiano era diviso tra le fazioni papaline, longobarde, bizantine e arabe quando arrivò Guglielmo il Guiscardo a fare l’asso pigliatutto. Le isole britanniche erano spaccate tra i vecchi popoli britanno-romani, i clan irlandesi, i pitti e i regni anglosassoni di Wessex, Mercia e Northumbria. I normanni arrivarono prima come mercanti, studiando il territorio, le ricchezze, le forze e le debolezze militari e politiche di quei territori, poi passarono al saccheggio dei luoghi più indifesi, come monasteri e abbazie – che erano pieni di ricchezze e senza guarnigioni – e infine, quando si accorgevano di poter affondare veramente il colpo, arrivavano imponenti flotte di temibili drakkar, con centinaia di guerrieri e di famiglie per la colonizzazione.
La riprova di questa teoria sta proprio nella conclusione dell’epoca vichinga. I danni causati dai predoni normanni costrinsero i signori di tutta Europa a centralizzare maggiormente il loro potere, velocizzando il processo feudale con l’innalzamento di castelli e la creazione dei primi reparti stabili di cavalieri pesanti; a loro volta i normanni importarono due cose in patria, che si rivelarono mortali per la cultura vichinga: il sistema monarchico feudale e il cristianesimo. Il primo aspetto portò alla necessità di creare ordine. I pirati free-lance non erano più benvoluti in una Scandinavia, dove nascevano i regni di Danimarca, Norvegia e Svezia, dalla quale vennero quindi banditi. I guerrieri e gli esploratori erano passati di moda – perlomeno fino al XV secolo -, ora servivano soldati, amministratori e burocrazia. Quest’ultima, in un mondo semi-analfabeta, poteva venire solo dal clero cristiano, che venne chiamato a servire le nuove Corti.
Il prezzo dei loro servigi fu la conversione dei primi monarchi e la cristianizzazione forzata dei loro sudditi, processo che si svolse dal 960 e il 1030. Come era avvenuto anche nel mondo pagano mediterraneo, la Chiesa di Roma si affermò nei grandi centri, ma nelle campagne e nei luoghi più isolati si rimase fedeli alle antiche credenze. Ancora nel 1555 Olao Magno si lamentava delle difficoltà che avevano i sacerdoti a far abbandonare la vecchia fede ai contadini della sua diocesi. Quando infine si giunse al XIX secolo gli studiosi scoprirono, visitando alcuni di quei luoghi difficili da raggiungere, che si erano conservati quasi intatte diverse tradizioni, toponimi, canti e leggende.
Bene, abbiamo parlato un po’ di cosa i normanni hanno fatto, ora vediamo più da vicino il loro mondo. La fonte principale della nostra conoscenza sulle loro tradizioni viene da due testi del XIII secolo, l’Edda poetico e l’Edda in prosa. Il più antico è l’Edda poetico, conosciuta anche come Sæmundar Edda o Elder Edda, una raccolta di poemi sulla mitologia norrena tratti dal manoscritto medioevale islandese Codex Regius. Scoperto in Islanda dal vescovo di Skálholt Brynjólfur Sveinsson nel 1643, conteneva ventinove canti su dei ed eroi e il suo contenuto risaliva a tradizioni orali che andavano indietro almeno fino all’IX secolo.
L’Edda in prosa, conosciuta anche come Edda di Snorri o Edda recente, era invece un vero e proprio manuale di poetica norrena . L’intento del suo autore, lo studioso e letterato islandese Snorri Sturluson, era quello di preservare le antiche tradizioni del suo popolo. Questo perché aveva – per fortuna nostra! – compreso che per un aspirante poeta era necessario conoscere il retroterra mitologico norreno in modo da poter creare le kenningar, ovvero le metafore poetiche tradizionali. Le antiche kenningar erano infatti comprensibili solo per chi conosceva a fondo l’ancestrale tradizione degli uomini del nord.
Snorri Sturluson non lo sapeva ancora, ma stava redigendo il testo che è ancora oggi considerata la “Bibbia Norrena”. Senza il suo testo, scritto tra il 1222 e il 1225 per aiutare i giovani aspiranti poeti islandesi, ora noi conosceremo molto meno dell’antica religione dei vichinghi.
Com’era la cosmologia e la teogonia norrena? In primo luogo i normanni credevano che l’universo fosse diviso in nove regni: quello dove vivono gli uomini è detto Miðgarðr, letteralmente “Terra di Mezzo” ed è circondato dalle acque. Sopra di questo si trova Goðheimr, dove è situata la città di Asgarðr, la dimora degli dei Æsir, raggiungibile unicamente tramite un ponte d’arcobaleno detto Bifröst. Vi è poi Vanaheimr, dove dimorano i Vanir, divinità inferiori alleate degli Æsir. I Giganti del gelo vivono invece all’esterno del mondo, al Nord, in un luogo chiamato Jötunheimr. Vi è poi un regno sotterraneo simile agli inferi e dimora della dea Hel, perciò denominato Helheim, dove vanno i defunti. Nel Sud vi è poi il reame dei giganti del fuoco, Múspellsheimr. Infine ci sono i regni degli elfi chiari, Álfheimr, quello degli elfi Svartálfaheimr e infine il dominio dei nani, detto Niðavellir, dove si trovano immense e ricche miniere. Tutti questi mondi poggiano sull’albero della vita detto Yggdrasill, vero e proprio asse del cosmo. Tutti i regni sono visibili dal grande trono di Odino, padre degli dei e divinità legata alla conoscenza e alla saggezza.
Gli Æsir e i Vanir vanno a comporre il Pantheon norreno, dove i primi sono più nobili e potenti dei secondi, con i quali si dice abbiano guerreggiato all’alba dei tempi ma che col tempo si sono riappacificati attraverso matrimoni misti. Questo mito è probabilmente un antichissimo ricordo dell’avvento degli ariani indoeuropei in Europa, che hanno soppiantato le antiche divinità agricole e matriarcali con le loro guerriere e patriarcali. Questo dato si riscontra anche nel mondo classico, dove, con l’avvento dei micenei, Zeus e Ares vanno a sostituire i vecchi culti di Hera e Artemis dei popoli minoici.
Le divinità più importanti sono Odino, signore che tutto vede attraverso i suoi due corvi-informatori, talmente assetato di conoscenza da aver sacrificato un occhio per padroneggiarla appieno e davanti al quale vengono portati i guerrieri morti degnamente in battaglia affinché possano accedere al Valhöll o Valhalla; Thor, padrone del tuono, proprietario del martello Mjöllnir e protettore della razza umana; Baldur, figlio prediletto di Odino, ucciso poi da Loki; Loki, dio dell’inganno e degli stratagemmi; Freyr e Freyja, dei gemelli, fratello e sorella, legati alla pace, ai raccolti, alla fertilità.
Gli Æsir e i Vanir sono generalmente nemici degli Jötnar, che rispecchiano i Titani del mondo greco. Chiariamo però un punto cruciale. Le antiche religioni pagane indoeuropee non si possono ricondurre per nulla al nostro schema valoriale. Nella religione norrena, come in quella greco-romana o celtica, le divinità e le altre creature fatate non erano chiaramente divise tra il campo del bene e quello del male.
La divisione etico-morale tra BENE vs MALE è tipica della tradizione semitica che da Abramo in poi è arrivata, attraverso le tre grandi religioni monoteiste dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam – i cosiddetti popoli del libro -, fino ad oggi. Nel mondo occidentale la divisione era piuttosto basata sullo schema ORDINE vs CAOS. Loki, ad esempio, è il dio dell’inganno, dell’adulazione, del tradimento e causa spesso guai e lutti, ma nella religione norrena svolge un ruolo cruciale proprio nel preservare l’ordine cosmico delle cose, scombussolando il creato e quindi facendo muovere la vita, evitando la sua stagnazione. I titani, i giganti e i draghi, spesso combattuti da dei ed eroi, non sono a loro volta intrinsecamente malvagi. Sono piuttosto araldi del caos: rudi, selvaggi, vanagloriosi, avidi, incivili e primitivi. Gli eroi lottando contro di loro riportano l’ORDINE cosmico, in un continuo ciclo di distruzione e rinascita.
Su questa stesso concetto battono le credenze sulla creazione e sulla fine del mondo. Narrati dalla “Profezia del Veggente” o Völuspá, contenuta all’interno dell’Edda poetica, parlano di quando Odino evocò da Helheim lo spirito di una völva affinché gli raccontasse il passato e il futuro del mondo. Pur riluttante, lo spirito dovette cedere alle richieste di Odino, da sempre alla ricerca di nuova conoscenza, al quale raccontò ogni cosa:
“In principio c’erano il mondo del ghiaccio Niflheimr e il mondo del fuoco Muspellsheimr e tra di essi Ginnungagap, un “vuoto spalancato”, nel quale non viveva niente. Qui fuoco e ghiaccio si incontrarono, dando forma al gigante primordiale, Ymir e alla vacca cosmica, Auðhumla il cui latte nutrì Ymir. La mucca leccò il ghiaccio, dando forma al primo dio Buri, che fu il padre di Borr, padre a sua volta del primo Æsir, Óðinn, e dei suoi fratelli, Víli e Vé. Da Ymir discese invece la razza dei Giganti. Quindi i figli di Bor, Óðinn, Víli e Vé, uccisero Ymir e con il suo corpo formarono il mondo.
Gli dei regolavano il passaggio dei giorni e delle notti, così come delle stagioni. I primi esseri umani furono Askr ed Embla , formati dal legno e portati in vita ancora da Óðinn, Víli e Vé.
Sól è la dea del Sole, una figlia di Mundilfœri, data in sposa a Glenr. Ogni giorno cavalca nel cielo sul suo carro trainato da due cavalli chiamati Alsviðr e Árvakr. Sol è perennemente inseguita da Sköll, un lupo che vuole divorarla, e che prima o poi la raggiungerà. Fratello di Sol è Máni, la Luna, anch’egli inseguito da un lupo, Hati. Uno scudo, chiamato Svalinn, si interpone tra la Terra e il Sole, per impedire che questi bruci il suolo con la sua eccessiva violenza.
La veggente descrisse quindi il grande albero Yggdrasill e le tre norne che tessono le trame del fato ai suoi piedi. Quindi narrò della guerra primordiale tra Æsir e Vanir e l’omicidio di Baldr. A questo punto rivolse la sua attenzione al futuro.
Al termine del tempo le forze del caos prenderanno il sopravvento, spezzando le loro catene. Guidate da Loki, daranno il via al Ragnarök, la battaglia finale tra le forze dell’ordine e le forze del disordine. Le due forze contrapposte si annienteranno a vicenda, distruggendo con loro l’intera creazione. Dalle sue ceneri, tuttavia, un nuovo mondo risorgerà, una nuova coppia originaria, Líf e Lífþrasir, che si salveranno dal Ragnarök nascondendosi nel frassino di Yggdrasill , ripopolerà Miðgarðr, ricominciando così un ciclo di ascesa e decadenza”
Non so a voi ma a me ha affascinato tantissimo questo mondo così lontano da noi per tempo e tradizione, ma che al contempo trasmette una grandissima forza carismatica e mistica, con il suo immaginario che è capace di rapire ancora migliaia di giovani con le sue suggestioni.
Il genere fantasy stesso, nato con i capolavori di J.R.R. Tolkien – soprattutto il Silmarillion e il Signore degli Anelli, ma anche con i tantissimi suoi titoli meno conosciuti – e ora celebrato a tutti i livelli da migliaia di autori in tutto il mondo, è prova della vitalità e dell’attrattiva di queste antichissime saghe.
In un mondo come il nostro, animato spesso da piatti valori borghesi conditi di perbenismo cristianeggiante e istanze socialiste, dominato dalle leggi di un mercato e di una finanza che pochi comprendono ma che su tutto impongono il loro arbitrio, il guardare ad un passato glorioso e mitico non può che essere d’ispirazione a fare di meglio.
Alberto Massaiu
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