La Germania era nel caos fin dal 1840, quando in seguito alla vergognosa capitolazione dell’inetto Napoleone II la maggior parte delle conquiste ottenute dal padre nell’area erano andate perdute. L’Austria e la Prussia si erano spartite il territorio al di là e al di qua del fiume Meno in due aree di influenza, ma era solo questione di tempo prima che giungessero ai ferri corti.
In quegli anni, mentre l’Austria riusciva ad unire le corone di Boemia, Austria, Ungheria e Slovacchia attraverso il matrimonio dinastico tra Franz Josef Habsburg ed Erzsébet Szapolyai, fondando la cosiddetta quadruplice monarchia imperiale, dall’altro un nuovo astro nascente della politica si affacciava alla ribalta della storia: Otto von Bismarck.
Membro della classe degli junker, facente parte dell’aristocrazia militare prussiana, ben presto si era distinto come ministro, ambasciatore e politico di prim’ordine, tanto diventare il candidato perfetto come kanzler nel 1860. Questi era un convinto fautore della necessità di ammodernare il paese, puntando ad una radicale riforma dell’esercito nell’ottica di stabilire il primato della Prussia sull’intera Germania. In questo obiettivo ebbe come alleati il ministro della guerra Albrecht von Roon e il capo supremo dell’esercito, Helmuth von Moltke.
Nel breve volgere di cinque anni i tre tirarono su una macchina da guerra tale da rivoluzionare drasticamente l’equilibrio tra le grandi potenze. Il loro primo obiettivo fu l’Impero Austro-Ungarico, che venne sbaragliato nella duplice battaglia di Tetschen-Bodenbach in Boemia e di Eisenach in Turingia nel 1864. In questi scontri gli Habsburg e i loro alleati cattolici tedeschi persero 50.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri, venendo annullati come potenziale offensivo per i successivi decenni.
Con questa vittoria Bismarck costrinse tutti i sovrani tedeschi, escluso quello austriaco, a firmare un mutuo accordo militare difensivo e un atto di unificazione doganale e di valuta detto Zollverein. Era il primo passo per la creazione del nuovo Stato che avrebbe dominato la Mitteleuropa.
Due anni dopo, scoppio un conflitto locale con la Danimarca per i ducati tedeschi dello Schleswig e dell’Holstein, uniti a livello personale da secoli con la corona danese. Il sovrano Christian IX aveva manifestato l’intenzione di annetterli formalmente al paese, e questo aveva scatenato le ire dei nazionalisti tedeschi. Il monarca scandinavo sperava nell’aiuto della Gran Bretagna e della Russia, ma la guerra lampo in cui 80.000 prussiani sbaragliarono la resistenza degli appena 28.000 danesi mise tutta l’Europa davanti al fatto compiuto, costringendo Copenaghen a cedere quei territori, che vennero incorporati sic et sempliciter da Berlino.
A questo punto, nel timore di ulteriori rivendicazioni prussiane, venne stretta un’alleanza tra Polonia e Francia, che inutilmente cercarono di coinvolgere la Russia e l’Impero Romano. Napoleo Konstantinos, infatti, vedeva di buon occhio l’indebolimento dei suoi vicini e, inoltre, intratteneva ottimi rapporti sia con la Prussia che con la Gran Bretagna. In quanto alla Russia, questa era desiderosa di espandersi in Polonia. Bismarck ebbe quindi buon gioco a creare un’alleanza con quest’ultima in funzione anti-polacca, promettendo al tempo stesso a Costantinopoli dei territori francesi per la sola neutralità in caso di conflitto.
Il suo fu un capolavoro diplomatico che culminò nel 1871, quando orchestrò un superbo schiaffo diplomatico alla Francia quando propose un principe Hohenzollern per il trono del Belgio, di recente separatosi dall’Olanda dopo un ennesimo infruttuoso tentativo di unificazione. La repubblica francese ambiva a trasformare il paese in una sorta di protettorato, perciò ne scaturì una crisi in cui l’ambasciatore francese venne trattato con poco rispetto dall’astuto kanzler.
L’opinione pubblica a Parigi andò in escandescenze, obbligando il presidente Mac-Mahon a dichiarare guerra alla Prussia nella tarda primavera del 1871. A quel punto scattò il sistema di alleanze di entrambe le nazioni, con la Russia che ne approfittò per invadere la Polonia e la Prussia che concentrava i 4/5 delle sue forze in Renania, lasciando solo una piccola parte a muovere sulla Posnania. Il fatto è che, grazie agli accordi del 1864, anche tutti gli altri Stati tedeschi mobilitarono i loro eserciti, arrivando per la prima volta nella storia europea al mastodontico numero di un milione di uomini tra regolari e riservisti della landwehr, la milizia nazionale.
In più, il genio strategico di Von Moltke, unito all’innovativa struttura dello Stato Maggiore capace di pianificare una campagna fin nel mimino dettaglio, risultò decisivo. Giusto per dare un esempio, la Prussia e i suoi alleati completarono la mobilitazione in due settimane, e grazie ai treni concentrarono entro i primi di luglio 500.000 soldati sul confine francese e 250.000 su quello polacco. I francesi, nello stesso lasso di tempo, radunarono appena 300.000 uomini e i loro alleati polacchi anche meno. I russi, più lenti di tutti, solo ad agosto fecero giungere in posizione 150.000 soldati.
Le forze francesi, piene di passione ma non equipaggiate allo stesso livello della loro controparte prussiana, contesero con le unghie e con i denti la regione dell’Alsazia e della Lorena, venendo però sbaragliate tra Lunéville e Metz, aprendo la strada all’assedio di Parigi.
Il destino del paese era segnato, ma la sua agonia perdurò per tutto l’autunno e parte dell’inverno del 1872, anno in cui tutta la Francia cadde in salde mani prussiane. La Polonia, invece, sprovvista del suo tradizionale alleato romano e sotto il duplice rullo compressore dei prussiani e dei russi, collassò con la presa di Varsavia nell’ottobre del 1871.
Napoleo Konstantinos, che si aspettava una lunga guerra che avrebbe fiaccato i contenenti come era stato nell’America del Nord, in cui avrebbe poi potuto giocare come arbitro tra le parti, si accorse di aver fatto un grosso errore di calcolo. In appena cinque anni l’equilibrio del continente era mutato drasticamente, da un bilanciamento tra Francia, Prussia, Austria-Ungheria, Russia, Gran Bretagna e Impero Romano ad una nuova superpotenza settentrionale.
Nel 1872, infatti, i principi tedeschi accettarono come loro kaiser Wilhelm di Prussia, fondando il “nuovo” impero tedesco, che si collocava come erede di quello di Carolus Magnus, fatto nascere con le conquiste militari dei franchi mille anni prima. Parafrasando queste parole, il grande architetto dell’ascesa prussiana, Bismarck, annunciò che la Germania era stata riforgiata con il ferro e con il sangue.
Di più, le forze armate tedesche apparivano invincibili e l’imperatore romano temeva che, ben presto, avrebbe dovuto affrontarle sul campo. E non era sicuro che le legioni avrebbero tenuto il passo con la rivoluzione bellica in atto.
Ormai anziano, il sovrano non aveva più l’energia di un tempo, e anche il suo più fidato ministro, il magister officiorum Camillo Benso di Cavour, aveva superato la sessantina e non brillava più come quando aveva gestito la questione nelle colonie e della secessione americana. Ad ogni modo si misero di buona lena a tessere un nuovo assetto che avrebbe comunque retto con solo saltuari sobbalzi fino alla Grande Guerra.
In primo luogo, i due cercarono immediatamente un abboccamento con Bismarck, convocando per il 1873 una grande conferenza paneuropea per stabilire “Una pace definitiva per l’Europa”. Vennero convocati i plenipotenziari di ogni Stato continentale, tra cui Gran Bretagna, Francia, Germania, Austria-Ungheria, Svezia, Danimarca, Russia, Polonia-Lituania, Curlandia, Ucraina, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Impero Romano per discutere tutte le questioni aperte sul campo delle rispettive rivendicazioni.
L’importanza della conferenza, che durò tre mesi e si tenne a Berlino, annichilì quella tenutasi a Vienna nel 1840, cambiando per l’ennesima volta le carte geografiche. Nel cuore della Mitteleuropa sorgeva ormai orgogliosa una nuova Nazione di 540.000 km² e che ospitava oltre cinquanta milioni di abitanti. Solo la Russia e l’Impero Romano le erano superiori in dimensioni e popolazione, ma risultavano entrambe molto meno preparate a livello militare ed economico.
I russi, infatti, avevano un esercito regolare di 300.000 soldati e il doppio di riservisti, mentre Roma manteneva in armi trentacinque legioni sparse per tutti i continenti con ulteriori reparti ausiliari e fanti di marina per un totale di circa mezzo milione di uomini.
In quanto alle industrie, dai calcoli tenuti dal ministro delle finanze romano Francesco Ferrara nel suo “Historia Oeconomica” del 1884, Costantinopoli era ora terza – ma ad una certa distanza – in ordine di grandezza rispetto alla Gran Bretagna e alla Germania, seguita a breve dagli Stati Uniti e dalla Francia. La Russia, invece, risultava la meno moderna tra tutte le grandi potenze, per quanto fosse la più estesa Nazione sul pianeta.
Tornando alla Conferenza di Berlino, quest’ultima operò a due livelli. Da un lato estinse effettivamente ogni focolaio bellico su quello che stava iniziando ad essere chiamato come “Vecchio Continente”, mentre dall’altro aprì una stagione di competizione espansiva senza precedenti al di là del mare.
In Europa, scomparve quasi del tutto la grande Polonia-Lituania, che venne retrocessa al rango di Granducato di Varsavia, con a capo il principe sassone Friedrich August Coburg-Gotha. Tutte le terre baltiche e lituane vennero assegnate agli tzar, mentre la Posnania e la parte rimanente dell’antica Prussia Reale passarono alla Germania. La sola Curlandia mantenne la sua indipendenza sotto il principe bavarese Maximilian von Wittelsbach, cugino del Re di Baviera, ma venne considerata de facto un protettorato russo. Sempre al nord, la Russia acconsentì a restituire la Finlandia agli svedesi in cambio dell’annessione della costa baltica a nord di Riga, fino a Tallin.
L’Ucraina, tanto cara a Costantinopoli come cuscinetto contro le ambizioni di San Pietroburgo, venne riconfermata nella sua integrità, per quanto si trovasse ormai circondata da un mare di terre russe. Rimase collegata al suo grande protettore romano solo dallo Stato Cliente della Moldavia e dal mare. I russi ottennero anche il diritto a creare un loro porto militare sul Mar Nero, attrezzando un bacino di carenaggio e delle fonderie di cannoni navali presso Rostov-sul-Don, allargando la foce del fiume con una titanica opera di ingegneria portata avanti da tecnici britannici e tedeschi.
La Germania non pretese alcun compenso territoriale dall’Austria-Ungheria, puntando ad inserirla in un futuro blocco continentale mitteleuropeo, tranne pochi aggiustamenti di confine nei Sudeti della Boemia. Con un atto di grande abilità anche i danni di guerra, pari a cinquecento milioni di fiorini, vennero convertiti in una compravendita in cui Vienna acquistava armi ed equipaggiamento dall’industria pesante tedesca in continua espansione.
Ben diverso atteggiamento fu posto ad ovest. L’Alsazia e la Lorena, compresa l’antica città di Strasburgo, diventarono una provincia tedesca, mentre il debito da saldare con Berlino fu fissato a cinque miliardi di franchi d’oro, ripartiti in cinque anni. Il risentimento anti-tedesco seminato in quegli anni non si sopì mai, fino alla Grande Guerra.
Belgio, Olanda e Lussemburgo vennero solennemente proclamati Stati neutrali e inviolabili, garantiti da Londra, Berlino, Parigi e Costantinopoli.
In ultimo, per offrire una valvola di sfogo alle grandi potenze che risultavano ormai incassate in confini e in reti di alleanze sempre più pericolose da mettere alla prova, venne sancito, nell’art. 27 del trattato finale, che: «Ogni potenza che in futuro si impossessi di un territorio sulle coste del continente africano, asiatico o pacifico con le sue isole, esterno ai possedimenti attuali, o che, non avendo attualmente alcun possedimento, ne acquisti e assuma un protettorato […] accompagnerà l’uno o l’altro atto con una relativa comunicazione, indirizzata alle altre potenze firmatarie del presente Atto, affinché queste possano impugnare l’annessione se vi sono elementi fondati per farlo».
La via per la colonizzazione globale era aperta. Il mondo non sarebbe stato mai più lo stesso.
Alberto Massaiu
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