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Ascesa e caduta della potente Ungheria Tardo-Medievale
31 Maggio 2019

Quella che andremo a scoprire oggi è l’epoca d’oro della grande Ungheria Tardo-Medievale, iniziata dopo la fine della dinastia arpade – legata a quel Szent István o Santo Stefano che, cristianizzandosi, aveva collocato il paese all’interno del sistema internazionale del tempo – agli inizi del XIV secolo.

I due secoli che andremo a vedere sono stati protagonisti di quel continuo scontro che venne sostenuto da tutti i monarchi europei contro i loro nobili, nell’ottica di imporre un sistema moderno e centralizzato al proprio paese. Se Francia, Spagna e Inghilterra, alla fine, riuscirono in buona parte a concretizzare una certa disciplina giuridico-fiscale ai loro Stati, l’Ungheria fallì nel tentativo, disintegrandosi a causa di debolezze interne e minacce esterne.

Le premesse, però, apparivano ben più rosee rispetto agli altri “colleghi”. Alla fine del Trecento, infatti, il trono era passato dopo un periodo di interregno alla casata di origine francese degli Anjou di Napoli, nella figura di Carlo Roberto. Questi portò avanti una lotta senza quartiere contro i nobili, non convocando più la Dieta dei grandi aristocratici, promulgando leggi senza il consenso loro e del clero, creando una burocrazia di funzionari a stipendio che dovevano tutto a lui e privilegiando alcune casate minori – come i Drugeth, i Lackffys e gli Szécsényi – contro i più importanti magnati, seguendo la massima latina divide et impera.

Sfruttò al massimo i grandi complessi minerari d’oro e d’argento del regno, che corrisposero a circa il 30% delle estrazioni complessive del continente fino alla scoperta delle Americhe. Questo aspetto permise di battere moneta per finanziare la costruzione di fortezze e palazzi, l’arruolamento di mercenari ma anche di artisti e ingegneri, la conduzione di campagne militari all’estero e la repressione delle rivolte interne.

Reso sofisticato e orientato ad una visione internazionale dalla sua origine italo-francese, egli fondò la prima zecca nazionale che coniava monete d’oro con la sua effige sul modello del fiorino di Firenze, la valuta più pregiata dell’epoca.

Quando questi morì, nel 1342, lasciò un paese forte e solido al figlio Lajos, per noi Luigi il Grande. Il nuovo sovrano portò all’apice l’influenza e il prestigio dell’Ungheria, unendo sul suo capo anche la corona di Polonia e, in un paio di occasioni, anche quella di Napoli.

Lajos aveva un fratello minore, András di Anjou, che era diventato duca di Calabria sposando la regina di Napoli, Giovanna. Questa, però, non volle condividere il potere regale con quest’ultimo e, dopo una serie di manovre diplomatiche che coinvolsero anche il pontefice Clemente VI, alla fine i nobili napoletani uccisero András in una congiura in cui la moglie fu perlomeno connivente, se non partecipante.

Il fattaccio, che potrebbe esser tranquillamente stati d’ispirazione ad uno dei tanti complotti presenti nelle “Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” – meglio conosciuto per la serie TV di successo mondiale Game of Thrones – mise temporaneamente la parola fine all’influenza ungherese su Napoli nel 1345, ma aprì una lunga faida familiare e politica che si concluse solo nel 1382, con l’assassinio di Giovanna stessa ordinato dal cugino Carlo d’Anjou-Durazzo, re d’Ungheria e di Napoli.

Tornando a Lajos il Grande, questi invase Napoli per ben due volte – nel 1348 e nel 1350 – senza però riuscire a stabilizzare il suo dominio nel meridione italiano a causa dell’opposizione dei nobili e della Santa Sede, che sostennero Giovanna persino in un processo ufficiale in cui Innocenzo VI assolse quest’ultima in cambio della cessione alla Chiesa del dominio su Avignone.

Uscito scornato da questi accadimenti politico-militari, fu più fortunato contro Venezia, sua avversaria nel predominio della costa adriatica. Tra il 1346 e il 1358 impose a questi ultimi la pace di Zara, con cui s’impossessò formalmente della Dalmazia dal Quarnaro – in Istria – fino a Ragusa, che rimase sotto l’autorità di Buda fino al 1409, quando verrà riceduta a Venezia per 100.000 ducati d’oro.

Nel processo sottomise buona parte dei signori bosniaci, serbi e persino bulgari sotto un formale dominio. Nel 1370, a 44 anni, divenne anche re di Polonia, gettando le basi di quell’unione dinastica che si riproporrà con la sfortunata dinastia degli Jagelloni – Jagellóház in magiaro e Jagiellonowie in polacco – che videro la disintegrazione del paese nei primi decenni del XVI secolo.

Lajos morì senza eredi maschi nel 1382, aprendo un’aspra lotta di successione tra la figlia Maria e Carlo di Durazzo – colui che farà fuori la regina di Napoli, Giovanna. La nobiltà alla fine scelse di concedere la corona a Sigismund di Lussemburgo, marito di Maria. Carlo dovette accontentarsi quindi del solo trono di Napoli, mentre il rivale divenne ben presto il monarca europeo più “titolato” del Medioevo fino all’ascesa di Karl V.

Sigismund, infatti, fu kurfürst o princeps elector imperii per il Brandeburgo, poi re d’Ungheria, Dalmazia e Croazia, ancora Rex Romanorum, poi re di Boemia e infine kaiser del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica.

Anch’egli dovette riportare ordine nell’anarchia dei grandi magnati ungheresi, che avevano approfittato dell’incertezza nella successione per appropriarsi di terre regie e riesumare antichi privilegi a scapito della corona. Al contempo fu il primo sovrano a dover affrontare la fatale forza esterna che porrà fine all’Ungheria, gli ottomani.

Tutto era iniziato con il despotes di Serbia Stefan Lazarević che, dopo la morte del padre alla battaglia di Kosovo Poljie nel 1389, si era sottomesso al padişahları – sultano – Bayezid. In tal modo aveva privato l’Ungheria del suo Stato cuscinetto meridionale, aprendo la strada ai turchi verso il cuore dell’Europa centrale e orientale.

Sigismund si mise a capo di quella che è passata alla storia come la penultima Crociata, che finì tragicamente a Nicopoli nel 1396. Qui i cavalieri cristiani giunti dalla Francia, dalla Germania e dalla Borgogna non badarono alla strategia saggiamente prudente del sovrano, caricando a testa bassa il nemico. Travolsero le prime due linee ottomane, ma quando il loro impeto si fu esaurito vennero contrattaccati e travolti dalla crema delle forze di Bayezid. Quella che sembrava una vittoria si era trasformata in pochi minuti in un completo disastro.

Tornato con il prestigio ammaccatto in Ungheria, Sigismund fondò nel 1408 il celebre ed evocativo Ordine del Drago, in latino Ordo o Fraternitas Draconis, un ordine cavalleresco militare che univa nobili di ogni Nazione nella lotta contro l’eresia hussita e la minaccia musulmana. Questa istituzione fu di breve durata – scomparve alla sua morte – ma unì sotto le sue bandiere tantissimi uomini celebri del tempo tra cui Alfons V d’Aragona, Ferdinando di Napoli, il “Duca di Ferro” Ernst Habsburg di Stiria, Carinzia e Carniola, Vytautas il Grande di Lituania, Gjergj Kastrioti Skënderbeu – meglio conosciuto da noi in Italia come Giorgio Castriota Scanderbeg e, infine, il futuro reggente d’Ungheria János Hunyadi e, reso famoso dalla fantasia di Bram Stoker, Vlad III Dracula di Valacchia (di cui ho scritto in questo articolo).

Morto Sigismondo nel 1433, vista l’ennesima mancanza di eredi maschi diretti il trono passò al genero Albrecht II d’Habsburg, herzog d’Austria e re di Ungheria, Boemia e Re dei Romani, anche se non riuscì a farsi mai incoronare ufficialmente kaiser in quanto morì di dissenteria nel 1439, durante una campagna infruttuosa contro i turchi.

Gli successe il giovanissimo Władysław III di Polonia, di appena 16 anni, con il nome dinastico di László I d’Ungheria. Unite le corone sotto la dinastia degli Jagelloni, invece che rafforzare la presa della monarchia sul paese questa s’indebolì ulteriormente. László ottenne però il supporto del potentissimo signore della Transilvania János Hunyadi, con il quale condusse delle vittoriose campagne contro i turchi tra il 1439 e il 1442.

Questo fatto spinse il papa Eugenio IV, che nel 1438 aveva incassato dal disperato basileus Ioannes VIII Palaiologos l’unificazione sotto l‘autorità del pontefice tra la Chiesa greco-ortodossa e quella latina, a promuovere una Crociata per cacciare gli ottomani fuori dal continente, salvando Costantinopoli.

Vi parteciparono forze ungheresi, polacche, boeme, valacche, moldave, lituane, albanesi, serbe e italiane. I cristiani coalizzati assommavano a circa metà delle forze nemiche, ma erano meglio corazzati e animati da sacro furore religioso. Per buona parte dello scontro Hunyadi seppe tener testa ai turchi, finché il suo giovanissimo sovrano appena ventenne, accecato dalle visioni di onor cavalleresco, si fece massacrare in un’avventata carica condotta sconsideratamente contro i disciplinati giannizzeri.

Morto il re, l’esercito si squagliò come a Nicopoli, andando in mille pezzi.

La morte del giovanissimo monarca portò al potere il figlio di Albrecht II, László il Postumo, di appena 4 anni. Egli era formalmente signore dell’Austria e sovrano in Ungheria, Dalmazia, Croazia e Boemia, ma il potere venne demandato al reggente Hunyadi, uomo forte del momento.

Egli passò tutti gli anni successivi a respingere gli attacchi turchi, che divennero ancora più invasivi in seguito alla caduta di Costantinopoli nel 1453. Hunyadi divenne il signore di Severin, di Transilvania e della più importante roccaforte cristiana dei Balcani: Belgrado. In tale contesto di guerra totale sottomise brutalmente la Valacchia, uccidendo Vlad Dracul e suo figlio Mircea, rispettivamente il padre e il fratello maggiore del famoso Vlad III Dracula, passato alla storia come Țepeș o l’impalatore.

Archiviato questo successo nel 1447, marciò contro i turchi e i loro vassalli moldavi l’anno successivo, catturando lo strategico porto-fortezza di Chilia sul Danubio e installando sul trono il voievod Petru II. In quei mesi, però, a causa del tradimento del signore di Serbia Đurađ Branković, egli venne intercettato e sconfitto dagli ottomani nella seconda battaglia di Kossovo.

Tra il 1453 e il 1456 il condottiero, chiamato con terrore dai turchi il “Cavaliere Bianco”, visse la sua massima fama. Nominato dal tredicenne László il Postumo “capitano generale del Regno”, condusse le sue forze nella difesa di Belgrado contro 100.000 soldati agli ordini di Mehmet il Conquistatore. Nell’estate del 1456 inflisse loro una cocente sconfitta, che portò alla totale disfatta del loro esercito. Purtroppo, il valente condottiero non poté festeggiare a lungo, in quanto contrasse la peste che serpeggiava nella fortezza e spirò ad un mese dal suo trionfo.

Gli successe al potere il figlio Mátyás Hunyadi, passato alla storia come Mattia Corvino per una presunta discendenza dall’antichissima gens romana dei Corvini, convenientemente individuata dal suo biografo di corte ufficiale italiano, Antonio Bonfini.

Morto László V nel 1458, questi riuscì a farsi eleggere re d’Ungheria ad appena 15 anni. Egli fu forse il più grande sovrano del paese, che resse con il pugno di ferro fino al 1490. Il problema principale era sempre uno: i grandi aristocratici, virtualmente indipendenti dalla corona. Mátyás mosse loro una guerra spietata, talvolta anche sul campo di battaglia. Si arrogò del diritto di promulgare leggi e imporre tasse straordinarie senza il consenso della Dieta Nazionale, abolì le esenzioni fiscali e privilegiò i mercanti e i cittadini contro le pretese di clero e aristocrazia. All’apice del suo potere il paese vantava un gettito annuo di 650.000 fiorini d’oro, con cui poté pagare un esercito professionale stabile chiamato l’Armata o la Legione Nera, Fekete Sereg in ungherese.

Questa forza di uomini assoldati, addestrati, armati e pagati dallo Stato fu ispirata dalle letture dei classici romani e garantì un predominio assoluto di Mátyás nello scacchiere dell’Europa centrale. Al suo apogeo vantava 20.000 cavalieri, 8.000 fanti, dotati di armi da fuoco come archibugi e cannoni, rendendo le forze armate ungheresi le più temibili e numerose in tutto il continente, perfino superiori a quelle di Charles IX di Francia, unico a vantare un esercito stabile simile.

Sempre all’interno del suo disegno di riforma militare il sovrano può fregiarsi della nascita della tradizione degli ussari, formati dai serbi in fuga dall’avanzata ottomana. Questi ultimi erano tutti valenti cavalleggeri, coraggiosissimi e abili nelle imboscate, nelle perlustrazioni e negli attacchi a sorpresa. A centinaia andarono a formare reggimenti scelti che stabilizzarono la frontiera contro le incursioni dei razziatori akinji turchi.

Con tali forze a sua disposizione respinse la Sublime Porta e stabilizzò la frontiera meridionale, si alleò, poi imprigionò e infine si riappacificò con il celebre Vlad III Dracula di Valacchia, sostenne Ștefan cel Mare – il Grande – di Moldavia e ottenne la signoria sul ducato d’Austria e sul trono di Boemia.

Fu inoltre un grande mecenate, introducendo nei suoi domini l’Arte Rinascimentale italiana, avvicinando l’Ungheria alla sofisticata cultura umanistica del tempo. Lasciò ai posteri una delle più grandi raccolte librarie, la Bibliotheca Corviniana, che annoverava oltre 2.000 manoscritti e migliaia di volumi, e splendidi palazzi reali a Buda e Visegrád, realizzati da architetti fatti venire apposta dalla penisola.

Il suo grande progetto politico, purtroppo, fu vanificato dall’ennesima crisi di successione. Morto improvvisamente nel 1490, non ebbe modo di rendere solido il diritto di avvicendamento dinastico del figlio illegittimo János. L’assemblea dei nobili, che per decenni avevano odiato in silenzio il loro re accentratore, riuscì a far eleggere l’ennesimo Jagellone. Un altro straniero, figlio del re Kazimierz IV di Polonia, venne quindi insediato sul trono d’Ungheria e Boemia.

László VII e i nobili a lui fedeli smantellarono pezzo a pezzo il faticoso operato di Mátyás, partendo dal suo efficiente sistema di tassazione e – peggior danno tra tutti – dalla sua temuta Armata Nera. János Corvinus fu via via spogliato di tutti i suoi titoli e fortune, conservando solo i titoli di bán di Croazia e Slavonia, da dove difese con successo la Bosnia contro i turchi fino alla morte, giunta nel 1504.

László VII divenne così una marionetta nelle mani della grande aristocrazia, tanto da passare alla storia come il Re Dobže o il Re Farlocco. Questi riuscirono a diventare di nuovo virtualmente indipendenti, con una riduzione di tasse a loro carico del 70-80% rispetto all’epoca di Mátyás. I loro abusi verso i contadini, non più protetti dalla corona, furono tali che nel 1514 scoppiò una rivolta contadina d’immani proporzioni, che venne repressa faticosamente nel sangue.

Nel 1516, il paese stava andando in pezzi mentre saliva al potere l’appena decenne Lajos II. Re di Ungheria, Croazia e Boemia, l’ultimo degli Jagelloni del ramo magiaro ebbe appena il tempo di raggiungere i vent’anni – come il suo sfortunato predecessore László nel 1444 – per andare a morire nella più grande catastrofe militare subita dal paese nella sua storia: la battaglia di Mohács.

Nel 1526, infatti, 25.000 ungheresi affrontarono circa 70.000 ottomani, venendo massacrati dal primo all’ultimo, consegnando l’intero paese nelle mani turche.

Sulaymān, passato alla storia come il Magnifico e il Legislatore, in breve tempo si impossessò di gran parte del paese, sostenuto da parte dell’aristocrazia magiara capeggiata dal potente signore di Transilvania János Szapolyai. La restante parte, chiamata in seguito “Ungheria Reale”, venne ereditata dalla Casa d’Habsburg nella figura di Ferdinand, fratello del grande Karl V.

La fine ufficiale di quello che un tempo era stato un potente e orgoglioso regno giunse nel 1541, quando la Sublime Porta prese Buda e trasformò gran parte del paese in una provincia ottomana, fino alla riscossa austriaca a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo.

 

Alberto Massaiu

 

 

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Guerra  / Storia

Alberto Massaiu

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