La prima decade dell’ultimo secolo del secondo millennio fu un’epoca contrassegnata da grandi speranze, una crescita esponenziale dell’Occidente ma anche una corsa agli armamenti senza freni.
La Germania, infatti, era diventata la prima potenza industriale del mondo, che nel 1905 aveva superato i livelli di produzione dell’acciaio di Gran Bretagna e Impero Romano messi assieme, che erano le potenze subito dietro di lei. Dal 1898 aveva inoltre avviato un ambizioso progetto di costruzioni navali, superando Costantinopoli, Stati Uniti, Francia e Giappone per numero di corazzate dreadnought per il 1909. Solo Londra poteva vantare un numero di unità d’alto mare superiore, ma sentiva sempre più il fiato sul collo dell’avanzata tedesca sugli oceani.
Al centro di tutto stava infatti un’idea che, velenosamente, si era insinuata in tutti i governi europei: ovvero di una prossima guerra che sarebbe risultata come l’ultima, in quanto avrebbe stabilito quale sarebbe Nazione avrebbe stabilito la sua egemonia sull’intero pianeta.
Pian piano, in relazione alle reciproche simpatie e rivendicazioni incrociate, si andarono a delineare una serie di schieramenti.
1 ) da un lato il blocco autocratico ecumenico-ortodosso, con Costantinopoli e San Pietroburgo che puntavano a difendere i loro vasti imperi che spaziavano in tutti i continenti.
2 ) dall’altro le potenze democratiche di Francia, Polonia e, seppur non desiderosa di entrare in conflitto, la Gran Bretagna. Le prime due volevano mettere in discussione i confini nazionali in quanto si sentivano amputate di vaste aree prese da tedeschi, austro-ungarici, romani e russi.
3 ) dall’altro c’era il blocco mitteleuropeo, con Germania e Austria-Ungheria, uniti dal timore delle rivendicazioni dei vicini e al contempo desiderosi (soprattutto la prima) di rivedere le assegnazioni di colonie nel mondo, alla cui corsa era arrivata in ritardo vista la recente unificazione.
Vi erano infine altre due nazioni non del tutto allineate, il Giappone e gli Stati Confederati d’America, che avrebbero potuto aggiungere il loro peso in una delle varie fazioni contendenti.
Se queste preoccupazioni di politica internazionale assillavano le menti di primi ministri e gabinetti, la popolazione stava vivendo uno dei periodi più brillanti ed entusiasmanti della storia umana.
Lo sviluppo dell’elettricità, del vapore, dei treni, delle prime automobili e perfino degli aeroplani e dirigibili aveva accorciato le distanze tra le persone. Lo sviluppo industriale e finanziario aveva creato un ceto medio dinamico e in continua espansione.
I volti stessi delle città erano cambiati: la moda nata a Londra e Parigi aveva imposto dappertutto grandi viali alberati, parchi urbani e una netta distinzione tra i quartieri del ceto medio, con giardini ed eleganti abitazioni, e quelli della sempre più numerosa classe operaia, che si stava pian piano organizzando in sindacati e partiti.
Nell’Impero Romano il partito socialista era stato fondato a Milano nel 1892 dal giornalista Filippo Turati. Tollerato fino al 1901, dopo l’attentato subito dalla basilissa era stato posto temporaneamente fuorilegge fino al 1903 assieme a quello anarchico e comunista. In quell’anno riuscì a tornare legale dopo che Turati riuscì a mediare una crisi dovuta all’incidente minerario di Bor, in cui erano morti 77 operai, scatenando proteste che erano divampate in varie grandi città dell’impero.
Il governo conservatore retto da Georgios Phokas-Kanaris si trovò a fronteggiare una valanga di deputati socialisti che entrarono nel Senato alle elezioni del 1904, dovendosi alleare con i liberali e perfino con le minoranze degli ecumenici – partito minoritario legato alla Chiesa – e delle Guardie Magnaura, gruppo composto da aristocratici e militari ultraconservatori, in un governo di coalizione debole, che si sfasciò in seguito allo scandalo della Ethnike Trapeza ton Rhomaion.
La Banca Nazionale Romana, infatti, fu travolta da un’indagine che travolse banchieri, politici, giornalisti, alti gradi dell’esercito, membri del clero e perfino – anche se in quest’ultimo caso rimasero solo delle voci – della famiglia imperiale.
Tutto era iniziato con il tentativo di sostituire il funzionario Andreas Bar Levi, direttore generale della sede di Atene. Gli alti gradi dell’istituzione, tra cui il prinkeps Alexios Palaiologos, cugino della sovrana, volevano assegnare la sede a Loukas Kalandrakis, un influente magnate del tabacco che aveva investito pesantemente all’interno dell’istituto di credito.
Un paio di anni prima avevano provato ad utilizzare le origini ebraiche di Bar Levi per spostarlo in un’altra filiale. Il tentativo si risolse in un fiasco, perciò cercarono di avviare un’indagine generale per trovare pecche all’interno dei suoi conti e chiederne così la rimozione. Il problema è che, per non farla troppo sporca, decisero di coinvolgere altre sedi in modo da far passare il tutto come un controllo di routine.
Il 19 settembre del 1904, però, l’operazione si ritorse loro contro, in quanto in una di queste – a Prousa, in Asia Minore – vennero scoperti dei conti che non erano per nulla chiari. Dalle indagini che vennero condotte dalla gendarmeria imperiale uscì fuori un mondo di corruzione, speculazione e maneggi che ruotava intorno all’emissione di banconote duplicate con gli stessi numeri di serie.
Era un segreto ben celato, conosciuto solo tra le più alte sfere dello Stato, nei salotti e nei circoli più esclusivi ed elitari. Tra loro, in tanti ne avevano approfittato per fare investimenti e spese folli, ristrutturando palazzi, giocando d’azzardo, comprando terre o investendo in attività nelle colonie.
I socialisti conobbero allora il massimo del loro successo elettorale, diventando il partito di maggioranza relativa grazie alla condanna delle classi dirigenti corrotte al governo.
Il megas logothetas Phokas-Kanaris dovette rassegnare le dimissioni per sedare la montante marea di proteste. A Costantinopoli 100.000 persone scesero in piazza a manifestare, e la Guardia Imperiale insieme ai reparti della marina arrivarono ad un passo dalla strage, in quanto avevano posizionato mitragliatrici e cannoni nei pressi del complesso del Palazzo Sacro e di Aghia Sophia.
In questo caso fu la basilissa stessa che, con uno dei suoi gesti plateali passati alla storia, uscì vestita con un semplice abito bianco, senza diadema o gioielli tranne le scarpe rosse che indicavano il suo rango e si frappose tra la folla e i suoi stessi soldati. Recitò, in greco, poche semplici parole che cristallizzarono tutti.
“Fratelli miei, uomini e donne di Roma, se non mi giudicate più degna di guidarvi, ecco il mio petto. Lo offro a voi perché il mio sia l’unico sangue versato per sedare questa follia, che Cristo nostro signore mi sia testimone”
Dopo pochi secondi di silenzio, a migliaia di persone si gettarono a terra piangenti, alcuni si avvicinarono in ginocchio per baciarle l’orlo della veste, giurando eterno amore e fedeltà alla corona. Fu la più grande vittoria politica della sovrana, che con il suo solo carisma aveva evitato il peggio.
Eppure, i problemi interni ed esterni che affliggevano l’Impero Romano non potevano essere risolti solo con le parole. Serviva un uomo capace di traghettare il paese in quella delicata fase di transizione. L’onere toccò a Radu Dracula, un grande industriale imparentato con la casata principesca dei Drăculești di Valacchia. Erano suoi i cantieri navali Poseidon, tra i più importanti al mondo, con sedi a Costantinopoli, Mesembria, Patrasso, Sinope, Alessandria, Venezia, Napoli e Cartagine.
Spregiudicato negli affari ma molto amato dai suoi 20.000 operai in quanto aveva implementato nelle sue strutture un servizio di assistenza sociale all’avanguardia per i tempi, sembrava la persona giusta.
Egli provò, per quanto espressione del partito conservatore, a trattare con i socialisti, coinvolgendoli in un ampio progetto di riforme. I primi abboccamenti diedero frutti nel 1906, quando per la prima volta venne creato un gabinetto con 1/3 di ministri tratti dalle loro fila. Venne varata una riforma all’avanguardia che toccava molti aspetti del diritto dei lavoratori, come la giornata ridotta a 9 ore, il riposo obbligatorio per il sabato e la domenica, il divieto assoluto di lavoro per i minori di 14 anni, un salario minimo per gli operai e persino una bozza di ferie e permessi oltre che un primo progetto di programma pensionistico che sarebbe valso per tutti i territori nazionali e per gli Stati Clienti.
L’alta borghesia e la nobiltà inorridirono di fronte a queste nuove leggi, ma vennero compensati da una serie di misure agevolate per snellire la burocrazia, dall’introduzione di sgravi fiscali in relazione a comportamenti virtuosi attuati dentro le aziende e da dei bonus relativi all’acquisto di macchinari all’ultimo modello che avrebbero aumentato i volumi di produzione e reso meno necessarie le ore extra degli operai.
Sembrava che tutto potesse aggiustarsi, fino a quando, in un’ottica di ridurre il deficit di bilancio, venne proposto un taglio delle spese militari. Fu un passo falso. All’epoca il budget riservato ad esercito, marina, servizi segreti e la nascente aviazione copriva toccava i 350 milioni di bisanti aurei, e i militari premevano per un incremento di ulteriori 100 milioni.
La proposta di legge avanzata dal ministro dell’economia Vilfredo Pareto di smobilitare due legioni metropolitane e cinque imperiali, riducendo la flotta rottamando sedici unità obsolete senza costruirne di altre, fu bollata come un “tradimento al futuro di Roma”.
Il complesso militare-industriale che era cresciuto esponenzialmente negli ultimi vent’anni, con l’ottica di rendere Costantinopoli una potenza capace di rivaleggiare con la Germania e la Gran Bretagna, portò avanti una battaglia durissima contro il governo, mobilitando tutti i giornalisti che poteva controllare grazie agli ingenti finanziamenti devoluti alle più importanti testate nazionali.
Dopo una strenua lotta, Dracula e Pareto dovettero capitolare quando anche la basilissa, spinta dal marito, si intromise nel dibattito pubblico facendo filtrare la sua personale opinione in una lettera che venne resa pubblica nel 1908, in cui affermava che: “Per salvaguardare la sicurezza dei cittadini, Roma non si è mai nascosta dietro parole o trattati, ma al massimo dietro gli scudi dei suoi legionari. Se vis pacem, para bellum”.
Inutile dire che, offeso dal mancato sostegno della sovrana, Dracula presentò le proprie immediate dimissioni, che vennero prontamente accettate. In tutta fretta venne organizzato un reimpasto in cui vennero esclusi tutti i deputati socialisti, sostituiti da aristocratici, industriali e uomini di chiesa.
I risultati si videro nella legge di bilancio dello stesso anno, in cui il budget militare venne aumentato di ben 150 milioni, cosa che permise di portare l’esercito ad un totale di un milione di uomini in tempo di pace, estendibili a quattro in tempo di guerra, supportati da 3.146 pezzi d’artiglieria, la metà dei quali obici e mortai di grosso calibro, oltre che decine di migliaia di mitragliatrici. La flotta venne portata a 35 navi corazzate e 82 unità secondarie, più 36 sottomarini con 17.500 effettivi. Perfino l’aviazione vantava 30 aeroplani e 6 dirigibili da esplorazione, più 12 prototipi da caccia, dotati di mitragliatrici e granata d’alta quota.
Le mosse dei romani non passarono inosservate, e anche la Germania estese il suo budget a 500 milioni di marchi, raggiungendo quota quattro milioni di militari per il 1910, supportati da 3.477 bocche di fuoco e una marina superiore di tre navi corazzate e dodici sottomarini rispetto a Costantinopoli, anche se inferiore in unità secondarie (49). Anche Parigi estese i suoi effettivi a tre milioni, come l’Austria-Ungheria. La Polonia raggiunse i due milioni e 700.000, mentre la Russia vantava, sulla carta, cinque milioni di soldati.
Solo la Gran Bretagna rimase relativamente disarmata, con appena 475.000 uomini sotto le armi, ma con la più grande flotta al mondo: 150 unità di cui 32 corazzate di modello dreadnought e super-dreadnought, il meglio del meglio disponibile all’epoca.
La miccia che fece scattare la conflagrazione venne innescata a Danzica, quando un nazionalista polacco, il nobile Józef Klemens Piłsudski, orchestrò un attentato durante un vertice austro-russo-tedesco in cui erano presenti il granduca Michail Aleksandrovič Romanov (fratello dello tzar), il principe Heinrich Hohenzollern (fratello del kaiser) e l’arciduca Franz Ferdinand, l’erede al trono di Vienna.
La bomba, scoppiata il 24 marzo del 1911 nel teatro dell’opera in cui si svolse il ricevimento di gala finale uccise 17 persone e ne ferì 79. Due dei deceduti erano il granduca e il principe, mentre Franz Ferdinand sopravvisse con solo una lieve ferita al volto.
Ben presto le indagini portarono a Piłsudski, che si era rifugiato in Polonia affermando che aveva compiuto il terribile gesto per vendicare le mutilazioni territoriali subite dal suo amato paese. Il governo polacco lo fece arrestare e promise di consegnarlo ad una commissione internazionale per un processo, ma i governi delle tre potenze, furiosi, dichiararono che le sue azioni erano state promosse dal clima di odio portato avanti da Varsavia. Emanarono perciò una dichiarazione congiunta in cui veniva imposto allo Stato polacco di ridurre l’esercito a 500.000 uomini, abbandonare pubblicamente ogni rivendicazione verso i suoi vicini e pagare un’indennità per le vittime, assumendosi implicitamente la colpa dell’accaduto.
La Francia dichiarò che qualsiasi attacco ingiustificato alla Polonia sarebbe valso come una dichiarazione di guerra. Gran Bretagna e l’Impero Romano cercarono di mediare, suggerendo una conferenza tra i grandi per raffreddare gli animi.
La corte di Costantinopoli era però spaccata in due. Il partito filo-russo, guidato dal principe consorte Georgij, fratello del defunto granduca e dello tzar, gridava vendetta contro la Polonia ed eventualmente la Francia. Dall’altra, i moderati predicavano la pace, o perlomeno l’attendere la caduta del polverone prima di fare una mossa.
Ad ogni modo, l’ultimatum presentato a Varsavia rimase senza risposta. Il giorno dopo, il 17 aprile, gli ambasciatori di San Pietroburgo, Vienna e Berlino presentarono una formale dichiarazione di guerra, iniziando la mobilitazione. La Francia fece lo stesso contro di loro, in supporto della Polonia.
Milioni di uomini si avviavano così verso il conflitto che avrebbe cambiato per sempre la storia del mondo.
Alberto Massaiu
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