Tutto iniziò quel terribile e allo stesso tempo magnifico anno. Nel momento più buio della nostra nazione. Il nostro popolo era allo stremo, il suo spirito prostrato dai troppi dolori e dalle innumerevoli delusioni degli ultimi decenni, se non secoli di declino. Perfino la nostra antica religione, professata e difesa dai nostri padri, era stata recentemente sottomessa alla Chiesa di Roma.
I cittadini di Costantinopoli dovevano sopportare un vescovo latino che officiava messa ad Aghia Sophia, il cuore del nostro credo.
Ma il problema maggiore era fuori dalle mura della capitale. La sventura, sotto la forma di un esercito di 100.000 turchi, era alle nostre porte.
La Regina della Città era in pericolo. Ma non si deve immaginare la Costantinopoli che ai nostri giorni si può ammirare dalla sommità del Palazzo Sacro, ma un’altra città, decadente e prossima alla fine. I difensori non superavano le 10.000 unità, e solo la metà era esperta di guerra, mentre il resto era formato da miliziani arruolati a forza per difendere le mura. Nonostante questo, erano tutti determinati a resistere.
Quando gli ambasciatori del sulṭān Mehmet II chiesero la resa della capitale, il basileus Konstantinos rispose fermamente “Darti la città non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti. Abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere, e non risparmieremo la vita!”
L’assedio durò da aprile a giugno dell’Anno del Signore 1453, e furono settimane terribili: bombardamenti di artiglierie, sortite fortunate, assalti alle brecce, mine sotterranee, contromine, scontri navali. Gli atti eroici da una e dall’altra parte non si potevano contare, tanto che molti si persero nel sangue e nella polvere degli scontri.
I turchi ebbero migliaia di perdite.
Il sulṭān, Mehmet II, decise l’attacco finale per il 6 giugno. Questo, dopo un lungo ed estenuante combattimento, fallì. Lo sprezzo per la vita dei suoi soldati e i suoi metodi brutali furono la causa della sua rovina. Fu ucciso dai suoi stessi generali, durante un ammutinamento, la notte stessa del fallito attacco.
Immediatamente iniziò il conflitto per il trono del regno degli ottomani e il fatto che Mehmet avesse eliminato chiunque potesse succedergli creò ancora più anarchia.
Tre generali si contesero il potere: Zağanos Paşa, il più potente, controllava la Tracia, con capitale Adrianopoli, la Serbia orientale e la Bulgaria. Questi era un greco convertito che aveva rinnegato la propria fede e tradito la patria, ed era inoltre stato il più acceso fautore della politica aggressiva di Mehmet.
Mahmud Paşa controllava invece la Serbia occidentale, l’Epiro e la Grecia fino all’Attica.
L’ultimo pretendente era l’ex vezir-i azam – gran visir – di Mehmet, Halil Paşa, che controllava l’Anatolia turca con capitale Bursa.
Fu allora che l’imperatore dei romani Konstantinos XI decise di tentare il tutto per tutto. Arruolò mercenari italiani e chiamò a raccolta i greci, i bulgari e i serbi che vivevano nelle regioni controllate dai turchi. Poté fare tutto ciò grazie ad ingenti finanziamenti ottenuti da Venezia e Genova, che ritenevano più vantaggioso avere a che fare con un impero debole, ma alleato e cristiano, piuttosto che un altro potente, ostile e islamico.
La piccola armata romana consisteva in 5.000 fanti, 800 cavalieri pesanti e 2.500 leggeri. In lei risiedevano le esili speranze di sopravvivenza e di riscossa del nostro millenario impero. In principio, come era successo spesso negli ultimi sessant’anni, il basileus si alleò con una delle fazioni in lotta. Konstantinos infatti strinse un patto con Mahamut e Halil, in modo da sconfiggere il più potente Zağanos Paşa e spartirsi i suoi territori. Mahamut, desideroso di confrontarsi con il rivale, decise di non aspettare gli alleati e mosse attraverso il Danubio verso oriente, occupando Sofia, in Bulgaria.
Davanti alle mura cittadine fu intercettato dalle armate di Zağanos Paşa. Lo scontro fu aspro e in esso trovarono la morte quasi 20.000 uomini. Uno di essi era lo stesso Mahamut.
Nel frattempo una colonna di 400 cavalieri greci e albanesi comandata da Alexios Komnenos, il nuovo strategos autokrator dell’imperatore, occupò le città elleniche abbandonate dalle guarnigioni ottomane. La notte del 28 settembre Konstantinos prese possesso di Tessalonica con un attacco notturno, mentre Alexios riportava sotto il controllo romano la Beozia e la Tessaglia. Per i primi di ottobre i signori romei e latini che abitavano in Morea e Attica fecero tutti atto di sottomissione a Costantinopoli.
Il 3 ottobre Halil sbarcò a Varna con un’armata imponente e molto motivata di 15.000 fanti e altrettanti cavalieri, con la quale in poco tempo sottomise alcuni porti fedeli a Zağanos Paşa.
Gli eventi incalzavano: il 15 ottobre mosse verso la Tracia, ma anche l’avversario non era rimasto a guardare: chiamate a raccolta le guarnigioni da tutte le città e le fortezze europee, marciò su Adrianopoli, difesa da 5.000 uomini a lui fedeli. Con essi avrebbe portato i suoi effettivi a 25.000 unità, per la maggior parte veterani delle guerre balcaniche dei precedenti sultani Murat e Mehmet.
Konstantinos sorprese entrambi i rivali, infatti, stretta un’alleanza segreta con l’Ungheria e i signori di Valacchia e Moldavia, mosse un attacco congiunto da tutte le direzioni. Il suo esercito era piccolo ma molto mobile e presto occupò diverse roccaforti in Macedonia, Serbia e Bulgaria occidentale. Nel frattempo i due schieramenti turchi si fronteggiavano davanti alla capitale ottomana, ignari dei movimenti imperiali.
Il 19 novembre, dopo tre settimane di schermaglie, le due armate furono scagliate l’una contro l’altra. Fu un terribile massacro, nel quale perirono quasi 30.000 soldati e, dopo la rotta dell’armata di Zağanos Paşa, altre migliaia di civili, durante il saccheggio della città. Dopo sei giorni di scontri continui, il vincitore si ritrovò circondato da 7.000 uomini freschi e ben motivati al comando di Konstantinos.
Vi fu un tentativo di battaglia, ma l’armata ottomana fu miseramente battuta. Zağanos Paşa era morto il 21 novembre per le ferire ricevute in battaglia e Halil era ora prigioniero dei romani. Le trattative avvennero nell’accampamento di Konstantinos nei pressi di Adrianopoli, ma un accordo fu raggiunto solo a Costantinopoli verso gli inizi di dicembre.
Con questo Halil dovette cedere tutti i suoi possedimenti in Europa e pagare un’ingente indennità di guerra, che servì a ripagare i mercanti veneziani e genovesi. Dovette inoltre smantellare la flotta, che era stata recentemente allestita da Mehmet. Come ultima clausola, promise di non mettere più piede nella parte occidentale del Bosforo.
Naturalmente, come c’era da aspettarsi, era solo una tregua in attesa di riorganizzare le forze. I mesi successivi servirono ad entrambi i contendenti per preparare il campo. Il basileus arruolò nuovi mercenari, ma allo stesso tempo iniziò anche a reclutare molti romani, serbi e bulgari e li inquadrò in un’unità regolare. Chiamò questo corpo appena creato con il nome di Mega Allagion Makedonikon, visto che mise l’accampamento e si addestrò in quella regione appena riconquistata. Anche la flotta, che contava prima dell’assedio di Costantinopoli ventisei galee, ora ne annoverava quarantasette. Le terre appena prese nei Balcani iniziarono a manifestare diverse forze separatiste, ma per il momento l’imperatore decise di non impegnarsi troppo in quei lontani settori. Prese però la precauzione di disporre diverse guarnigioni in città chiave come Adrianopoli, Sofia, Varna, Ocrida, Skopje, Costanza, Mesembria, Tebe e Larissa.
Per fortuna Halil, che si proclamava nuovo sulṭān dei turchi ottomani, dovette stare alcuni mesi a sedare rivolte indipendentistiche in Anatolia, affrontando le forze ribelli dei feudatari di Kastamonu e Karaman. Alla fine poté dedicarsi all’impero solo nel 1455.
Konstantinos dedicò la maggior parte di questo tempo di tregua a risollevare il morale dei cristiani d’oriente, riuscendo a tenere in parte uniti bulgari e serbi, sempre pronti a rendersi indipendenti. Per farlo usò la sua figura imperiale: infatti aggiunse al suo titolo di basileus dei romani quello dei bulgari e dei serbi, in modo da avvicinarli all’ideale dell’impero.
Furono poi innalzate nuove fortificazioni e restaurate quelle preesistenti in alcune città costiere e dell’interno, come Tessalonica, Adrianopoli, Varna, Sofia e Larissa. In vista dell’invasione ottomana molti nobili dei Balcani decisero di appoggiare momentaneamente Costantinopoli, spedendo diversi contingenti in appoggio a Konstantinos. In novembre arrivarono 300 cavalieri ungheresi agli ordini di János Hunyadi, terrore dei turchi.
Furono anche incoraggiati molti matrimoni tra romei, bulgari e serbi, per cementare le fondamenta del nuovo Stato, in attesa della controffensiva di Halil. Con l’editto Nomos tou genous rhomaious queste tre etnie vennero tutte identificate come romani e, come tali, sudditi dell’impero, con pari diritti e doveri e con il basileus come unico signore.
Va inserito in questo contesto il matrimonio di Alexios Komnenos, che nel 1453 si sposò con Eirene Asen, figlia di un membro dell’ex casa reale bulgara. Da lei, nel 1454, ebbe un figlio, che fu chiamato Basileios.
Ma ora la minaccia turca era di nuovo alle porte, e subito iniziarono i preparativi. Voci di guerra si levavano infatti ad oriente del Bosforo.
Halil, nemesi dell’Impero, fu pronto per il 15 marzo 1455. In quella calda mattinata praticamente primaverile egli ispezionò la flotta davanti alla fortezza di Anadolu Hisari: 65 navi da battaglia e molte decine da trasporto. Il suo esercito contava 15.000 fanti e 23.000 cavalieri. Imbarcò anche una trentina di cannoni.
La disparità di forze era più che evidente.
Alexios, che comandava la cavalleria imperiale e alleata, aveva 5.000 uomini ben addestrati e motivati. Konstantinos, che controllava la fanteria e la flotta, aveva 13.000 soldati di terra e 3.000 di marina, detti thalassatoxotai, più 47 vascelli.
L’inizio del conflitto fu benedetto da un’incredibile successo per i romani, segno che la Benevolenza Divina aveva ancora un occhio di riguardo per i suoi figli prediletti. Il droungarios della Flotta Loukas Notaras riuscì a catturare, con un audace colpo di mano, le navi che portavano viveri, armamenti e oro all’armata di Halil. Ne affondò poi diverse altre, che si erano messe ad inseguirlo disordinatamente, e tornò trionfante e carico di bottino a Costantinopoli.
Halil, furioso, lamentò che i romani avevano rotto la tregua, dimenticando di esser stato proprio lui il primo ad armare gli eserciti e a ricostruire una piccola marina, cosa che si era impegnato a non fare con i trattati di pace del 1453. Konstantinos non si degnò neanche di rispondere all’ambasceria turca di un uomo che lui definì: “Un generale venuto dal nulla, padrone di nulla”.
Ma la minaccia da lui portata era ben reale e di grande rilievo.
Tra il 27 e il 28 marzo l’armata di Halil attraversò gli Stretti dei Dardanelli nei pressi di Gallipoli, il primo insediamento occupato dai turchi in Europa circa un secolo prima.
Il luogo aveva un valore simbolico non indifferente per i guerrieri islamici, e Halil sperava che sarebbe diventata un’ottima testa di ponte per la riconquista di tutto il territorio perduto due anni prima. Le due flotte si impegnarono così in una cruenta battaglia per il controllo di quel tratto di mare. Nel frattempo il sulṭān attraversò il mare con le navi da trasporto e, in seguito ad una breve scaramuccia, si impossessò di Gallipoli. I combattimenti marini durarono diverse ore e, dato che verso il pomeriggio del secondo giorno calò il vento, le due schiere si limitarono piuttosto ad un bombardamento a distanza, che avvantaggiava le più pesanti navi cristiane.
A questo punto si verificò l’errore che determinò lo scontro. I capitani turchi, inseguendo le galee imperiali che ripiegavano verso i porti della capitale, si avvicinarono troppo alle mura costiere di Costantinopoli. Da là molte centinaia di arcieri e di macchine d’assedio si unirono alla battaglia. Numerose navi musulmane affondarono con i loro equipaggi. E centinaia di esperti marinai andarono a picco con loro.
La mattina del 29 marzo Halil capì di non avere più una flotta e di essere bloccato, senza rifornimenti, in Tracia.
In più scoprì che Alexios Komnenos, avendo immaginato uno sbarco nella cittadina di Gallipoli, l’aveva fatta preventivamente evacuare, aveva raso al suolo le mura, inquinato le fonti d’acqua e portato via o distrutto ogni minima cosa che poteva servire agli invasori. Fu un duro colpo per il morale dell’armata ottomana. Konstantinos aveva poi fatto ritirare tutte le persone dai villaggi del luogo, accogliendoli nella capitale. In tutta la regione fu fatta terra bruciata come per Gallipoli.
Obbligato dagli eventi incalzanti e con un esercito sull’orlo della fame, Halil mosse verso la Macedonia e la Tessaglia in cerca di rifornimenti.
Un piccolo scontro di cavallerie si tenne nei pressi di Tessalonica, difesa dallo strategos autokrator. Fu una rotta totale dei turchi, che lasciarono sul terreno 400 cadaveri. Halil era disperato e con il morale dell’esercito a terra, perciò decise di affidare al figlio Ahmud l’assedio della seconda città dell’Impero con tutte le forze rimaste, mentre lui sarebbe tornato in Anatolia in cerca di rinforzi e rifornimenti.
Konstantinos non aspettava altro: lasciato un piccolo contingente nella capitale, marciò su Tessalonica e attaccò gli ottomani alle spalle. Alexios effettuò nello stesso momento una sortita, circondando totalmente i nemici. I turchi, messi con le spalle al muro, combatterono strenuamente, e, anche grazie alla loro superiorità numerica, respinsero gli imperiali per ben tre volte.
Vedendo che essi non cedevano e le perdite aumentavano costantemente, il basileus decise di interrompere lo scontro e di ritirarsi sulle alture intorno al territorio urbano. Gli invasori vennero quindi assediati tra le mura della città e l’esercito romano di rinforzo, in modo da esser costretti a combattere dove desiderava l’imperatore oppure a morire per fame o malattia.
Gli ottomani rimasero in questa terribile situazione per due mesi: il 19 giugno decisero di tentare il tutto e per tutto, dato che da Halil non era giunta alcuna notizia della sperata spedizione di soccorso. L’armata fiera ed orgogliosa che era sbarcata in territorio imperiale il 27 marzo e che contava quasi 40.000 uomini era ora ridotta a meno della metà degli effettivi, con solo cinque cannoni su trenta ancora utilizzabili.
Allo scontro poteva esserci un solo naturale esito: la sconfitta. Le poco motivate cariche dei spahi anatolici s’infransero sulle asce della Guardia Variaga, mentre le ali dello schieramento turco vennero travolte dai cavalieri ungheresi, serbi e albanesi di Alexios.
Solo 2.000 soldati a cavallo al comando di Ahmud scamparono alla disfatta con la fuga. Era la prima vera vittoria del nuovo impero. Questa piccola unità fuggì verso la Tessaglia, dove venne infine raggiunta dall’armata raccolta con molta fatica, denaro e promesse di conquista, da suo padre. Il prestigio dell’autorità ottomana in Europa si stava sgretolando.
I due eserciti si fronteggiarono a metà mattina del 2 luglio ma, dopo un breve scontro, vista la disparità numerica, Konstantinos preferì ritirarsi a nord, in attesa di rinforzi.
Per tutto luglio, agosto e settembre Halil, invece che inseguire la piccola forza romana, decise di creare una robusta testa di ponte in Grecia. Si dedicò quindi all’assedio e all’occupazione di Tebe, Servia, Castoria e altri centri dell’area. Come ultima azione positiva s’impadronì di Larissa, dopo un sanguinosissimo assalto che gli costò circa 4.000 uomini tra morti e feriti. I 300 difensori sopravvissuti vennero ferocemente impalati.
In ottobre Alexios Komnenos reagì. Intercettò presso il lago di Prespa una colonna di cavalleria turca sotto il comando di Ahmud, forte di 7.000 uomini, e le inflisse una dura sconfitta nonostante disponesse di forze inferiori.
Anche Konstantinos non stette a guardare e incaricò Thomas, suo fratello e despotes della Morea, di riconquistare la Beozia. Il condottiero romano, con audaci azioni di guerriglia e con la complicità delle popolazioni cristiane insofferenti al dominio musulmano, riguadagnò la regione appena Halil si spostò a nord. Tebe fu ripresa il 17 ottobre, dopo soli 67 giorni di occupazione.
A causa di queste vicende Konstantinos e Halil stabilirono una tregua di alcuni mesi, per riorganizzarsi. Questa doveva durare fino al febbraio del 1456, ma fu spezzata da Ahmud, che tentò impulsivamente di attaccare il campo invernale di Alexios nelle montagne vicino al territorio albanese. L’assalto fu sferrato incautamente il 29 dicembre, con l’unica motivazione di vendicare la battaglia di Prespa. Ostacolati dalla neve, i turchi rimediarono una dura sconfitta, aggravata dal fatto che dovettero ritirarsi nelle montagne dei Balcani meridionali sotto una forte tormenta, nella quale Ahmud stesso trovò la morte.
Ora l’esercito romano, che contava 10.000 fanti e 5.000 cavalieri, avanzò in Tessaglia e il 12 gennaio si schierò di fronte a Larissa. La città era l’unica roccaforte rimasta nelle mani di Halil, stretto tra le forze di Konstantinos, Alexios e Thomas. Fu lì che si decise tutta la campagna. L’armata imperiale inflisse una devastante sconfitta ai turchi, grazie all’impeto della Guardia Variaga, che sconvolse il centro dello schieramento ottomano, roteando le loro lunghe asce da guerra. Il massacro, completato dai cavalleggeri valacchi e ungheresi di Hunyadi, concluse la giornata.
L’indomani la testa di Halil fu portata come trofeo nelle vie della città liberata, poi venne incatramata ed esposta su una picca a Costantinopoli. La minaccia turca all’Europa era scomparsa per sempre.
Alberto Massaiu
4 Comments
Ho letto con attenzione questo Suo interessantissimo lavoro, così come quello su ‘COSTANTINO tra paganesimo e Cristianesimo. Mi piacerebbe conoscere il suo parere sulla venerazione a San Costantino Magno in Sardegna , specialmente a Sedilo (or) ove ogni anno il 6/7 luglio si corre la famosa ARDIA, in ricordo della battaglia e la visione di Ponte Milvio, di Costantino contro il cognato Massenzio Sono di aSedilo e da un ventennio mi occupo di ricerche sul’Ardia e sul culto a Costantino. Da documenti del 1669 da documenti originali
scritti in spagnolo sembra che il santo venerato a Sedilo non sia Costantino Imperatore ma un santo locale. Lo stesso Vittorio Angius nella sua monumentale Villaggio e citta della Sardegna, scritto con il Casalis afferma che il Santo venerato a Sedilo non è l’Imperatore ma il Giudice o Regolo di Torres Costantino I. Nelle mie ricerche. trovo che anche a Iglesias si venerava il Regolo Costantino I ove nel castello di Salvaterra o San Guantino costruito dai pisani dal famoso Conte Ugolino vi si costrui una cappella in suo onore. Nel Dizionario degli uomini illustri della Sardegan Adriano Vargiu scrive di S Costantino Regolo di Torres., cosi come il viaggiattore Francese Valery, Ultimamente nella presentazione di un volume sul famoso Nuraghe Santu Anine (San Costantino) di Torralba. l’Archeologo Raimondo Zucca scrive ‘ Se l’agiotoponimo del primo medioevo si riferisce a Costantino questo è da individuare in Antine come San Costantino Regolo di Torres non all’Imperatore Costantino Magno. La ringrazio anticipatamente Costantino Mongili v Fara 12 Sedilo tel 0785/59205 o 3334422858
Salve Costantino. Grazie mille per i complimenti e per aver approfondito i miei articoli sul blog 🙂
In quanto alla tua domanda, premetto che non sono un esperto nelle tradizioni religiose sarde, anche se mi affascinano molto. Da quello che so sulla Sardegna giudicale Costantino di Torres fu un sovrano pio, ma non tanto da essere beatificato e/o santificato. Fu se non sbaglio il figlio Gonario a morire in odore di santità, da monaco cistercense, dopo aver abbandonato il potere.
Ad ogni modo, ma prendi il tutto come mera opinione personale, secondo me l’influsso di Costantino imperatore ci fu di sicuro, anche se forse in maniera indiretta. D’altro canto, come ho scritto in quest’altro articolo (https://albertomassaiu.it/la-sardegna-giudicale-le-origini-lascesa-e-il-declino/) i giudicati sardi furono un unicum nel panorama statuale occidentale, in quanto mantennero per almeno 3-4 secoli (contando l’Arborea che sopravvisse più a lungo) un sistema di governo non feudale, ma ispirato direttamente al modello tardo-romano e bizantino.
Anche la chiesa autocefala sarda, che tanto stava sulle scatole al Santo Padre a Roma, testimonia un contatto con il mondo greco-orientale tutto da approfondire, e nel mondo ortodosso Costantino Magno è un santo e quasi per certo ha ispirato la titolatura dei giudici sardi, e quindi se anche la festa fosse ispirata a Costantino di Torres avrebbe per certo un collegamento con il celebre fondatore della Nuova Roma.
Spero di aver averti risposto almeno in parte, o probabilmente ho aperto ancora più fili di discussione XD
Un caro saluto
Grazie della graditissima e solerte risposta. Costantino regolo di Torres, Rex Clarus. amato dal Papa per le sue notevolissime donazioni agli ordini religiosi specialmente ai Camaldolesi, gradito e tenuto in gran considerazione, non sto ad elencare i molteplici interventi di Costantino I che tu conosci bene, spedizione armata con i pisani alle Baleri contro i Mori, aiuti economici alla Prima crociata, costruzione di Basiliche come quella di Saccargia ec ecc ecc.. e poi il figlio Gonario che partecipò alla seconda crociata., amico di San Bernardo, dei templari. poi beato , e anche lui si distinse per le immense donazioni. Il piu noto studioso del culto di San Costantino in Sardegna è il mio paesano Monsignor Spada, ma cade secondo me in errore attribuendo il culto in Sardegana al solo imperatore bizantino , cosi come afferma che tale culto si trova in Calabria e in Sicilia. Faccio due esempi di molti a mia disposizione. Il più noto afferma lo Spada e San Costantino Calabro, ma guarda caso nelle mie ricerche scopro che in quella cittadina si Venera un vescovo locale. o ancora San Costantino albanese, anche in questo caso culto introdotto afferma lo Spada dai monaci basiliani intorno al VIII – iX secolo ai tempi della guerra iconoclasta a Costantinopoli, Il culto a S Costantino albanese fu introdotto in Italia da profughi intorno al 1450. In sicilia si venera San Costantino Paleologo ultimo Imperatore dell’impero romano d’Oiente. Penso che anche in Sardegna si sono sovrapposti diversi culti a diversi San Costantino e poi per diverse ragioni dirottato verso Costantino Magno, Mi domando come fa Vittorio Angius nella sua opera ad affermare che il culto a San Costantino a Sedilo, Scano Montiferro, Siamaggiore, Ploaghe Samugheo, Ollasta Simaxis, Genoni, San Antonino di Gallura non è rivolto all’Imperatore ma a Costantino regolo di Torres, …solo gli stolti scrive credono a queste fandonie………. Non so se tu hai mai visto l’Ardia di Sedilo, che si vuole che rappresenti la famosa battaglia di Ponte Milvio tra Costantino e Massenzio Pagani contgro contro Cistiani) anche in questo caso ormai anche noi sedilesi ci stiamo rendendo conto che l’ARDIA può esssere tutto meno che quella battaglia., tra Pagani ? e Cristiani? Molti affermano che l’Angius (non era lo scemo del paese), scrisse il suo monumentale ‘Paese e Villaggi ecc ecc. standosene a casa. Luciano Carta grande esperto in materia scrive che L’Angius non solo girò paese per paese, ma prima di recarsi in ‘loco’ spedi un questionario ai Parroci, Vescovi, intelletuali (eruditi) sindaci di ogni paese che dovevano rispondere e spedire all’Universita di Sassari, per non incorrere in sanzioni. Per concludee che interesse aveva l’Angius ad affermare e come scrive lo Spada voleva ‘deviare il culto all’imperatore, verso Costantino Regolo di Torres. cari
saluti Costantino
Interessantissima la tua analisi, si vede che è fatta sia di studio approfondito ma anche di tanta passione e riflessione. I miei più sinceri complimenti 🙂 sarebbe molto affascinante approfondire ancora di più questi temi, documenti alla mano. A proposito, se ti interessa ti proporrei una collaborazione senza impegno: in pratica gestisco la pagina e il blog di Heart of Sardinia, un progetto che vuole far conoscere il meglio della storia e delle tradizioni della nostra isola. Avrei bisogno di ulteriori persone che vogliano collaborare per scrivere sul blog. Articoli semplici, alla portata di tutti (600-1.000 parole circa), ma che avvicinino le persone alla storia della nostra terra. Ovviamente tutto quello che pubblicherai sarà a tuo nome. Se ti interessa contattami alla mia mail: alberto.massaiu89@gmail.com