Un famoso detto recita che Roma non venne costruita in un giorno. Allo stesso modo non cadde dall’oggi al domani, anche se questa è la percezione del neofita o dell’interessato occasionale della storia in generale e di quella dell’Urbe in particolare. A mio, parere, che da diversi anni ho avuto il piacere di studiare e approfondire il turbolento periodo che fa capo al V secolo, le vicende relative alla decadenza dell’Impero Romano d’Occidente risultano sfolgoranti di nera luce, con personaggi degni delle migliori tragedie greche, capaci di raggiungere vette di lirismo unico nel suo genere.
Stilicho, il semibarbarus che aveva un tale rispetto per la romanitas da dedicargli (e sacrificare) persino la vita, quando comprese che una sua resistenza militare all’ingiusta condanna a morte da parte dell’ingrata corte di Honorius avrebbe comportato il collasso definitivo dell’impero per l’ennesima guerra civile.
Allo stesso modo abbiamo i più cinici e lungimiranti, per quanto anch’essi incapaci di arrestare l’ormai sempre più drammatico evolversi degli eventi, Constantius e Aetius. Troviamo poi il più astuto, egocentrico, rapace e dannoso condottiero tra tutti, il barbaro Ricimerus, capace di fare e disfare – fisicamente – diversi imperatori, senza contare i generali, amici, familiari e membri della corte che intralciarono il suo cammino, fino allo scellerato ultimo sacco di Roma del 472, che avrebbe potuto essere comodamente indicato come la vera fine della romanitas occidentale, senonché la caduta di Romolus Augustolus e l’ascesa di Odovacer, primo re romano-barbarico d’Italia de facto, non avesse fatto propendere gli storici per la più famosa data del 476. Un’altra persona, un comandante poco conosciuto quanto Constantius, l’ultimo a potersi fregiare del titolo di imperatore-soldato, fu Maiorianus, un romano doc che venne tradito ed eliminato proprio dall’amico e collega Ricimerus.
Questo articolo parlerà del primo di questi due grandi condottieri, che in due momenti diversi (la situazione del governo di Ravenna al tempo di Constantius era molto più favorevole di quella di Maiorianus) cercheranno di rivitalizzare la sempre più marcescente struttura statuale, corrotta fino alle fondamenta e sempre più vuota di spirito, che alla fine fu causa della sua caduta più che le invasioni barbariche, che in altri tempi sarebbero state affrontate con bel altro risultato.
Constantius è il nostro primo protagonista. Nato a Naisso, città natale di Constantinus Magnus, fondatore della città di Costantinopoli e grande architetto dell’introduzione del Cristianesimo nel mondo ufficiale romano, era l’ennesimo soldato illirico uscito dai ranghi grazie ai propri meriti bellici fino a scalare la gerarchia militare. Era un uomo di Stilicho, con cui aveva militato in molte guerre e, nel caos seguito dal sacco di Roma del 410, dove Alaricus aveva potuto impunemente prendere la Città Eterna, sorse come nuovo uomo forte per riempire il gigantesco vuoto lasciato dal magister militum assassinato due anni prima.
Dalla sua, oltre che l’esperienza militare, aveva il sangue, totalmente romano. La situazione che gli era stata lasciata in eredità risultava a dir poco catastrofica: la Gallia e la Britannia risultavano in parte nelle mani dell’usurpatore Constantinus III e in parte in quelle di franchi, burgundi e alemanni. In Spagna stavano invece i vandali, i suebi e gli alani, mentre in Italia scorrazzavano i visigoti, che contavano tra i loro prigionieri presi a Roma perfino Galla Placidia, sorella di Honorius e, visto che questi era un inetto persino nel procreare, diretta portatrice della titolarità imperiale per i suoi figli.
I visigoti, tra i più civilizzati e romanizzati tra i barbari – perciò infidi e contorti quanto l’establishment imperiale -, avevano compreso di avere una carta da giocare di primo piano per patteggiare con il governo di Ravenna uno stanziamento di prima scelta all’interno dei domini occidentali. Constantius puntò per prima cosa ad eliminare l’usurpatore Constantinus III, autoproclamatosi imperatore in Gallia, Britannia e Spagna, oltre che il ribelle Heraclianus, governatore dell’Africa – territorio vitale per l’impero in quanto riforniva di grano la penisola – che si era ribellato a sua volta. Tra il 411 e il 414 il nuovo braccio armato di Honorius eliminò gli avversari con delle campagne lampo e delle vittorie campali nette e decisive. Si tolse anche lo sfizio di vedere giustiziato Heraclianus, l’uomo che aveva materialmente ucciso il suo maestro Stilicho, e Olympius, che aveva messo in piedi il complotto.
Sconfitti tutti gli usurpatori, Constantius ebbe a disposizione tutte le forze dell’Impero Romano d’Occidente per poter tentare un attacco ai gruppi barbari che si erano stanziati in Gallia e in Spagna. Nel 412 i visigoti, ora sotto la guida di Atawulf, si erano trasferiti in Gallia, dove contavano di stanziarsi. Il loro capo, dimostrando un acume politico simile al suo predecessore Alaricus, sposò Galla Placidia ed ebbe da lei un figlio, Theodosius, che sarebbe potuto diventare un pericolo gravissimo per il futuro di Honorius, in quanto unico erede di sangue imperiale, se non fosse morto poco tempo dopo.
Nel frattempo Constantius e il suo sovrano, ben determinati a riprendersi l’unica linea diretta con la legittima successione al trono, si misero all’opera. Il magister militum utilizzò la flotta e l’esercito per bloccare ogni tipo di rifornimento per il popolo visigoto, costringendolo ad abbandonare la regione, passando i Pirenei per trasferirsi in Spagna nel 415. La strategia del comandante romano fu premiata dalla sottomissione gota, che in cambio di grano per sfamarsi e terre in Aquitania, accettarono di diventare foederati di Ravenna e di combattere per conto di Constantius i vandali, gli alani e i suebi che infestavano la penisola iberica. In più, cosa ancora più importante, riconsegnarono Galla Placidia, ormai diventata vedova – Atawulf era rimasto vittima di una congiura – oltre che senza più il figlio, deceduto di stenti.
Per far dimenticare quanto accaduto, oltre che consolidare la dinastia, Honorius decise di darla in sposa al generale, che la impalmò il 1° gennaio del 417. La stella di Constantius stava salendo sempre più in alto, mentre questi cercava di arginare i barbari che si erano infiltrati all’interno dell’impero. L’insediamento visigoto in Aquitania rientrava proprio in questo disegno, in quanto perfetto per gettare uno sguardo sulla Spagna e al contempo sorvegliare i movimenti dei ribelli bagaudi in Armorica. Il magister militum, ora con le spalle coperte, poté muovere guerra in Gallia, riportandone buona parte sotto il controllo di Ravenna e istituendo accordi di foedus con i franchi, i burgundi e gli alemanni affinché proteggessero i confini renani in cambio di alcuni territori di frontiera sul Reno. Riuscì anche ad operare in Britannia, inviando un contingente difensivo che si installò nel sud, riportando un po’ di ordine dopo la rivolta di Constantinus III e le ripetute scorrerie di pitti, scoti, angli e sassoni.
Allo stesso modo, sfruttando i conflitti di faida tra i tre popoli che avevano sconfinato nella penisola iberica, Constantius riuscì a recuperare buona parte della regione, confinando vandali, alani e suebi in specifiche e ristrette parti, dove gli obbligò ad accettare trattati di foedus. Il suo progetto, che era anche quello di Stilicho e di Theodosius, era di inserire alcuni popoli barbari all’interno dell’Impero Romano d’Occidente, in modo da sfruttarne le doti belliche e integrarli al suo interno in una sorta di confederazione romano-barbarica sotto il governo di Ravenna.
L’idea, che forse all’epoca poteva parere accattivante, risultò deleteria. Solo un uomo forte, dotato di eccezionali doti di carisma e di perizia militare, oltre che del favore della corte ravennate, sarebbe riuscito a mantenere intatto quel precario equilibrio di popoli turbolenti e capi ambiziosi. Fino a quando ci fu uno Stilicho, un Constantius o, in futuro, un Aetius, la situazione pareva stabilizzarsi. Eppure bastava la caduta di uno di loro per vedere i trattati rigettati e le pretese dei barbari aumentare, mentre l’impero perdeva un territorio dopo l’altro e vedeva le sue risorse economiche e militari assottigliarsi.
La fine del generale coincise con il suo massimo successo politico. Diventato patricus, che da allora identificò la persona più vicina al sovrano, alla fine fu associato al trono dallo stesso Honorius, a cui aveva dato due nipotini di sangue reale con Galla Placidia: Valentinuanus e Iusta Grata Honoria. Nel febbraio del 421 divenne quindi co-imperatore con il nome dinastico di Constantius III, ma la vita a corte lo consumò rapidamente.
Questi era un rozzo soldato, abituato alla vita spartana degli accampamenti, alle battute volgari dei militi, al rigore della guerra. Fino a quando rimase nel suo elemento fu capace di ridare una parvenza di ordine al disastro seguito alla morte di Stilicho, rimettendo in riga tutti i barbari che avevano invaso l’impero, per quanto non fosse più capace di sterminarli o ricacciali al di fuori. Se fosse vissuto ancora, magari rimanendo lontano dagli agi di Ravenna, avrebbe potuto liberare almeno la Spagna, evitando quel futuro sconfinamento dei vandali che determinerà la perdita delle floride province africane e di Cartagine, che fu uno dei colpi mortali subiti dall’Occidente.
Purtroppo bastarono sette mesi di vita di corte per deprimerlo e corromperlo, tanto da portarlo alla morte nel settembre dello stesso anno d’insediamento.
Io ho trovato questa figura molto interessante: Constantius fu indubbiamente un grande generale, che risollevò le sorti di Roma e le permise di sopravvivere. Nel 410 la situazione dell’Impero d’Occidente non poteva essere più disperata, con l’Italia in balia di Alaricus, la Gallia in mano agli usurpatori e la Spagna occupata dai barbari e qui il magister militum riuscì nell’impresa di sconfiggere gli usurpatori gallici, di raggiungere un compromesso tutto sommato accettabile con i visigoti e di utilizzarli contro gli invasori della penisola iberica, eliminandone almeno una parte.
“Come quasi sempre avviene nei regimi a partito unico, quando Constantius morì non lasciò alcun delfino pronto a sostituirlo (lui stesso aveva fatto in modo che non ve ne fossero). E siccome Honorius era del tutto incapace di fare politica, toccò tra i più eminenti tra i subordinati di Constantius ristabilire l’ordine gerarchico all’interno dei propri ranghi. Il risultato furono dieci anni abbondanti di caos politico, finché verso il 433 non fu ripristinata un’apparenza di stabilità. La paralisi politica di Ravenna lasciò le forze armate straniere libere di perseguire i loro scopi, che nell’insieme andarono a tutto discapito dello stato romano”
Peter Heather, La caduta dell’Impero romano
Tutto questo ebbe però un costo: la Notitia Dignitatum, documento dell’epoca che ci mostra le forze romane in occidente, indica chiaramente che tra il 405 e il 420 le legiones e gli auxilia comitatenses erano ridotte grandemente, con oltre metà delle unità che scomparvero dai ruolini dell’esercito. Tali perdite non erano più facilmente rimpiazzabili con nuove leve regolari, vista la diminuzione del gettito fiscale dovuta alle devastazioni belliche, con conseguente improduttività dei campi, e alla perdita di vari territori finiti in mano barbara. Perciò le perdite enormi dovute alle guerre si dovettero colmare per lo più spostando reggimenti di limitanei (miliziani) nell’esercito campale, con conseguente perdita di quantità e qualità, mentre furono relativamente pochi i nuovi reggimenti campali costituiti tramite il reclutamento di nuove leve di prima classe. Perciò si passò sempre più ad un uso massiccio di barbari mercenari o leve di foederati, infidi o nel migliore dei casi legati alla personalità del magister militum di turno, perciò pronti a smobilitare dopo la sua morte o al primo cambio di linea diplomatica del loro popolo d’origine verso Ravenna.
Alberto Massaiu
2 Comments
Complimenti per il chiaro e approfondito articolo.
Grazie mille Stefano, è un piacere 🙂