Luogo sconosciuto, data sconosciuta
Sono arrivato alla fine della mia esistenza terrena. Ho poche forze che ancora mi sostengono e la mia mente contempla come un sublime balsamo l’oblio eterno. Ma non posso, anzi NON DEVO fermarmi! Forse il destino dell’umanità intera si deciderà questa notte e io non posso fallire, se voglio salvare milioni dei miei simili, ignari del cataclisma che sta per colpirli.
Non sono più negli Stati Uniti, sono mesi e mesi che viaggio da un capo all’altro del mondo, visitando i deserti dell’Arabia con l’ausilio del testo maledetto dell’arabo folle Abdul Alhazred, esplorando le sperdute isole polinesiane dove giace la tomba di Cthulhu, addentrandomi nelle cupe tombe egizie e babilonesi.
Tutto questo alla ricerca di una risposta. Una risposta che possa permettermi di ricacciare gli atlantidi nelle profondità degli oceani dove sono stati a suo tempo esiliati.
Un tempo erano come noi, lo sapete? Anzi, erano molto migliori. Vivevano fino a mille anni. Erano alti, belli e forti, senza alcuna menomazione o bruttura fisica. Non conoscevano malattia o infezione, erano grandi sapienti e prodi guerrieri, quasi invincibili in battaglia. Dalle ricostruzioni di alcune tavolette sumere e da un frammento egizio ho dedotto che fossero una sorta di incrocio tra uomini terresti e divinità venute dallo spazio più profondo.
Un tempo queste ultime scesero sulla terra e la loro memoria storica è diventata mito in ogni angolo della terra, in India, in Mesopotamia, in Egitto, in Grecia, in Scandinavia.
Costoro scelsero i migliori tra gli uomini sulla terra e si accoppiarono in qualche modo, generando una stirpe di semidei, a cui assegnarono un ampio dominio sulla terra e sul mare, come loro vicari con le altre tribù che componevano il genere umano di quei tempi remoti.
Ma la hybris si insinuò pian piano negli atlantidi. Erano sempre più affamati di tecnologia, bramosi di potere, avidi di conoscenza. Il loro capo, Promethéus, riuscì a rubare una delle fonti di energia che alimentavano le armi da guerra delle divinità venute dallo spazio più profondo, e ci fabbricò invincibili strumenti di morte.
Scoppiò un conflitto che coinvolse la terra, il mare e il cielo. Città fiorenti e civiltà sofisticate vennero spazzate via in nuvole di vapore, mentre i semidei lottavano contro i loro creatori. Furono innumerevoli i lutti che entrambe le fazioni dovettero subire, anche perché alcune divinità, invidiose del potere dei più anziani e saggi tra di loro, cambiarono fazione e si schierarono con Atlantide, equilibrando lo scontro.
Le fonti che ho pian piano accumulato non sono chiare sulla sua durata, ma concordano a proposito della sua fine. Le tavolette sumere di Uruk, il libro delle guerre di Yahweh, la stele di Nekhen nell’alto Egitto, alcune strofe perdute del Mahābhārata, tutte narrano dell’arma finale, uno strumento che perfino questi dei alieni avevano timore di scatenare. La traduzione più prossima nella nostra lingua è “La divoratrice di mondi”, ma è difficile esprimere un concetto così lontano dalla nostra povera lingua inglese e dal nostro livello tecnologico.
È buffo pensare che all’alba di questo glorioso XX secolo noi umani ci crediamo nel pieno rigoglio di una rivoluzione scientifica senza eguali, mentre le nostre scoperte sono ben lontane da quello che quegli esseri erano capaci di fare già millenni orsono.
L’intera isola di Atlantide, con la sua superba capitale di Kernes, si inabissò nelle acque ribollenti nel giro di pochi minuti, ma il potere sprigionato dall’arma coinvolse l’intero pianeta, facendolo sprofondare nell’oscurità più nera. Fu quello il momento in cui molti dei sconfitti, detti i Grandi Antichi, vennero puniti per aver aiutato gli atlantidi e relegati nei più remoti anfratti del mondo, chiusi in nere cripte sotterranee o al di sotto dei più profondi abissi dell’oceano. Cthulhu, il più potente fra questi, venne imprigionato nella sua capitale R’lyeh, anch’essa sommersa dai mari inquieti di quello che noi chiamiamo, poveri e beati ignoranti, Oceano Pacifico.
Eppure gli dei vittoriosi non ebbero il coraggio di porre fine alla vita dei loro simili e permisero al male di addormentarsi, nella speranza che mai nessuno lo destasse di nuovo. Ma molti atlantidi rimasero in vita, nelle roccaforti più remote, e impararono a nascondersi, mischiandosi con le genti barbare e facendo rinascere la civiltà nella Mezzaluna fertile.
Come abbiamo potuto essere così ciechi? Com’è possibile che da uomini barbari, che non conoscevano né agricoltura, né uso dei metalli, né architettura, fiorissero in così poco tempo civiltà evolute? Sono stati loro, gli atlantidi che decisero di rimanere sulla terra regnando come potenti sovrani stranieri tra gli uomini meno civilizzati, a tramandare le memorie della sapienza perduta prima della grande guerra.
Ma molti degli atlantidi decisero di seguire le divinità che si erano schierate con loro, fino all’esilio sottomarino. E queste ultime donarono loro una vita ancora più lunga dei loro padri, a patto che mutassero. Ora sono degli ibridi immondi, corrosi dall’odio per gli abitanti della terraferma e avidi di conquista.
Manca loro solo una cosa, un piccolo oggetto che sarebbe capace di spezzare le catene dei loro signori, permettendo loro di tornare ad esercitare il loro potere sulla terra, portandovi morte, caos e distruzione.
Non so se gli dei antichi, coloro che vinsero quella lontana battaglia, vivano ancora sulla terra. Forse sono ripartiti millenni fa, dimentichi di un piccolo mondo dove avevano combattuto contro alcuni dei loro fratelli. Forse di loro rimane solo il ricordo negli antichi testi vedici, nella Bibbia e nelle leggende di tanti popoli.
Ma il seme avvelenato che hanno lasciato sulla terra esiste, è reale e lo sento scuotersi, agitato e affamato, pronto a nutrirsi del terrore dei mortali. Ma io, alla fine, ho svelato l’arcano mistero che tanti prima di me hanno solo sfiorato.
Io so cosa devo fare per fermare tutto questo. Sarà il mio testamento al genere umano, un sacrificio immenso che, spero, rimarrà all’oscuro di tutti, perché ho scoperto sulla mia pelle che in taluni casi l’ignoranza è un balsamo sublime, mentre la sete di conoscenza porta a scoprire orrori e paure inimmaginabili, non adatte a noi poveri mortali.
Alberto Massaiu
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