Le strazianti vicende che spaccarono il più grande paese del mondo nei cinque anni che andarono dal 1917 al 1922 sono poco conosciute nel mondo occidentale, che sbrigativamente le liquida con la laconica storia che, nella notte tra il 6 e il 7 Novembre – 24 e 25 Ottobre per il calendario giuliano che seguiva al tempo la Russia ortodossa, da lì la dicitura Oktyabr’skaya Revolyutsiya o “Rivoluzione di Ottobre” – i bolscevichi presero il potere assaltando il Palazzo d’Inverno a Pietrogrado, simbolica sede dell’odiato potere zarista.
Ancora ancora si cita l’accordo di Brest-Litovsk, in cui Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin, accettò condizioni di pace dure ed umilianti nel marzo del 1918 per portar fuori la Russia dalla guerra, consegnando temporaneamente agli Imperi Centrali migliaia di stabilimenti industriali, centinaia di migliaia di chilometri quadrati delle terre più ricche e densamente popolate, oltre che enormi depositi di riserve naturali sparsi tra Polonia, Bielorussia, Stati baltici, Ucraina, Finlandia.
Infine vi è il capitolo cupo e al contempo misterioso che ha attratto la curiosità di avventurieri, truffatori e studiosi di tutto il mondo, ovvero lo sterminio dell’intera famiglia imperiale, svoltosi la notte tra il 16 e il 17 luglio del 1918 presso Ekaterinburg, in cui non vennero risparmiati neanche la giovanissima principessa Anastasija – celebre per il cartone Disney, che le regala un futuro alternativo dopo una serie di disavventure e la lotta con Rasputin – e l’erede al trono Aleksej, rispettivamente di 17 e di 14 anni.
Ecco, a parte questo, la Russia sovietica è data per assodata dopo la rivoluzione, per poi riapparire nel grande palcoscenico della storia come vittima dell’aggressione hitleriana nel 1941, vincitrice del Secondo Conflitto Mondiale sul fronte degli alleati per poi diventare, subito dopo, il nuovo nemico del mondo libero una volta esaurito il suo scopo come strumento di logoramento delle forze tedesche nel titanico fronte orientale, il più grande teatro di guerra della storia umana.
In questi articoli andremo invece a scoprire cosa accadde durante la Guerra Civile, che rimase per almeno due anni in bilico e che coinvolse, cosa ancora meno conosciuta ai più, quasi tutte le forze militari degli ex alleati della Russia zarista, ormai vincitori del Primo Conflitto Mondiale, che inviarono truppe, vettovaglie, denaro, armi e rifornimenti alle armate bianche nella speranza che queste ultime potessero restaurare l’antico ordine o perlomeno una democrazia oligarchico-autoritaria di tipo capitalista con cui continuare a commerciare senza il timore dell’esperimento comunista.
La Graždanskaja vojna v Rossii o “Guerra Civile Russa” travolse le vite di innumerevoli esseri umani, riportò il paese ad un livello pre-industriale e pre-moderno che azzerava i seppur timidi miglioramenti che la Russia era riuscita ad ottenere negli ultimi cinquant’anni e la condusse al suo quasi completo sfaldamento con secessioni, l’occupazione o la distruzione di buona parte del suo territorio più ricco, la carestia e l’interruzione dei più basilari moderni servizi pubblici che trasformarono Mosca e Pietrogrado in città spettrali, pericolose e degradate come mai visto prima.
Il suo teatro operativo risultava immenso, con i suoi 24 milioni di km² e gli oltre 170 milioni di abitanti. Questo potenziale umano e spaziale era stato rovesciato contro gli austro-tedeschi in un fronte che andava dal Baltico ai Carpazi e contro i turchi ottomani in Armenia, Georgia, Azerbaijan e Anatolia. Tra il 1914 e il 1917 ben quattordici milioni di soldati erano stati mobilitati e via via inviati al fronte, spesso con un solo fucile ogni due o tre soldati, a fare da carne da cannone contro gli esplosivi ad alto potenziale, le mitragliatrici e le truppe ben addestrate ed equipaggiate di Berlino, che ne aveva falciato in tre anni di guerra oltre la metà. Sono cifre da capogiro, capaci di mandare a pezzi anche il paese più forte e solido, cosa che la Russia non era. Nella sola offensiva Brusilov, organizzata nei mesi estivi del 1916 da un esercito dissanguato che contava già ben cinque milioni di perdite, la vittoria strategica sugli austriaci – poi vanificata dalla controffensiva tedesca – era costata un milione e mezzo di caduti, feriti, prigionieri e dispersi.
Le crude cifre, a questi livelli, perdono di umanità ed è difficile percepirle come tali. Eppure, a questi lutti infiniti vanno aggiunte le sofferenze di milioni di uomini e donne del paese che, ormai prostrato dal conflitto, moriva letteralmente di fame mentre l’inflazione andava alle stelle, generando mercato nero, sfruttamenti di ogni tipo e degradazione nelle città e nelle campagne.
Nikolaj II Aleksandrovič Romanov, imperatore di tutte le Russie, risultava cieco e sordo alle voci che si levavano dal suo popolo martoriato e dai comandi militari che, pian piano, si accorgevano che l’opposizione e la ribellione stavano montando tra la truppa, gli operai e i contadini. Stanco della leadership nella conduzione della guerra, decise di rimuovere il comandante in capo del suo stato maggiore, il cugino Nikolaj Nikolaevič Romanov, per prendere in mano lui stesso le redini dell’esercito, peraltro con risultati persino peggiori rispetto ai generali che lo avevano preceduto.
Tutto questo portò, quasi spontaneamente e in modo irresistibile ma non pianificato, ai disordini dei primi mesi del 1917, che a causa dell’ennesima riduzione dei rifornimenti di cibo in città, fecero scoppiare la rivolta dei soviet di operai e soldati – a cui si aggiunse perfino parte della polizia zarista, ultimo baluardo difensivo a favore della dinastia – a Pietrogrado.
Travolto dagli eventi, con la Duma – il parlamento russo che lui aveva sempre osteggiato e tradito, promettendo maggiori poteri legislativi nei bui giorni della prove generali di rivoluzione nel 1905 ma che poi si era rimangiato per tornare all’autocrazia – che aveva formato un governo provvisorio nella sua capitale, lo tzar decise di abdicare. In principio aveva pensato di lasciare il trono al figlio malato di emofilia Aleksej, all’epoca tredicenne, ma poi ci aveva ripensato in favore del fratello Michail Aleksandrovič Romanov. A questa decisione di abdicazione, stabilita il 15 marzo del 1917, si oppose il ministro della giustizia Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, vero leader di quella primissima fase rivoluzionaria, che riuscì ad ottenere la rinuncia al trono da parte di quest’ultimo già il giorno successivo alla deposizione di Nikolaj II, decretando de facto la fine del dominio trisecolare della dinastia Romanov sul paese e in generale della monarchia.
Da quel momento il potere effettivo passò a Kerenskij che, uomo carismatico membro del Partito Socialista Rivoluzionario, in principio alleato e poi avversario dei bolscevichi, più radicali nella loro lotta alla borghesia e ai membri del vecchio regime. Al contrario Kerenskij cercò fino alla fine di coinvolgere proprio questi ultimi, unendoli alla fazione socialista moderata nella creazione di un nuovo governo democratico-liberale su cui gettare le basi per il futuro del paese. Divenuto all’apogeo del suo potere e prestigio, oltre che ministro della giustizia, anche quello della guerra, prese però la fatale decisione di mantenere gli impegni con gli alleati di Francia e Gran Bretagna e proseguire così il conflitto contro gli Imperi Centrali.
L’ultima grande offensiva russa della Grande Guerra prese il suo nome e coinvolse ben quattro armate in Galizia. Durata appena venti giorni e costata altre 60.000 perdite, fu un pesante scacco per il governo provvisorio e indebolì grandemente la sua leadership, rimasta sorda alle sempre più forti richieste di pace del popolo ormai esausto. Lavr Georgievič Kornilov organizzò quindi un colpo di Stato militare che istaurò una breve ed effimera Repubblica Russa, che rimase in vita appena un mese ma bastò a forzare la mano a Kerenskij che si alleò, armandoli, con i bolscevichi di Lenin e Trotskij, che lo aiutarono a rovesciare il golpe ma di fatto posero le basi anche per la fine del suo governo.
Prima delle elezioni che non erano sicuri di vincere i due leader fecero scattare la precedentemente citata Rivoluzione d’Ottobre, con l’assalto al Palazzo d’Inverno celebrato dal film di propaganda “Oktjabr’” – “Ottobre”, di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, realizzato nel 1928.
Kerenskij fuggì nell’antica città di Pskov, da cui cercò di reprimere la ribellione venendo però sconfitto pochi giorni dopo a Pulkovo, ad appena una trentina di chilometri dal centro della capitale. Umiliato e consapevole di non avere più sufficiente sostegno per ribaltare la situazione, decise di espatriare in Francia, lasciando campo libero ai due fronti che si sarebbero scontrati negli anni successivi: i rossi di Lenin e i bianchi di Kornilov, Denikin, Kolčak, Judenič e Wrangel.
Alberto Massaiu
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