L’Impero Romano era allo sfacelo.
Flagellato da una pesante crisi economica e finanziaria, con le forze armate indebolite e il potere centrale sempre più fievole il destino di Costantinopoli si faceva ogni giorno più fosco.
Le trattative di pace in seguito al lungo conflitto avevano portato alle definitiva affermazione della potenza inglese, che spostò i suoi interessi più sulle colonie che sull’Europa, e di quella prussiana, che da piccolo staterello tedesco si impose come potenza continentale di un certo livello.
La Russia riuscì ad ottenere solo alcune fasce di territorio polacco e ucraino, ma non la conquista dei due Stati cuscinetto fondamentali per la Prussia e per Roma. L’Austria si aggiudicò invece il pieno possesso della Transilvania, del Tirolo e dell’Ungheria, mentre la Francia si vide sconfitta su tutti i fronti, con immense spese e perdite sostenute, la caduta di molte sue colonie in mani nemiche e nessuna conquista territoriale di rilievo a parte la conferma del suo dominio sulla Provenza, parte dell’antico thema romano della Gallia.
Parigi mostrò in quegli anni uno stato di crisi economico-istituzionale molto simile a quello romano, è perciò naturale che fosse in queste due Nazioni che si evidenziassero le prime crepe del sistema dell’Ancien Régime che sfoceranno nel crollo di fine secolo e l’ascesa dell’imperatore-soldato Napoleone I.
Inoltre i problemi militari di Costantinopoli non erano finiti con la pace del 1755. In Spagna, infatti, stazionavano ancora le truppe di Alessio Borghese, che si era riciclato dalla sua figura di consul della soppressa ResPublica a quella di capo di un movimento separatista iberico.
Thomas, stanco e malato, si vide costretto a trasferirsi in quel nuovo fronte. Tra il 1757 e il 1759 dovette combattere contro la guerriglia e le truppe veterane dell’armata d’Italia costituita da Leon Dalassenos e portata in Spagna dal nobile romano.
Nell’inverno del 1758 rischiò un ammutinamento generale a Nuova Cartagine, dato che le paghe non arrivavano da mesi e le condizioni climatiche e di vettovagliamento risultavano pessime. I due basilei, infatti, ora che il pericolo di un disastro militare era stato scongiurato, vedevano nel dictator una figura troppo scomoda e pericolosa, dato il suo ascendente sull’esercito e la parentela con la dinastia regnante, che lo portava troppo vicino al trono.
Perciò iniziarono a boicottare dietro alle quinte il suo operato, cercando di screditarlo quel che bastava per poterlo mettere onorevolmente in congedo. Tra queste varie azioni ci fu il mancato invio di denaro e rifornimenti per una buona parte del conflitto iberico, la negazione di ulteriori rinforzi e la nomina di osservatori della Corte che lo ostacolarono in tutti i modi possibili.
Alla fine, nonostante il grande risultato di assicurarsi le basi mediterranee, il thema della Betica e l’intero perimetro del Vallum a nord, Thomas chiese di essere richiamato in patria a causa delle sue cattive condizioni di salute, ottenendo così almeno la consolazione di non intaccare il proprio onore con il fallimento della campagna.
Ma le sue traversie non erano finite. Appena arrivato a Costantinopoli venne arrestato, messo sotto processo e destituito dalla maggior parte delle sue cariche.
Nessuno sollevò una voce in suo favore tranne il patriarca Gregorios IV, che era stato suo maestro spirituale, la moglie Eirene, sorella dei sovrani, e il megas droungarios della flotta Theodoros Asen, uno dei pochi sopravvissuti tra gli ufficiali che avevano stretto il patto per salvare l’impero alcuni anni prima.
Alla fine Thomas venne congedato dall’esercito con tutti i crismi, gli venne lasciata la carica onorifica di patrikios ma venne confinato nella sua principesca residenza nell’isola di Creta fino a nuove disposizioni. In tale ingrato modo veniva premiato l’uomo che, da solo, aveva salvato Roma dalla catastrofe più nera. Ma la gratitudine non è una virtù che ben sia adatta ai regnanti, che mettono davanti a tutto la Ragion di Stato.
A sostituirlo nell’ingrato compito di sedare la ribellione ispanica fu inviato Mikhael Kantakouzenos, un amico di famiglia e precettore del giovane erede Konstantinos, figlio di Romanos VII. Mikhael era un nobile oramai sulla sessantina, retto, colto e giusto, ma totalmente privo di attitudini militari. Conscio di tale mancanza si assicurò subito di reclutare a sue spese una cerchia di ufficiali esperti, veterani delle campagne degli anni precedenti. Con la loro collaborazione, unita alle superiori risorse che gli vennero procurate dalla Corte Imperiale, iniziò un sistematico lavoro di smantellamento del fronte avversario.
Nel 1760 prese Toledo e Madrid, occupandole con robuste guarnigioni e accattivandosi la simpatia della popolazione con distribuzioni gratuite di cibo e beni di prima necessità, oltre che per le sue virtù religiose.
Nel 1761, dopo un duro inverno passato con i soldati, dividendo le loro difficoltà sul campo, l’improbabile e attempato comandante si dimostrò molto al di sopra delle aspettative, espugnando le roccaforti di Burgos e León, assicurandosi così il controllo della Galizia. Celebrata una grande messa di ringraziamento presso Santiago de Compostela, patrono della regione, il magister militum per occidentem decise di muovere contro l’ultima enclaves indipendente della Lusitania, ovvero il thema sorto nell’antico regno portoghese affacciato sull’Atlantico.
Laggiù Alessio Borghese decise di opporre l’ultima resistenza con i resti delle sue armate.
Il 4 settembre dello stesso anno otto legioni si spinsero nella piana antistante Lisbona, dove si erano trincerate le forze indipendentiste di Alessio, appena eletto sovrano del Portogallo. La battaglia fu breve ma sanguinosa e si concluse dopo appena un’ora di scontri, con le superstiti forze lusitane che si ritirarono nella capitale, che venne stretta d’assedio.
La nuova operazione militare fu molto lunga e dispendiosa, infatti venne mobilitata la flotta atlantica romana e molte unità d’artiglieria, e inoltre venne approntato un costoso cordone di rifornimenti e vettovaglie che manteneva a piena operatività la morsa che stringeva l’ultima sacca di resistenza.
L’assedio perdurò fino a marzo, con le attività belliche che continuarono anche in pieno inverno, ma alla fine i portoghesi capitolarono definitivamente il 16. Alessio, malato di dissenteria, venne curato e inviato a Costantinopoli, dove venne processato e mandato in esilio sul Monte Athos dopo esser stato tonsurato e fatto monaco. Morirà nel 1780, deluso e sconsolato, visti i fallimenti politici del passato e letterari del presente, dopo il fiasco del suo “Vite di Imperatori Illustri”, un’opera priva di alcun brio e piena di scopiazzature da autori molto più abili di lui.
Nonostante la veneranda età e l’inesperienza, Mikhael era riuscito a sistemare anche quell’ultima faccenda in sospeso, e si può affermare che svolse il suo incarico più che egregiamente, con coscienza e metodo.
La sua strategia si era basata sull’ottenere la piena superiorità di uomini, mezzi e informazioni prima di agire con risoluzione. Non fece mai una mossa avventata o un errore, calcolando tutto al dettaglio. Il tutto portò al successo finale, ma ad un altissimo costo finanziario.
A questo va aggiunta la crisi economica – dovuta alle pessime annate nei raccolti e a dei parassiti che attaccarono oliveti e vigneti, danneggiando anche questi settori produttivi – che flagellò l’intera Europa nel decennio 1760-1770 e fece rischiare per ben tre volte la bancarotta all’amministrazione costantinopolitana.
In questo contesto di urgenti bisogni finanziari, il tesoro imperiale si indebitò pesantemente con l’unica Nazione che disponeva di ingentissime quantità di capitali: la Gran Bretagna.
Questo paese, infatti, stava diventando lo Stato più moderno del pianeta: aveva la più potente flotta, un piccolo ma efficientissimo esercito, dei buoni generali ma soprattutto una solida economia. I suoi nobili si stavano riciclando, passando dall’essere un peso per la società al diventare dei grandi investitori per la nascente industria, nelle banche e nella attività imprenditoriali.
Presto iniziarono dei fiorentissimi rapporti tra Costantinopoli e Londra, visto che gli inglesi consideravano l’Impero Romano come la “Gate of the East” e soprattutto come un ottimo interlocutore in ambito di commerci. La corruzione dei suoi governanti e dei potenti burocrati aprì tantissime possibilità di guadagno per gli investitori d’Oltremanica, che specularono senza ritegno in tanti ambiti, dal commercio di spezie a quello illegale di droghe, dai beni di lusso esotici ai resti archeologici che abbondavano in Anatolia, Egitto e Grecia, dai monopoli commerciali al controllo di scali strategici nel Pacifico o nel Mediterraneo in cambio di pesanti tangenti.
L’occhio dello storico potrà notare in tutto questo la stessa modalità con la quale, secoli prima, i mercanti genovesi e veneziani si erano introdotti come una pianta infestante all’interno del bel giardino che era l’impero, per poi dissanguarlo dal di dentro, prosciugandolo pian piano delle sue energie vitali.
Fu proprio quello che accadde.
Gli anni che vanno dal 1755 al 1789 vedranno un drastico crollo dell’autorità, del potere e del prestigio di Costantinopoli in tutti i settori. I lavori pubblici divennero così rari che ad esempio, dopo un piccolo terremoto nel 1768, si giunse a chiudere per otto mesi Aghia Sophia perché non si trovavano dei fondi per le riparazioni alla cupola! Nel 1772 vi fu una rivolta perché l’Acquedotto di Valens, che portava la maggior parte dell’acqua potabile della capitale, si era rovinato a causa dell’incuria e per alcune settimane era stato imposto il razionamento di quel bene fondamentale per la vita dei cittadini. Provvidenziale fu l’intervento del Patriarcato, che si assunse l’onere di provvedere a spese della Chiesa alla riparazione dell’acquedotto.
Romanos e Ioannes, dall’alto del loro trono, sembravano però complessivamente soddisfatti della situazione, affermando che senza di loro l’impero sarebbe stato disgregato anni prima a causa delle potenze straniere, ignorando volutamente che il vero artefice del miracolo stava in quel momento a cacciare e a scrivere superbi versi lirici a Herakleion.
Nel 1764, a trentanove anni, Romanos VII morì di calcoli renali, lasciando il trono al fratello minore Ioannes e al figlioletto Konstantinos. Ioannes infatti era senza figli e, se diamo peso alle voci dell’epoca che alludevano spesso a suoi differenti gusti sessuali, non era probabile che si sarebbe mai sposato. Perciò decise di adottare il figlio di suo fratello maggiore, dichiarandolo proprio successore.
Infine, nel 1769, anche Ioannes seguì nella tomba il fratello a causa di una caduta da cavallo in seguito a una notte di bagordi con alcuni amici dove erano scorsi fiumi di vino. Così, all’età di ventidue anni, Konstantinos salì al comando supremo di Roma con il nome dinastico di Konstantinos XVI Komnenos Palaiologos.
La prima preoccupazione di questo giovane basileus fu quella di procurarsi un erede. La vicenda, che poi salirà sopra il banco della nascente opinione pubblica e della satira, ha dell’incredibile. Infatti il sogno di paternità di Konstantinos sarà coronato solo dopo oltre un decennio, quando oramai il sovrano aveva perso le speranze.
Ma partiamo con ordine. Alla data del suo insediamento il ragazzo aveva come amante una tale Eudokia, che naturalmente non poteva salire al potere con lui. Perciò venne data in moglie al nobile cortigiano Georgios Notaras, che non si mostrò riottoso ad accettare gli scarti dell’imperatore e come premio ottenne il titolo di logothetes ton oikeiakon, con il quale divenne immensamente ricco, truffando sui conti della tesoreria di Costantinopoli per sei anni.
Quando si comprò il suo quinto palazzo le sue ruberie vennero finalmente scoperte e venne aperto un processo che porterà alla sua condanna all’esilio e il sequestro di tutti i beni, ma oramai il danno era fatto. Infatti nel 1777 l’Impero Romano dovette dichiarare bancarotta per la prima volta nella sua storia. Il suo prestigio con gli investitori nazionali e stranieri non poteva cadere più in basso.
Konstantinos era però più preoccupato dal matrimonio. Nel 1771 aveva impalmato la quindicenne Marie-Louise d’Austria, nipote dell’imperatrice Maria Theresia, ma il tanto agognato erede non arrivò visto che nel 1773 la giovane morì di parto insieme alla piccola nascitura. Nel 1775 il basileus si risposò con Anna, nipote di Ekaterina II di Russia, ma anche in questo caso, nonostante ripetuti tentativi, la consorte diede solo bambini che nacquero morti, facendo pensare a Konstantinos di essere per qualche motivo colpito dalla collera divina. Dopo la morte di quest’ultima in seguito ad un’infezione polmonare, anche se alcuni malignarono di un avvelenamento da parte del marito, l’augusto si sottopose ad un anno di penitenza consigliato dal patriarca Gregorios IV prima di risposarsi. La scelta, questa volta, cadde sull’incantevole figlia di Thomas Palaiologos, Eirene, che aveva appena sedici anni e si dice fosse stata benedetta da una bellezza sconvolgente.
Nel 1781 i due convolarono a nozze e l’anno dopo nacque, sano e forte, il tanto agognato erede al trono: Ioannes. Questo matrimonio comportò il perdono ufficiale dell’oramai anziano generale, che venne reintegrato in alcuni dei suoi titoli e invitato nel Palazzo Magnaura a cercare di salvare di nuovo la situazione.
Infatti negli anni ottanta del XVIII secolo furono due i problemi che angustiarono il governo di Costantinopoli, uno interno e uno esterno.
Quello esterno era rappresentato dalle spinte autonomiste di alcune delle etnie più esterne dell’Impero Romano, come i portoghesi e gli spagnoli nella penisola iberica, i sudanesi in Egitto meridionale, i turchi, gli azeri e gli arabi musulmani nel Caucaso e in Mesopotamia e gli ungheresi presenti nel thema dell’Illyria. Inoltre alcuni movimenti simili vennero espressi dalla nobiltà locale nelle colonie di Colombia.
Tra il 1779 e il 1785 il governo si impelagò inoltre nella campagna d’Etiopia, un regno cristiano vassallo di Costantinopoli fin dall’inizio del XVI secolo e che ora era squassato da una guerra civile. Il Corno d’Africa, vitale per il commercio romano e per il controllo della parte meridionale del subcontinente indiano, non poteva essere lasciato in quella situazione, perciò vennero inviate flotta e legioni per ristabilire l’ordine e la supremazia di Costantinopoli.
Nel 1781 le forze romane occuparono Axum, capitale del regno, ma dovettero sgomberarla quando un orda di 70.000 abissini, somali ed eritrei si riversò verso di loro. Il facile conflitto si trasformò in una durissima campagna, che comportò immense perdite e costi alle casse imperiali, anche se nel 1785 si riuscì finalmente ad ottenere la tanto desiderata vittoria. Sul trono d’Etiopia salì Manouel I, un nobile di sangue greco di Alessandria che aveva sposato la figlia di uno dei ras locali più influenti, dando inizio alla dinastia bianca degli alessandrini che perdurerà, in quell’angolo del Continente Nero, fino al 1958.
Ma il nuovo conflitto, peggiorato dal disastroso aiuto economico-militare fornito alla Gran Bretagna nella sua inutile e fallimentare opera di sottomissione dei ribelli americani nella Guerra d’Indipendenza che insanguinò il nord del continente tra il 1775 e il 1781, portò ad una nuova bancarotta statale nel 1786.
L’altro problema dell’Impero Romano, questa volta di ordine interno, fu il cosiddetto Diaphotismos o Illuminismo, un movimento culturale e filosofico che si basava sui principi di libertà di pensiero e tolleranza.
Nel periodo che verrà poi battezzato come “il Secolo dei Lumi” tutta l’Europa fu testimone di notevoli cambiamenti socio-culturali caratterizzati, fra l’altro, da un esame critico della religione e delle strutture del potere autocratico. Le dottrine religiose istituzionalizzate vennero contrastate con l’esaltazione di quei valori quali il laicismo e la tendenza alla progressiva emancipazione dell’uomo dai dogmi della fede, dal dominio assoluto del sovrano e dalle differenze di classe.
Le idee prevalenti dell’Illuminismo furono la libertà e l’uguaglianza sociale, i diritti umani universali, la laicità dello Stato, la scienza e il pensiero razionale. L’aspetto più particolare fu che il movimento si affermò in maniera trasversale in tutte le classi. Se infatti iniziò, e fu per la maggior parte, un movimento borghese, vi parteciparono attivamente anche tanti nobili, sacerdoti, vescovi, missionari e plebei.
La sua origine fu inglese, avviata dal pensiero di intellettuali come Francis Bacon e John Locke, ma si affermò e si espanse enormemente proprio nei paesi dove il governo era più centralizzato e dispotico: a Costantinopoli e a Parigi.
Ben presto pensatori come Nikolaos Maniakes e Andreas Nikopoulos nell’Impero Romano e François-Marie Arouet, detto Voltaire, e Rousseau in Francia, misero nero su bianco delle teorie che riscuoteranno un immenso successo politico, sociale e culturale e scuoteranno alla base l’ideologia millenaria di governo autocratico dei paesi europei.
La Rivoluzione Americana fu il primo banco di prova di questa ideologia, infatti i ribelli fecero dei suoi principi la base della loro Nazione, inserendoli per la prima volta in un testo che avrà grande successo e si affermerà presto in ogni Stato Moderno: la Costituzione.
Molti illuministi vedevano nel passato classico greco-romano la vera culla della civiltà, mentre detestavano e demonizzavano l’oscurantismo cristiano del Medioevo. Da questo derivò il duplice e opposto atteggiamento che rivolsero a Costantinopoli: da una parte come conservatrice e salvatrice del pensiero antico, dall’altra come attuale baluardo del sistema reazionario teologico-assolutista.
Ma la cosa peggiore per i benpensanti romani e in generale europei fu l’ateismo che praticarono molti filosofi dell’epoca.
Diversi illuministi, infatti, rifiutarono la metafisica e cercarono la conferma di una visione naturalistica e laica della realtà, propugnarono la tolleranza e polemizzarono contro le superstizioni e i pregiudizi. Sulla base di questi presupposti, non pochi autori e intellettuali misero in opera un anticlericalismo e un attacco alla Chiesa radicale, soprattutto di quella Ecumenica, che in molti casi assunse contenuti e toni molto veementi.
Conseguenza di questo fatto fu lo spassionato amore che questi uomini riversarono sulla scienza, vista come osservazione diretta dei fenomeni e il loro studio attraverso l’uso autonomo della ragione. La fides nella ratio, coniugandosi con il modello sperimentale della scienza elaborata dal pensatore inglese Newton, sembrava rendere possibile la scoperta non solo delle leggi del mondo naturale, ma anche di quelle dello sviluppo sociale.
Tra il 1768 e il 1775 una squadra di pensatori romani, francesi, inglesi e tedeschi elaborò l’Enkuklopaideia, o “Enciclopedia delle Scienze, delle Arti e dei Mestieri”, un’opera redatta in greco e in francese. Il progetto ideato da Diderot, Nikopoulos e D’Alembert puntava a creare un compendio universale di tutti i saperi. I suoi fini però non erano di sola conoscenza, ma anche di propaganda delle idee del movimento. Proprio per questo la sua stampa venne bloccata per due volte in Francia e per tre nell’Impero Romano. Allora gli autori si rivolsero agli stampatori olandesi e britannici, che non si fecero scappare l’occasione e comprarono immediatamente i diritti sull’opera, ottenendo un immenso successo in tutta Europa e nelle Colonie.
Tra i più illustri rappresentanti di questo periodo abbiamo il giurista e filosofo della politica Charles de Montesquieu, Denis Diderot, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau per la Francia; Pietro Verri, Cesare Beccaria, Nikopoulos, Maniakes, Mikhael Kantakouzenos e Mircea Dracula nell’Impero Romano; Benjamin Franklin e Thomas Jefferson negli Stati Uniti, oltre che una lunghissima schiera di britannici.
Durante la prima parte della seconda metà del XVIII secolo molti tra i principali esponenti dell’illuminismo furono perseguitati per i loro scritti o messi a tacere dalla censura governativa e dagli attacchi della Chiesa, ma negli ultimi decenni del secolo il movimento si affermò in Europa ed ispirò la rivoluzione americana. Il successo delle nuove idee, sorretto dalla pubblicazione di riviste, pamphlet e libri e da nuovi esperimenti scientifici, inaugurò una moda diffusa persino tra i nobili e il clero. Alcuni sovrani europei adottarono le idee e il linguaggio dell’illuminismo. Voltaire e altri pensatori, attratti dal concetto di roi-philosophe che guida amorevolmente il suo popolo dall’alto, guardarono con favore alla politica dei cosiddetti despoti illuminati, come Friedrich di Prussia, Ekaterina di Russia e Ioseph d’Austria.
Diversa era invece la situazione di Roma e della Francia. Quaggiù infatti i regnanti, che per un’ironico caso del destino avevano lo stesso numero dinastico – Konstantinos XVI e Louis XVI – stavano cercando di risolvere la crisi delle rispettive Nazioni con un ulteriore accentramento e un inasprimento della tassazione e dei controlli di polizia sui sudditi.
Come chiunque potrà facilmente comprendere, questa scelta inaugurava una politica suicida che poteva causare l’innesco di quella miccia che avrebbe portato allo scoppio dell’immensa polveriera che si era creata sotto i loro troni.
Il 1° di febbraio, esasperati dalla crisi finanziaria e da un’ennesima carestia che non portò ad adeguati rifornimenti di pane nella capitale, la popolazione di Costantinopoli insorse. Tre mesi dopo, al seguito della rivolta romana, anche il popolino di Parigi scatenò una dimostrazione che portò, dopo alterne vicende, allo stato d’assedio per la monarchia.
Il basileus Konstantinos, terrorizzato dalla folla, fece una serie di mosse una in contraddizione con l’altra, esasperando ancora di più gli animi.
Promise che i rifornimenti di pane si sarebbero stabilizzati, ma allo stesso tempo alzò il prezzo di quel bene per pagare i debiti accumulati per garantire l’invio di grano dall’Ucraina. Vedendo la gente di nuovo nelle strade chiese consiglio all’anziano Thomas Palaiologos, che propose di offrire gratuitamente nella capitale il cibo per alcune settimane a spese dello Stato, in modo da calmare gli animi, ma venne bruscamente messo da parte quando il giovane Mikhael Kantakouzenos – nipote dell’ormai defunto omonimo che aveva recuperato la Spagna e il Portogallo all’impero – affermò che l’unico modo per superare la crisi sarebbe stata la linea dura con i rivoltosi. Mikhael era stato un compagno di bagordi del giovane basileus, poi promosso al rango di spatharios, patrikios e infine a logothetes ton oikeiakon. Questo grand’uomo, diventato mostruosamente ricco grazie alla carica e alle tangenti che si faceva dare per non intervenire sull’ormai affermato sistema di corruzione generale nell’esazione delle imposte, si voleva ora guadagnare anche un po’ di facile gloria militare.
Nei mesi che vanno da marzo a giugno tentò, con i contingenti della Guardia e delle legioni di stanza presso Costantinopoli di sterminare i ribelli, ma con scarsi risultati. Allora, ai primi di giugno, complottò con i capi della rivolta per rovesciare Konstantinos, salire al trono e concedere tutte le riforme che volevano i ribelli, che oramai chiedevano a gran voce l’istituzione di un’assemblea rappresentativa non solo di nobili ma anche di borghesi e la concessione di una Costituzione liberale sul modello americano.
Per fortuna del basileus i suoi servizi segreti scoprirono per tempo le trame dell’uomo che, con la recente nomina a megas logothetes e a magister militum praesentalis, era diventato il più ricco e potente uomo della capitale dopo l’imperatore.
In una notte si consumò il dramma: il 16 giugno Mikhael venne prelevato nei suoi alloggi dai variaghi, condotto davanti a Konstantinos e costretto a confessare, infine decapitato. Il 17 mattina gli araldi sparsero la notizia e a mezzogiorno la sua testa venne esposta incatramata presso il Phoros di Alexios, in modo che chiunque lo venisse a sapere.
Il popolo, perso il suo maggior – per quanto pessimo – referente politico, divenne ancora più furioso e tra il 19 e il 21 dello stesso mese una folla di oltre 40.000 persone mise sotto assedio l’Aghios Palation.
Con le truppe senza un capo e allo sbando, nessuno avrebbe scommesso un solo bisante sulla testa di Konstantinos e sulla sopravvivenza della dinastia, ma accadde il miracolo. Un giovane ufficiale appena ventenne prese in pugno la situazione, radunò tutti i veterani tra le coorti di fanteria, cavalleria e artiglieria sbandate che si aggiravano nella capitale e le utilizzò contro gli insorti.
I combattimenti strada per strada, in principio drammatici e quasi senza speranza, andarono pian piano sempre più in favore dei militari. Il loro improvvisato comandante, un centurio di artiglieria, era sempre in prima linea e progettava audaci e spericolate azioni che fecero perdere tutta la fiducia che i ribelli avevano coltivato in quei mesi dove avevano messo alle strette la monarchia.
Lo scontro finale, che si verificò la notte tra il 29 e il 30 giugno presso il Forum Bovis, vide i cannoni caricati a mitraglia delle truppe realiste sparare ad alzo zero sulla folla, in modo da incanalarla nelle vie dove erano stati disposti numerosi manipoli di fanti che, con ordinate salve prima e cariche alla baionetta poi, dispersero e massacrarono i rivoluzionari. I pochi superstiti vennero infine falciati dall’intervento dei reparti di ussari e cosacchi sbarcati qualche giorno prima dalla Crimea.
La ribellione era finita prima che si sviluppasse in qualcosa di ben peggiore. Il giovane comandante che aveva salvato l’Impero Romano, un parvenu che proveniva dal lontano e piccolo thema insulare di Sardegna e Corsica, venne presentato a Corte il giorno dopo e già il 4 di luglio venne nominato magister militum praesentalis.
La sua carriera, che sarà tanto sfolgorante e travolgente da portarlo al più alto soglio del potere imperiale, lo collocherà nel ristretto numero dei più grandi augusti di Roma.
Il suo nome era Napoleone Bonaparte. La sua epopea era appena all’inizio.
Alberto Massaiu
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