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Capitolo 4 – La tempesta di Boston
24 Febbraio 2016

Ipswich, 5 novembre 1920

Questa notte una terribile tempesta si è abbattuta sulla città. Un paio di marinai giunti in tarda mattinata da Boston assicurano che non si era mai visto niente del genere fin dai tempi del naufragio dell’Aurora, nel 1912. Onde alte venti metri si sono riversate fin dentro la città, uccidendo quarantatré persone e lasciando dietro di loro una melma verdastra e maleodorante.

Alcuni parlano perfino di strani pesci, di forma dissimile da tutte le specie a noi conosciute. Il loro profilo, a detta del signor Foch, un vecchio lupo di mare che di cose ne ha viste tante, era irregolare. Non sgraziato, non brutto, ma irregolare… Che cosa avrà mai voluto dire? E come mai tutto sembra più strano e inquietante da quando ho aperto lo… – creeeaaaaak –

Che cosa è stato? Uff, sarà questo vento teso, portato dalla tempesta. I miei nervi sono troppo logorati da questa notte senza sonno. Proviamo a lavorare, magari mi rasserenerà…

– Rumore di meccanismi di un vecchio mangiadischi –

“… Ca-Cap-Capitano! Che prodigio è mai questo? Non ho mai visto un manufatto simile! E che strana manifestazione! È per caso una pietra esotica dotata di una qualche forma di luminescenza naturale? No? Lei mi dice che è una chiave che viene da dove? Dal continente perduto di cui parla Platone nel suo Timeo e nel Crizia? Suvvia, tutti sanno che i dialoghi del grande filosofo erano solo dei racconti pedagogici. Il maestro cercava, con degli esempi lontani, d’illustrare la perfetta città ideale, con la miglior forma di governo che solo ora, nel nostro grande paese, abbiamo finalmente raggiunto…

Un impero reale, custode di una sapienza superiore alla nostra? Amico mio, mi perdoni, ma lei straparla. Non ci sta una sola prova di quello che afferma e, per quanto devo ammettere che l’oggetto in suo possesso mi intrighi, non basta a farmi cambiare idea. Ci vorrebbe ben altro: un’iscrizione, dei ruderi, dei reperti non riconducibili ad altre civiltà a noi conosciute… 

Capitano Lex, lei può dirmi quello che vuole su quanto ha visto nelle Azzorre, ma è la sua parola contro… Aspetti, mi lasci finire, la sua è la parola di una persona con gravi danni psichiatrici dovuti allo stress da combattimento e… Lei ha qualcos’altro da farmi vedere?”

– Nuovamente il rumore del mangiadischi, con un click finale –

Il Capitano Lex aveva qualcos’altro! Che il nostro Dio misericordioso mi perdoni, se può. Ma a questo punto non so se è veramente l’unica deità capace d’influenzare le vite di noi poveri mortali.

Se la sua parola è una parola di conforto e amore, altri dei – o forse dovrei chiamarli demoni? – non sono altrettanto caritatevoli con noi.

La mia curiosità mi stava trascinando in un terreno altrettanto scivoloso delle strade di Boston quella maledetta mattina, ma non potevo farne a meno.

Io sono sempre stato un giovane curioso, ma pacato. Uscito dalla scuola evangelica del reverendo Abraham Lennox con una salda e rigorosa fede, mi ero prodigato negli studi con giovanile fervore. Nonostante l’incrollabile fiducia nel Signore la mia mente è rimasta fredda e scientifica, mai attratta dalle corbellerie e credulità che infettano fin troppo la nostra alta società decadente.

All’università ho avuto occasione di conoscere tutta una serie di giovani ricchi e annoiati, appassionati di esoterismo, spiritismo, mesmerismo e persino magia nera. Ma ho sempre rifuggito tutto ciò che il mio intelletto e la mia fede mi segnalavano come fallace.

Eppure… Eppure non seppi resistere alle parole del Capitano Lex. La luminescenza del suo medaglione si era placata e la cosa mi aveva in parte rasserenato, perciò lo incalzai con tutta una serie di domande su questa misteriosa spedizione nelle Azzorre. Ma per ogni parola che si aggiungeva al suo racconto un freddo sudore iniziò a scorrermi sulla schiena.

Il capitano parlava dei membri della spedizione non come degli uomini morti per incidenti di navigazione o di esplorazione, magari in grotta o in qualche periglioso scavo archeologico, ma rimaneva sul vago, come se si vergognasse… No, non era vergogna la sua. Era come se temesse di dirmi la verità.

E poi, alla fine, mi disse che se avessi voluto saperne di più, avrei dovuto vedere con i miei occhi. Non seppi trattenermi e gli chiesi che cosa mai avrei dovuto fare per chiarire la vicenda e lui mi parlò per la prima volta del libro.

Alberto Massaiu

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Alberto Massaiu

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