Nel 1517, dopo due anni di trattative e interminabili discussioni, sembrò che il concilio ecumenico fosse vicino ad una soluzione, ma un fatto inaspettato rovinò ogni cosa. Nella lontana Germania, un monaco chiamato Martin Luther attaccò in maniera diretta l’autorità stessa dei pontefici, vista come un covo di corruzione e di materialità. La sua predicazione venne ostacolata dalle autorità ecclesiastiche locali ed egli infine si ribellò, affiggendo novantacinque tesi sulla porta della cattedrale di Wittemberg.
Non pago di ciò, bruciò perfino la bolla papale che lo ammoniva di rinnegare i suoi eretici pensieri con un’abiura pubblica. La miccia di una guerra religiosa era stata accesa. La sua esplosione sconvolse l’Europa e avrà ripercussioni su tutto il mondo occidentale.
Allo stesso tempo un altro avvenimento fondamentale si stava concretizzando in quelle lontane terre nordiche: Karl di Gand, figlio di Philippe il bello e Juana di Spagna, ereditò tutte le fortune e i possedimenti degli Habsburg d’Austria e dei regnanti di Castiglia e Aragona. Egli si rivelerà il grande campione del cattolicesimo, sia contro i protestanti tedeschi, sia contro i cristiani d’oriente.
Nato e cresciuto nelle fredde Fiandre, era diventato il sovrano di Spagna nel 1516 a causa della conclamata follia della madre, e in appena tre anni ereditò anche i Paesi Bassi, l’Austria e, nel 1519, letteralmente corruppe i kurfürst – principi elettori – del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica con il denaro prestatogli dai potenti banchieri Fugger di Augusta e si fece proclamare kaiser a Norimberga. Aveva appena diciannove anni.
In quello stesso anno lasciava questo mondo il basileus Konstantinos, all’età di cinquantanove anni, stroncato da una forte febbre. Il 26 novembre salì al trono suo figlio Isakios III. La lotta tra queste due magnifici rappresentanti del loro tempo insanguinerà le lande europee tra l’Oceano Atlantico e il Mediterraneo, dalle Fiandre fino all’Andalusia.
In più Giulio II, da anni acceso sostenitore dell’unione, perì nel dicembre dello stesso anno. Gli succedette Leone X, membro di un ramo della famiglia de’ Medici che aveva abbandonato l’Italia per Avignone che, in spregio alla fedeltà a Costantinopoli e alla recente conversione alla fede ortodossa della sua famiglia, si schierò nettamente con il giovane kaiser di Germania.
Dopo alcuni tentativi diplomatici tra il basileus e il papa, dove Isakios comprese che non vi erano più i margini di un accordo, il concilio si concluse solo con un tiepido riavvicinamento delle due chiese e una formale dichiarazione di intenti sul futuro, che nella pratica rimase lettera morta.
In un primo momento i rapporti tra Karl V e Isakios III non furono traumatici. Il nuovo sovrano aveva ereditato dai nonni beghe di confine con la Francia di François I in Borgogna, Lorena, Franca Contea e Fiandre meridionali, si ritrovava a gestire la predicazione di questo giovane monaco che, a detta di molti suoi vescovi, stava diventando un Jan Hus tedesco, e infine dovette trasferirsi in Spagna per ben due anni – tra il 1520 e il 1522 – per sedare la rivolta contadina dei comuneros, che lo allontanò dal teatro germanico, permettendo così che alcuni aristocratici del nord abbracciassero la dottrina di Luther.
Isakios, per quanto detestasse come tutti i legittimi basilei l’arrogante titolo di imperator romanorum di cui si fregiavano da secoli i discendenti dei barbari della Germania, decise di essere accomodante con il suo nuovo vicino, anche perché desiderava normalizzare la situazione ai propri confini, concentrandosi invece sull’Ungheria del giovanissimo Lajos, sovrano anche di Boemia, con cui stava trattando per l’acquisizione di tutta la Dalmazia e di parte della Croazia, in modo da creare un corridoio ininterrotto tra le province Balcaniche e l’Italia.
I negoziati vennero portati avanti, vista la minore età di Lajos – che aveva compiuto appena 14 anni nel 1520 -, dal potente arcivescovo di Kalocsa, Pál Tomori. Alla fine si raggiunse un compromesso, anche perché Isakios inviò due legioni e 25.000 alleati valacchi ad assediare Temesvár, nel Banato, in modo da velocizzare le trattative e dimostrare che la sua volontà di pace era pari alla sua eventuale risolutezza in guerra.
Un’armata di liberazione, guidata dal bán di Croazia Ivan Karlović, venne messa in fuga nel 1523 senza troppa difficoltà e alla fine Tomori dovette cedere. Isakios fu, seguendo la tradizione del nonno, molto generoso. In cambio dell’abbandono di ogni tipo di rivendicazione magiara sulla Bosnia e la cessione completa della Dalmazia e di una striscia di territorio a sud di Zagabria, che rimase sotto il dominio di Buda, il basileus offrì un’alleanza ventennale con l’Ungheria e il pagamento di 30.000 hyperpyron aurei, oltre che un futuro matrimonio imperiale tra le due casate, con il fratello minore Andreas che sposò la sorella di Lajos, Ana Jagelović, nel 1524.
La giovane sposa venne accolta fastosamente a Costantinopoli, dove venne ammirata sia per la bellezza che per la prodigalità, che dimostrò ancor di più negli anni successivi, dove divenne una vera e propria paladina dei poveri, aprendo ospizi, ospedali e finanziando la costruzione di chiese e monasteri, cosa che le permise di morire in odore di santità nel 1560.
Nel frattempo, nella fredda Germania, le cose erano peggiorate. Il cattolico e austero Karl V stava velocemente erodendo il sostegno tra la riottosa aristocrazia tedesca, che in una miscela esplosiva composta da ambizioni politiche, economiche e militari dei vari ducati, contee, città libere e principati, che vedevano nell’indebolimento del potere accentratore di Vienna la via per tutelare le libertà germaniche, accolsero con favore il diffondersi della nuova religione.
Leone X tuonò e strepitò dalla sua curia di Avignone, chiamando il legittimo imperatore a ristabilire la pace e l’unità religiosa in terra tedesca. Riuscì perfino a far riappacificare l’Habsburg con il re di Francia, in modo che questi avesse campo libero in quella che divenne nota come la Prima Guerra Nordica, che tra il 1524 e il 1531 infuriò in Sassonia, Turingia, Lorena, Svizzera, Brandeburgo e Vestfalia. Dopo numerosi assedi e combattimenti, con il seguente strascico di saccheggi e massacri, le parti giunsero ad un compromesso. Karl V preservò il cattolicesimo e la sua autorità in Renania, nei Paesi Bassi e nelle regioni a sud del fiume Meno. A nord, invece, si creò la lega evangelica, che si professava fedele all’impero ma non al suo kaiser.
Isakios si tenne in un primo tempo lontano da questo conflitto che ingurgitava un’infinità di risorse, denaro e uomini, preservando così la pace, il benessere e lì economia dell’Impero Romano. Dentro i suoi confini convivevano infatti ortodossi, cattolici, musulmani sciiti e sunniti ed ebrei, tutti in pace e lontani da fanatismi religiosi.
Le casse statali erano stracolme e in tal modo il basileus poté diminuire le tasse al popolo, avviando un’imponente riforma della burocrazia, che snellì il sistema e lo rese meno corrotto e più efficiente. Da queste iniziative ne scaturì una crescita demografica ed economica senza precedenti, che iniziò a formare una solida e benestante borghesia dedicata al commercio, alla manifattura e all’industria, che sarà fondamentale nella fase di colonizzazione del globo che venne inaugurata sotto il suo regno.
Isakios prese ai suoi ordini numerosi esploratori di varia nazionalità come il portoghese Fernão de Magalhães e Vasco da Gama, gli spagnoli Hernán Cortés e Francisco Pizarro e infine gli italiani Amerigo Vespucci e Giovanni Caboto, giusto per citare i più famosi. Questi espansero le colonie d’oltremare di Costantinopoli, esplorando la Florida, il Brasile e la Colombia meridionale, oltre che la costa africana fino al Capo di Buona Speranza, il Madagascar e giungendo in Arabia e India senza più passare dalla Persia.
Nel 1524 Magalhães circumnavigò il globo, partendo da Gibilterra e ritornando dopo molte peripezie, ma carico di gloria, tesori e storie, a Costantinopoli.
Il grande storico Georgios Trapezountinos ne trasse una grande opera, la Istoria tes Megas Poreias o “Storia del Gran Viaggio”, che impazzò nelle corti di mezza Europa, una delle prime opere a venire tradotte e stampate in lingue ulteriori rispetto al solo latino e greco come il francese, il tedesco, lo spagnolo, l’italiano e l’inglese, aprendo numerose discussioni di natura teologica, economica e militare su cosa fare di quei nuovi spazi sconfinati. Il grande successo del libro è testimoniato dalle numerose stampe, in ben cinque edizioni: nel 1528, 1530, 1533, 1539 e 1547.
L’unico avversario di rilievo in questa corsa alle esplorazioni fu in principio il Portogallo, che rimase però sempre una potenza di secondo piano, alleata con Roma fin dal 1487. La Francia e l’Inghilterra arrivarono solo in seguito a questa corsa alle colonie, ma recuperarono nella seconda metà del XVI secolo, diventando una spina nel fianco negli anni futuri.
Le uniche campagne militari compiute dal basileus dei romani furono volte a consolidare il lavoro iniziato dal padre nel Mar Nero. Il Caucaso andava infatti attentamente sorvegliato, in modo che non si potessero verificare invasioni dalle steppe tartare oppure infiltrazioni persiane. Isakios incaricò così Theodoros Phokas, il suo magister militum per orientem, di occupare le ultime contee e ducati indipendenti georgiani e armeni, inglobandoli nel thema di Armenia. Conclusa felicemente questa fase di operazioni nel settembre del 1529, l’autokator inviò il droungarios Andrea Doria in Crimea, affinché si impossessasse delle città costiere di quella regione, ormai indipendenti da Genova, che non aveva più il potere di controllarle.
Quest’ultimo, con ottanta galeoni e galeazze, 2.500 thalassastratiotai e cinque reggimenti ausiliari armati di alabarde, picche e archibugi, mise fine all’indipendenza degli insediamenti più importanti di Teodosia, Chersoneso e Teodoro. Queste operazioni fecero infuriare il khan di Crimea, Mehmet II Giray, che tra il 1530 e il 1534 mosse ben tre campagne contro le forze romane. Isakios si vide costretto a trasferirsi personalmente nella regione con due legioni e la Guardia Imperiale, oltre che chiamare in aiuto il suo vassallo di Moldavia, Petru Rareș, che radunò 10.000 uomini sul fronte occidentale del regno tartaro di Crimea.
Alla fine il meglio della cavalleria nemica venne annientato dal preciso fuoco di archibugi e cannoni presso la baia di Kalamita nell’agosto del 1534. L’anno dopo Mehmet dovette implorare un’ignominiosa pace, promettendo di non minacciare più i domini romani. Come prova della sua buona fede dovette cedere tutta la penisola della Crimea fino all’istmo che la collega con la steppa e inviare due dei suoi figli a Costantinopoli, affinché vi venissero educati.
Nel 1537, come mossa politica, si convertì al cristianesimo prendendo il nome di Theodoros I, avviando l’avvento dell’ortodossia in quelle terre. Il basileus stesso gli fece da padrino, incoronandolo poi prinkeps della Grande Crimea, patrikios e senatore romano. Nella piccola penisola, invece, venne stabilito il thema di Crimea, che per sicurezza venne protetto da un sistema di fortificazioni che passerà alla storia come Vallum Tartarorum, che separò definitivamente le cittadine di lingue greca e italiana dai barbari delle steppe. Questa linea fortificata, composta da una muraglia lunga circa sei chilometri e sorvegliata da sei forti minori e due maggiori più arretrati, fu un ulteriore capolavoro degli ingegneri romani, che si rifecero ai progetti del Vallum Constantinii, che separava i themata orientali dalla Persia, innalzando una delle più moderne strutture militari del tempo.
Nel sud, invece, al thema di Armenia si aggiunse quello di Georgia, in modo da fornire un’equa rappresentanza alle due maggiori etnie cristiane della regione, supportando il progetto di integrazione delle sue aristocrazie nel grande disegno imperiale.
Isakios, pago di queste conquiste, si dedicava soprattutto alle sue passioni preferite, la caccia e il mecenatismo. La corte costantinopolitana traboccava infatti di artisti italiani, greci, ebrei, levantini, arabi e occidentali, che con la poesia, la pittura, la scultura e l’architettura resero la Regina delle Città il luogo da sogno che, ancora ai nostri giorni, è ammirato da milioni di visitatori ogni anno. Nel 1527 Basileios, il suo primogenito, si sposò con Luisa d’Este. Nel 1529 nacque il primo dei figli della coppia: Alexios. L’eredità imperiale continuava e la dinastia dei Komnenoi Palaiologoi sembrava destinata a diventare la più fortunata e longeva della storia di Roma.
Fu l’Europa, con il suo caos religioso e politico, che richiamò i romani alla guerra.
Nel 1532, dopo tredici anni di regno, Karl ottenne la stabilità necessaria per una sfarzosa nuova incoronazione: ad Aquisgrana, sede del suo antico predecessore Karolus, definito dai franchi come Magnus, si fece incoronare dal nuovo papa Clemente VII come imperatore del Sacro Romano Impero.
La formula, però, non citava la Nazione Germanica, ma rimaneva sibillinamente aperta, aprendo alla possibilità non più di un kaiser tedesco, ma di un imperator romano. Il suo messaggio era chiaro: un imperatore dominava l’Occidente, un altro l’Oriente. A Costantinopoli questo atto fu considerato come un insulto, infatti, fedeli alla visione tradizionale, solo un sovrano poteva regnare sul mondo, e questi non poteva che risiedere nella Vecchia e nella Nuova Roma, non in una sperduta città del nord.
All’ambasciatore di Karl V, che si era presentato per porgere omaggio all’autokator di Costantinopoli, Isakios rispose sprezzantemente, definendo il suo signore come “Un barbaro vestito di porpora”. Ci volle la mediazione di Clemente VII e dei patriarchi di Costantinopoli e Roma perché tra i due non scoppiasse un conflitto aperto, soprattutto perché Karl alzò i toni a sua volta, rivendicando non solo la sovranità nominale sull’Occidente, ma anche sulla città di Roma.
Isakios, che era un uomo che preferiva la diplomazia a una guerra lunga e incerta, frenò i suoi irruenti comandanti, che gli promettevano la conquista di Vienna con due mesi di campagna. In più il sovrano era assillato dai nobili di mezza Italia. Fin dall’inizio del suo regno aveva avuto in mente di abolire tutti i potentati e le città libere della penisola, eredi dei vecchi staterelli sempre in lotta tra loro fino alla venuta della Nuova Roma, ma le beghe legali erano risultato infinite.
I Medici e i Savoia si attaccavano ai loro titoli e inviavano continue petizioni al basileus, seguiti a ruota dai senati di Venezia e Genova. Solo il nipote Antioco Rizzo, prinkeps di Roma e figlio di sua sorella Helena, accettò di deporre il suo titolo senza indugi, cosa che colpì favorevolmente l’autokator. Lo chiamò così a corte con la sua famiglia, affidandogli incarichi e onori al vertice della burocrazia imperiale. Farà una gran carriera, diventando megas logothetes nel 1545 fino alla morte. Trovato un accordo con Venezia nel 1523 e con Genova nel 1532, anche i signori di Toscana, Piemonte, Savoia e Provenza si arresero nel 1538, accettando come contropartita titoli, privilegi, prebende e denaro, tanto da far esclamare ad un esasperato Isakios se aveva a che fare con dei nobili o con dei bottegai, tanto gli era costato il pacifico passaggio di autorità.
Alla fine, però, poté coronare il sogno di tre nuovi themata: Lazio, Toscana e Provenza, abbandonando le precedenti terminologia arcaiche. Con questo atto l’Italia tornava a tutti gli effetti una provincia dell’Impero Romano, abbandonando per sempre il mosaico di particolarismi che aveva indebolito la terra che aveva un tempo unificato tutto il mondo civile.
Nel frattempo, a nord, nel 1537 scoppiava una rivolta in Olanda, capeggiata dalla fazione protestante, esasperata dai balivi austriaci e spagnoli di Karl, che minacciava di diventare una pericolosa minaccia all’integrità dei suoi domini. Il kaiser, che aveva passato gli anni precedenti a forgiare un esercito professionista in Germania, lo guidò in quelle terre. Questa potente armata, istituita sul modello romano e temprata da scontri contro francesi, borgognoni, lorenesi, boemi e ungheresi, doveva servire per l’invasione dell’Italia, ma Karl dovette dirottarla verso i Paesi Bassi.
I suoi 30.000 uomini travolsero le difese dei ribelli, sconfiggendo le loro raccogliticce forze presso Anversa, mettendo a sacco Utrecht e perfino la sua città natale di Gand. Molte fortezze resistettero però con quel coraggio che nasce dalla disperazione e prolungarono il conflitto. Solo dopo due anni di massacri e sofferenze infinite fu ristabilita la “pace”. Il suo prezzo erano state decine di migliaia di persone uccise o condannate all’esilio. Nel 1539, dopo il massacro subito da Liegi, che sancì la fine della ribellione nelle Fiandre, la Evangelische Union, l’alleanza di principi e città protestanti, scese in campo per vendicare i fratelli fiamminghi, schierando tra maggio e giugno 50.000 soldati da Brema fino a Dresda. Al loro comando stavano il kurfürst di Sassonia Heinrich IV e quello del Brandeburgo Joachim II Hohenzollern, oltre che svariati conti, duchi e baroni.
Karl V affrontò parte delle truppe coalizzate presso Dortmund, riportando una parziale vittoria il 7 luglio, ma subì poi una netta sconfitta contro forze soverchianti sul Weser il 26. Con una veloce marcia si portò in terra amica, respingendo 20.000 sassoni presso Erfurt, dove poté far rifiatare le sue stanche e ridotte schiere.
Vistosi in penuria di uomini e denaro, con il sovrano di Francia pronto a riaprire le ostilità e invadere le terre renane a occidente, il kaiser dovette ricacciare dentro l’orgoglio e chiedere aiuto a Costantinopoli. Isakios in principio non volle saperne di aiutare l’avversario, almeno finché questi non avesse riconosciuto la sua supremazia come unico imperatore di Roma. Karl inviò allora il suo miglior consigliere, il settantenne Erasmus von Rotterdam, affinché trattasse per ottenere il sostegno del basileus.
La sua fu una mossa astuta. Erasmus era da anni in una stretta amicizia di corrispondenza con Isakios, con il quale condividevano la passione per la cultura e la speculazione scientifica ed etica, ed era il solo che potesse convincere il basileus.
Così avvenne: il giorno di Natale del dicembre del 1539, nella Regina delle Città venne firmato un trattato dove si proclamava l’alleanza tra i due sovrani, con l’invio di 25.000 uomini al comando di Andreas Strategopoulos in Germania. Aspetto ancora più importante, assiema al magister militum per occidentem viaggiavano anche tre carri pieni di denaro, che sarebbero stati una ventata d’aria fresca nelle esauste casse di Karl V.
In cambio il kaiser promise di accettare di essere subordinato al basileus di Costantinopoli, chiamandolo “Pater et Dominus” e acconsentire poi al matrimonio tra il suo primogenito Philipp con Theophanos, ultimogenita di Isakios. Infine doveva cedere la città strategica di Trieste, unico sbocco al mare dei suoi domini austriaci, permettendo la definitiva congiunzione tra le province balcaniche e italiane dell’impero.
Le forze romane arrivarono nell’aprile del 1540 a Vienna, spazzando via un raccogliticcio esercito di protestanti austriaci e boemi che saccheggiavano i dintorni mentre Carlo era bloccato sul Meno. Poi marciò a nord, liberando il Palatinato e la Turingia dalle forze d’invasione della lega evangelica.
Heinrich IV e Joachim II decisero di ritirarsi in Sassonia per radunare più uomini e rifornimenti in vista del vero scontro. Andreas poté quindi liberare Karl dall’assedio che stava subendo da un mese presso Erfurt, ricongiungendo le loro forze. Ora i romani e gli asburgici schieravano circa 44.000 uomini, mentre a Lipsia i loro avversari avevano ammassato circa 60.000 soldati.
Constatando la loro netta superiorità i due comandanti decisero di compiere un’incursione nelle terre cattoliche del Reno, inviando 25.000 uomini al comando di Heinrich verso Colonia. Speravano di dividere ulteriormente le forze avversarie, per poi schiacciarle definitivamente a Erfurt. Andreas e Karl decisero di scambiarsi i ruoli: il primo si sarebbe attestato nella città con due legioni e 1.000 cavalleggeri tedeschi, mentre il secondo, con il resto delle sue truppe e dei romani, si sarebbe diretto ad intercettare la minaccia sassone.
Agosto e settembre passarono con schermaglie in Vestfalia e un timido tentativo di penetrare in Alta Austria da parte dei protestanti. In ottobre il kaiser ricacciò da Dortmund le avanguardie di Heinrich grazie all’aiuto dei cannoni e degli archibugi romani.
A questo punto subentrò una situazione di stallo, che si protrasse fino all’anno successivo, quando Isakios inviò l’esperto Giovanni de’ Medici con la X Legio affinché supportasse il prudente Karl. I risultati non tardarono ad arrivare: a Colonia gli asburgico-romani sbaragliarono una coalizione di sassoni, pomerani e assiani il 28 aprile, in un duro scontro che durò a malapena due ore.
Entro maggio sia la regione del Brunswick che Brema avevano capitolato, aprendo un’immensa falla nelle maglie difensive della lega. Per alleggerire la pressione sul fianco destro Joachim Hohenzollern lanciò un’offensiva in Turingia, contando nella superiorità numerica rispetto alle forze di Andreas Strategopoulos.
Questi non si scompose, chiese l’invio di qualche reggimento a Giovanni per sorvegliare la piazza di Erfurt, vi lasciò 1.000 tedeschi e marciò con i romani verso Coburgo. Arrivò nella città tre giorni prima del kurfürst, vi fece acquartierare le truppe e si preparò all’assedio. La manovra del comandante protestante si arenò nell’ennesimo lungo ed estenuante blocco, che fiaccò le sue forze. Infatti i 12.000 uomini di Andreas, più addestrati e disciplinati, resistevano meglio alle fatiche dei 40.000 fanti e cavalieri protestanti, che vennero flagellati dalle diserzioni, complice il mancato pagamento del soldo ai mercenari.
Nel frattempo il kurfürst di Sassonia reclutò una nuova armata e tenne il fronte dell’Elba, difendendo le roccaforti di Amburgo, Magdeburgo e Lipsia. Karl e Giovanni assediarono Magdeburgo senza successo, tenendo bloccati migliaia di uomini in una terribile guerra di posizione sull’Elba e presso Erfurt.
Andreas doveva agire per sbloccare la situazione, perciò decise di accettare lo scontro. La mattina del 7 agosto gli stupefatti protestanti si videro caricare da 8.000 disciplinati legionari, che al grido di Kyrie Eleison, si avventarono sull’accampamento fortificato nemico.
Dopo una breve resistenza il centro dei protestanti cedette, venendo massacrato dalle picche e dagli archibugi della seconda e dell’undicesima legione. Joachim cercò di radunare fuori del campo sufficienti forze per contrattaccare, ma Andreas ordinò alla sua artiglieria pesante di bombardare a tappeto il luogo dove si innalzava il vessillo degli Hohenzollern, facendo impazzire uomini e cavalli. Infine, alla testa di 2.000 kataphraktoi, caricò i resti della linea difensiva protestante, spezzandola e mettendo in rotta completa tre quarti delle forze avversarie. I 10.000 superstiti si unirono alle migliaia di fuggitivi dello scontro principale, diretti a Dresda e tallonati dai cavalleggeri romani.
La vittoria sarebbe risultata decisiva, ma qualche settimana dopo scoppiò in Germania una terribile epidemia, che colpì entrambi gli schieramenti. Perfino il kaiser e Giovanni de’ Medici furono colpiti, bloccando la campagna. Venne concordata una tregua d’armi, che durò fino all’inverno, che fu uno dei più lunghi e terribili da anni e decimò entrambi gli eserciti. A dicembre, presso Erfurt, perì del morbo lo stesso Giovanni. Aveva quarantatré anni. Stessa sorte toccò a Heinrich IV di Sassonia qualche settimana dopo, a Lipsia: Gli succedette il figlio Moritz.
La guerra ricominciò nell’aprile del 1542, con un avanzata asburgico-romana verso Lipsia, ma Karl era molto cauto e alle prime avvisaglie di una possibile invasione francese delle Fiandre ordinò una ritirata generale.
Inoltre inviò 6.000 dei suoi lanzichenecchi verso Anversa e Colonia, in modo da presidiare meglio quei confini. Ora la schiera alleata era ridotta a poco più di 25.000 soldati circa, per la maggior parte romani. I protestanti avevano al contrario appena ricevuto il sostegno finanziario di François I di Francia, che aveva finanziato l’arruolamento di 5.000 mercenari fiamminghi, danesi e livoniani e aveva fornito alla Lega 1.200 cavalieri in armatura e 2.000 arcieri scozzesi.
Ora la loro schiera unita poteva contare quasi 50.000 soldati, il doppio delle forze di Karl e Andreas Strategopoulos.
A settembre, però, il magister militum obbligò il kaiser a muovere a nord prima di perdere ulteriori uomini, minacciando in caso contrario il suo ritorno a Costantinopoli. Moritz e Joachim decisero di aspettare in terra amica, quindi optarono per schierare la loro armata davanti a Lipsia. In quel luogo si sarebbe combattuto lo scontro decisivo.
I due comandanti protestanti schierarono le proprie forze dietro un terrapieno e una palizzata, posizionando le bocche di fuoco nelle zone dei possibili attacchi. La cavalleria si schierò ai due lati della fanteria, a destra quella pesante formata da tedeschi e francesi, a sinistra i cavalleggeri ungheresi, transilvani, polacchi e croati.
Andreas schierò i menavlatoi legionari alternati ai telebolontarioi al centro, appoggiati da ausiliari, lanzichenecchi e truppe d’assalto che dovevano caricare per primi le fortificazioni. Al fianco destro schierò i corazzieri e i raiter tedeschi con a capo Karl V mentre a sinistra mise gli hippotoxotai e i cavalleggeri imperiali. Tenne come riserva i kataphraktoi e alcune truppe scelte germaniche. Ma lo strumento fondamentale erano i 40 cannoni che il magister militum aveva raggruppato in un’enorme batteria che avrebbe concentrato il fuoco nei punti focali dello scontro.
L’ingegneria militare romana aveva fatto passi da gigante da quanto Alexios VI Komnenos Palaiologos aveva creato i primi reggimenti d’artiglieria negli anni settanta del secolo precedente. Al contrario del resto d’Europa, che utilizzava i cannoni solo per gli assedi delle città, i romani avevano iniziato a comprendere la spaventosa forza che pezzi di minor calibro, ma più leggeri e mobili, potevano scatenare in un campo di battaglia. Da questo concetto era nato il cannone modello Nikator, varato nel 1535, che risultava più leggero, maneggevole e sicuro. Aveva una portata leggermente inferiore ad un pezzo d’assedio e un minor calibro, ma si caricava più velocemente e poteva essere spostato in fretta in più punti dello schieramento.
All’alba del 16 settembre del 1542 gli eserciti si disposero nelle rispettive postazioni di combattimento e per le nove Andreas ordinò l’inizio del bombardamento. Il fuoco concentrato della grande batteria sconvolse il centro avversario, seminando morte e distruzione, poi aprì diverse brecce nelle fortificazioni e infine mise a tacere tutti i 12 cannoni dei protestanti.
Nel fumo e nel caos avanzarono ordinatamente le coorti della II, della X e dell’XI Legio, intonando in tono cupo il Kyrie Eleison. A quaranta metri gli archibugieri aprirono il fuoco, aprendo ulteriori varchi nei ranghi serrati dei picchieri avversari. Infine i diecimila menavlatoi legionari, armati di picche lunghe fino a sette metri, si scontrarono con i lanzichenecchi dell’Unione Evangelica. Moritz ordinò una carica di cavalleria pesante, ma questa venne fermata dall’artiglieria, che sparò a mitraglia sulla massa nemica, e poi respinta dalla cavalleria leggera e dai corazzieri asburgici di Karl.
In quei momenti Joachim, a capo del centro, riuscì a respingere l’assalto della II Legio sfruttando la superiorità numerica delle sue forze, prendendo poi di fianco l’undicesima. Andreas fu però pronto a reagire, ordinando alle sue riserve di fanti e cavalieri germanici di gettarsi nella mischia, ricreando la linea di battaglia e permettendo ai menavlatoi della seconda di riorganizzarsi e di ripartire all’attacco.
A questo punto la pressione sui protestanti divenne eccessiva, anche perché il magister militum aveva riposizionato nuovamente i suoi pezzi, ricominciando a bombardare il centro, puntando ai vessilli dei comandanti. Molti reggimenti andarono così in rotta oppure vennero spazzati via dalla furia delle armi dell’era moderna. Joachim tentò insieme a Moritz di riordinare le proprie schiere, ma una scheggia ferì il primo alla gamba e al braccio e il secondo venne catturato dagli esultanti fanti della X Legio.
Solo allora, quando vide cadere entrambi gli stendardi dei comandanti, Andreas Strategopoulos ordinò l’attacco generale di tutto l’esercito. I cavalieri tedeschi e romani compirono una strage e fecero ben 9.000 prigionieri.
Per l’una la battaglia era finita: gli alleati avevano perso appena 2.000 uomini, soprattutto tra i fanti che avevano subito il contrattacco protestante. La lega protestante contava 20.000 tra caduti e dispersi oltre a color che erano stati catturati, e tra loro spiccavano almeno una decina di importanti nobili con a capo Moritz di Sassonia. Joachim invece era stato trasportato via dai suoi uomini, diretto a Magdeburgo, per prolungare la resistenza.
Mai Karl fu così vicino alla riconquista di tutta la Germania, ma era troppo preoccupato dei successi romani. Infatti egli sapeva che tutto era stato ottenuto grazie a loro, inoltre i suoi consiglieri spagnoli, austriaci e borgognoni continuarono a versare veleno contro Costantinopoli e a caldeggiare una pace con i protestanti.
Alla fine il sovrano decise che era preferibile tenersi dei sudditi un po’ recalcitranti piuttosto che un vicino al quale doveva troppi favori, e firmò la pace con la Evangelische Union nel 1543. Inoltre congedò le forze romane, iniziando a ricostituire una nuova armata imperiale “nazionale” che avrebbe vantato anche soldati luterani, che nei suoi progetti doveva eguagliare quella dell’Impero Romano.
Finì così la Seconda Guerra Nordica, iniziata nel 1537 con la rivolta dei Paesi Bassi e conclusasi con il trattato di Magdeburgo del 1543. Visto come andarono le cose negli anni successivi, Isakios avrebbe fatto molto meglio a lasciare il sovrano asburgico a dissanguarsi da solo in terra tedesca.
Alberto Massaiu
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