Shigatse, 11 settembre 1938
Dal diario di Ernst Schäfer, untersturmführer delle SS
“Ieri Bruno ha visionato per la prima volta il corpo che abbiamo trovato seppellito nel ghiacciaio. Non era una vecchia mummia, come molto di noi avevano pensato in principio, quando intravedevamo a malapena una sagoma all’interno del suo guscio gelato.
Siamo rimasti tutti sorpresi nel trovare un uomo giovane, tra i venti e i trent’anni, abbigliato come un europeo. I tratti erano chiaramente caucasici, con capelli neri e occhi azzurri, perfettamente conservati dalle basse temperature.
La morte non era sopraggiunta per cause naturali, ma per una profonda ferita al costato, che aveva causato una forte emorragia. Aveva inoltre una brutta slogatura alla caviglia destra e il polso sinistro era spezzato di netto. Io ed Edmund siamo concordi nel pensare che le ultime due sono classiche ferite da esploratore: le rocce rese viscide dalla neve o dal muschio possono punire severamente anche il più esperto scalatore.
Eppure la prima è inspiegabile da questo punto di vista. Bruno è certo che sia stata un’arma bianca, un pugnale o una punta di lancia, vibrata con forza e volontà di uccidere. Chissà che questo poveretto non sia incappato in una banda di briganti che gli hanno fatto fare una brutta fine. I tibetani sono gente abbastanza pacifica, ma non si può dire chi abita in queste remote solitudini.
Oppure la spiegazione può essere ancora più misteriosa. Che cosa ci faceva un europeo solo, in questi luoghi? Che sia venuto qua per la nostra stessa ragione? Il Reichsführer Himmler è certo che da qualche parte, in queste sperdute montagne, vi sia il segreto della potente razza perduta degli ariani, i progenitori della nostra stirpe germanica. Che quest’uomo fosse alla sua ricerca? E chi è stato ad ucciderlo? Molte domande, che troveranno risposta solo dopo che Bruno riuscirà ad aprire il misterioso libro che abbiamo trovato nello zaino di quel poveretto.
È un tomo antico, come quelli che si possono trovare in vecchie e polverose biblioteche in qualche castello boemo o in un monastero. La copertina è di pelle rinsecchita, rinforzata da pesanti chiodi e barre di metallo, che terminano con una sorta di elemento meccanico a molla, unico metodo per aprire il volume senza danneggiarlo completamente con mezzi più invasivi.
Il metallo è strano, di giorno pare ferro brunito, ma di notte emette una strana luminescenza verdastra, arcana e malata, che ha messo molti di noi in suggestione.
Alla sua vista alcuni portatori monpa e nepalesi sono scappati terrorizzati, urlando che spiriti malvagi albergavano in quell’oggetto e sono state necessarie un po’ di sane nerbate per farli tornare al campo. Ora preferiscono alzare le loro tende quanto più lontano possibile dalle nostre e ho sempre il timore che possano disertare definitivamente. Per fortuna Baatar, il nostro capo guida, ha studiato a Calcutta in un collegio inglese e non crede in queste sciocche superstizioni. A lui e ad altri cinque uomini fidati ho assegnato il compito di sorvegliare i portatori con fucili e pistole pronte, rendendo chiaro a tutti che qui vige la legge marziale del Terzo Reich e che non ci fermeremo fino a quando non avremo delle risposte.
Abbiamo trovato uno strano oggetto, stretto come una morsa nella mano gelata del cadavere, che ci fa ben sperare. È una sorta di pendente, fatto di un metallo azzurrognolo opaco, di una lega a me totalmente sconosciuta, pieno di incrostazioni verdi, come se delle alghe marine vi si fossero depositate sopra, per secoli.. O forse, millenni. L’età del reperto, perché di un reperto archeologico deve per forza trattarsi, è di certo immensamente antica. Ha una forma sferica e, al suo interno, sono stati intagliati tutta una serie di cerchi concentrici, uno dentro l’altro, con una linea verticale che parte dal centro del più piccolo di questi e arrivava fino all’esterno, tagliando la figura in due.
La cosa più interessante, scoperta quasi per caso da Edmund ieri notte, è che questo oggetto si illumina della stessa luce delle parti metalliche del volume quando vengono avvicinati tra di loro. Una reazione che noi non siamo capaci di comprendere né di spiegare, ma di per certo curiosa e affascinante”.
Shigatse, 25 settembre 1938
Dal diario di Ernst Schäfer, untersturmführer delle SS
“Siamo riusciti ad aprirlo! Che cosa magnifica! Il testo è in greco, ma per Bruno questo non è stato un problema. È la copia del mistico Necronomicon, il libro compilato dal mago arabo Abd-al-Hazred, che scomparve secoli fa, si dice divorato dai demoni stessi che aveva tentato di evocare.
La cosa interessante è che il testo, redatto da un monaco bizantino nel tardo XIII secolo, è pieno di annotazioni in lingua inglese segnate a bordo pagina con una grafia minuta e irregolare, come se la mano fosse scossa da tremiti incontrollabili.
Queste frasi raccontano una storia incredibile, che sembra tratta da un racconto orrorifico come quelli di un Poe o di uno Stoker, mentre l’autore, un certo americano di nome Nathaniel Wesley, afferma che sono avvenimenti realmente accaduti circa una ventina di anni fa, tra il 1920 e il 1924, anno dell’ultima nota, scritta in maniera ancora più malferma, con toni allucinati, come se la mente del poveretto fosse ormai prossima al crollo definitivo, sperduta in un vortice di follia.
A quanto pare c’è un antico portale, lassù nelle montagne, che permette il collegamento con infiniti universi paralleli alla nostra realtà. Luoghi, a detta del morto, che permettono l’accesso di entità aliene al nostro mondo e che andava definitivamente distrutto per allontanare una chissà quale minaccia. A quanto pare è riuscito solo in parte nel suo intento, perché si è scontrato con delle strane creature, dei guardiani di quel luogo. Forse sono loro la causa della sua ferita mortale.
Ad ogni modo il signor Wesley ha officiato un rituale contenuto nel Necronomicon, che a sua detta avrebbe chiuso per sempre il portale, rendendo impossibile il suo utilizzo da parte dei seguaci di divinità innominabili. Il suo sconforto per non aver completato tutte le formule traspare dalle ultime righe trascritte, ma contava di allontanare la chiave dal santuario maledetto, seppellendola con se nelle nevi eterne.
Che sia il medaglione che artigliava nella mano con le ultime forze? Ad ogni modo questa storia ha scatenato in noi una grande curiosità. In quale strano sito archeologico si è imbattuto il nostro sventurato amico? Che sia un tempio degli antichi ariani, i cui discendenti ancora abitano nelle montagne più isolate e sperdute del mondo? Il loro temperamento sembra testimoniare le nostre fiere origini, di guerrieri che difendono il loro territorio da qualsiasi nemico esterno.
Siamo risultati tutti d’accordo nel lanciare una campagna esplorativa nella regione dove abbiamo trovato il cadavere, utilizzando le indicazioni per localizzare il sito. Porteremo con noi il libro e il medaglione, magari ci aiuterà a trattare con questi selvaggi antenati. E se non ci riusciremo, ci faremo largo con le armi, dimostrando agli ariani che i loro discendenti hanno sangue forte come il loro.
Potremo essere alle soglie di una scoperta straordinaria, che cambierà la storia di questo mondo.
Sieg Heil!”
Alberto Massaiu
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