Ipswich, 8 novembre 1920
Sono riuscito finalmente a dormire. L’oppio e il whiskey mi hanno annebbiato talmente tanto i sensi che neppure gli incubi sono riusciti a raggiungere il mio cervello. Il mio è stato un sonno profondo, senza sogni.
Le occhiaie sempre più scavate e le rughe che stanno iniziando a solcarmi il volto stonano profondamente rispetto ai miei 24 anni. Dall’ultimo turbamento notturno ho potuto constatare che, quando faccio la toeletta la mattina, nuovi fili argentei si vanno ad aggiungere ai miei capelli corvini.
Non dormo bene, non lavoro bene. In questi mesi ho perso quasi tutti i miei clienti. Orari sballati, appuntamenti bruciati, fascicoli non aggiornati o confusi uno con l’altro non hanno giovato alla mia reputazione di professionista.
Eppure la mia ricerca non posso proprio interromperla. Ho avvertito sempre più spesso la sensazione, anzi no, la certezza, che non potrei interromperla manco se lo volessi. Sono state quelle pagine, forse ancora più delle parole del capitano Lex o il suo misterioso medaglione, a convincermi ad intraprendere questa perigliosa strada.
– Rumore di meccanismi di un vecchio mangiadischi –
“Mi faccia vedere bene.. Oddio questo libro avrà almeno quattro secoli. Riconosco lo stile delle stampe d’epoca elisabettiana! Veramente affascinante! I disegni sono addirittura incredibili! E questi simboli? Riconosco dei geroglifici, e questo è probabilmente cuneiforme… E quest’altro? Non mi sembra che appartenga a nessuna civiltà comunemente nota… Sembrano graffiti rupestri, più vicine alle rune scandinave che ai nostri alfabeti di origine fenicia.
Mi dica come ne è venuto in possesso… Non può? Su forza… Si apra con me, farà bene alla sua psicosi condividerne l’origine. Aspetti un attimo, perché si sta rabbuiando, amico mio? Va bene, va bene.. Aspetterò che se la senta di condividere con me questa storia, nel frattempo mi spieghi bene cosa ha scoperto in queste pagine”
– Rumore di meccanismi di un vecchio mangiadischi –
Avevo davanti a me un libro d’epoca Tudor, a cui si univano alcune tavolette in cuneiforme e un papiro tenuto all’interno di una piccola teca di vetro, talmente antico che avevo timore di aprire la protezione per non vedermi sbriciolare la carta davanti.
Ovviamente non conoscevo la lingua degli antichi egizi – ora si, ma non chiedetemi come l’ho imparata, è come se fosse sgorgata dentro di me in questi mesi, assieme agli incubi di un angoscioso e inquietante passato –, perciò il capitano Lex mi aveva portato la traduzione curata a suo tempo dal defunto professor Morgan.
John Dee, lo studioso dell’occulto vissuto ben quattro secoli prima, doveva aver avuto per forza accesso ad una copia parziale di quello che aveva rinvenuto il docente della Miskatonic University, perché molte parti del suo trattato trovavano riscontro nella traduzione dell’antichissimo papiro.
La cosa più straordinaria era il fatto che il testo originale egiziano era molto più lungo e completo rispetto al lavoro del dottor Dee. Se quest’ultimo era inquietante, con rozzi rimandi all’occulto, alla negromanzia e alla demonologia, quanto era scritto nel resoconto di Sonchis aveva un qualcosa di scientifico!
Vi erano elementi di topografica, nozioni di fisica, astronomia e geometria di cui ci siamo impadroniti solo nel secolo appena trascorso. Sfogliavo le pagine, zeppe di carte, disegni di strane macchine e animali immaginifici e scorsi chiaramente dei riferimenti geografici con latitudine e longitudine.
Alla mia domanda se queste fossero aggiunte del professor Morgan il capitano Lex mi rispose con un netto diniego. Chiunque fosse stato Sonchis, sapeva calcolare la latitudine con migliaia di anni d’anticipo rispetto a noi, che lo abbiamo scoperto giusto due secoli orsono!
Ero letteralmente allibito. Ricordo che quel giorno credetti fosse solo un’incredibile contraffazione, presa per vera dal troppo entusiasta ed eccentrico professor Morgan.
Alla fine trovai la mappa. Me lo ricordo, era il settimo foglio di papiro che ebbi modo di analizzare. Non dimenticherò mai quel momento. Rappresentava il nostro mondo, il mondo intero, mi capite? Vi erano raffigurate l’Europa, l’Africa, l’America settentrionale e meridionale, l’Asia, l’Oceania e persino l’Antartide, disegnate con una precisione millimetrica. Ma c’era qualcosa di più, c’era qualcosa di ancora più straordinario.
Le terre parevano inclinate in modo anomalo da come le vediamo noi, con un’angolazione che guardava i poli magnetici in maniera differente, lasciando il continente gelato che noi conosciamo con ampi spazi a climi temperati, adatti alla vita.
Sochis parlava di una guerra, una guerra combattuta da una razza umana superiore, figlia del potente dio del mare Poseidone. Questo immane conflitto, un antico armageddon che aveva sconvolto la vita di un mondo primordiale, aveva visto la quasi totale estinzione dell’umanità.
Armi capaci di annichilire popolazioni intere, abbattere città nello spazio di pochi istanti, nubi di fuoco e polvere incandescente che incenerivano uomini, donne, vecchi e bambini senza dar loro alcuna possibilità di mettersi in salvo. Armi divine ora perdute o nascoste nelle rovine dell’Impero che le aveva utilizzate nel tentativo di assoggettare la terra intera.
Un brivido inquietante mi percorse le membra, mentre il capitano Lex mi disse che la missione nelle Azzorre era partita con lo scopo di trovare le tracce di quella antica tecnologia, capace di donare ai suoi proprietari un potere immenso. Il potere degli dei.
Alberto Massaiu
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