Il 1808 si era chiuso in maniera tutto sommato favorevole per i romani. L’imperatore Napoleone aveva annientato l’antico antagonista di Vienna e messo sulla difensiva i russi. Ad ovest, però, l’autunno aveva portato una vasta offensiva franco-britannica in Aquitania. Sir Arthur Wellesley, il generale scelto da Londra per le operazioni sul campo, si era dimostrato abile e in breve tempo aveva messo a mal partito le legioni qui stanziate, occupando Bordeaux e minacciando Tolosa.
Napoleone, dimostrando la sua solita immensa energia, affidò il comando supremo in Polonia all’abile Vittorio Amedeo di Savoia-Carignano con l’ordine di contenere i russi fino alla primavera seguente, e con la Guardia Imperiale al completo, più raparti di cavalleria polacca, cosacca e ungherese, si diresse a marce forzate verso l’Italia.
Riuscì nella titanica impresa di bruciare i 1.400 chilometri fino a Milano in appena 45 giorni, imponendo un ritmo di marcia estenuante ai suoi soldati. Nel gennaio del 1809 era a Marsiglia e alla fine del mese liberò Tolosa, in quanto Wellesley preferì ritirarsi ad ovest e aspettare nuovi rinforzi dalla Gran Bretagna e da Parigi.
L’imperatore diede respiro ai suoi uomini e radunò tutti i reparti che poteva distogliere dalla Spagna e dall’Italia, poi mosse verso Bordeaux e qui si confrontò per la prima volta con colui che definirà nelle sue memorie: “Il mio miglior nemico”. Nei pressi di Agen, Wellesley decise di fermarsi e dare battaglia. Aveva con sé 18.000 soldati britannici e 28.000 francesi, protetti da 90 cannoni. Napoleone lo affrontò con 10.000 uomini della Guardia, 22.000 legionari, 9.000 cavalieri e 106 cannoni.
Lo scontro fu durissimo, in quanto l’imperatore eccelleva nell’attacco ma il generale inglese si dimostrò un maestro nella difesa. Due villaggi, una fattoria e un monastero divennero i punti strategici dello scontro e passarono di mano più volte durante la giornata. Alla fine Napoleone riuscì a scardinare il centro avversario con una carica dei granatieri vareghi della Guardia che gli costò un terzo dei suoi preziosissimi veterani.
Wellesley dovette abbandonare il campo, sacrificando buona parte della sua artiglieria e coprendo la ritirata con i reparti di dragoni tedeschi della King’s German Legion, che si sacrificarono con coraggio per bloccare i tentativi d’inseguimento dei romani.
All’alba di un gelido 18 Febbraio l’imperatore era padrone del campo.
Charles X, terrorizzato da quello che poteva accadere in caso di un’invasione romana del suo regno, ordinò una leva di massa e arruolò mercenari svizzeri, fiamminghi, valloni e olandesi. Nel frattempo l’Alsazia e la Lorena venivano invase dai soldati tedeschi della Germania Magna, Stato-Cliente di Roma. I 120.000 uomini radunati a Parigi dovettero in parte essere dirottati verso questa nuova minaccia e quindi, quando Napoleone mosse verso nord, solo 70.000 francesi potevano opporsi alla sua avanzata.
Il loro comandante, l’aristocratico Louis Baraguey d’Hilliers, era un buon generale, ma nulla poté contro il genio strategico dell’imperatore romano, che lo sbaragliò a Périgueux alle idi di Marzo. A salvare i transalpini fu Wellesley, che con i pochi rinforzi ricevuti da Londra seppe minacciare il fianco sinistro e le linee di rifornimento di Napoleone, costringendolo a fare retro-front per contrastare la minaccia britannica. Per tutto il resto del mese i due condottieri si fronteggiarono in una serie di piccoli scontri non decisivi nella regione del Poitou e di Vienne.
Il generale britannico fu abilissimo ad evitare lo scontro diretto con Napoleone, attaccando e ottenendo vittorie contro i suoi subordinati. Solo ad Aprile inoltrato, quando anche in Polonia erano ricominciate le ostilità, l’imperatore riuscì ad agganciare il grosso delle forze britanniche, battendole in maniera netta a Cholet.
Wellesley dovette quindi riparare in Bretagna con i 10.000 uomini che gli rimanevano. Il governo di Londra, in cui questi aveva molti nemici, lo sollevò dall’incarico addebitandogli tutte le colpe della sconfitta. Lo sostituì con il più politicamente apprezzato sir Cornelius Cuyler, che all’epoca aveva ormai 68 anni. Questi preferì non rischiare uno scontro campale e si limitò a fortificare la Bretagna, trasformandola in una succursale continentale della Gran Bretagna.
Napoleone, informato dal suo servizio di spionaggio del fortunato – per lui – avvicendamento di comando tra gli inglesi, concentrò tutti i suoi sforzi sull’annientamento dei francesi. Radunò altre due legioni, portando i suoi effettivi a 100.000, e prese Angers, Tours e infine Orléans ai primi di Maggio.
Lasciati 25.000 legionari a proteggere il fronte ad ovest, marciò con il resto delle forze verso Parigi. Charles X non era riuscito a respingere i tedeschi e questi si unirono all’imperatore nell’assedio della capitale. Dopo una settimana di bombardamenti il popolo si sollevò contro il suo sovrano, lo depose e lo consegnò nelle mani dei romani.
A piedi, con i vestiti impolverati, Charles dovette rimettere formalmente la sua corona nella mani di Napoleone, che lo aspettò in una coreografia che ricordava i quadri della resa di Vercingetorix a Caesar dopo la battaglia di Alesia. L’imperatore, infatti, aveva fatto allestire nel suo campo fuori le fortificazioni parigine un grande trono. Per l’occasione si era vestito con gli abiti di porpora e oro da cerimonia, e cingeva una corona di lauro aurea. Ai lati erano schierate le legioni con gli stendardi e le aquile in primo piano.
L’ex monarca francese dovette passare a piedi tra centinaia di soldati silenziosi. Charles stringeva tra le mani la corona dei sovrani di Francia, cercando di darsi un contegno. Nel momento in cui la pose ai piedi dell’imperatore, un urlo si levò dai legionari, scandito tre volte.
Roma Victrix!
Roma Victrix!
Roma Victrix!
Napoleone si permise la massima magnanimità con il nemico sconfitto, che venne inviato in esilio nell’isola d’Elba, sparendo dalla storia e vivendo una vita serena dedicata ai balli, alle feste e alla poesia fino al 1841.
Il giorno dopo entrò trionfalmente a Parigi, e, riunito il Parlamento di Francia, fece votare l’annessione dell’intero paese all’Impero Romano. Nello specifico tutte le terre alla sinistra del Reno, compresa la regione della Vallonia, buona parte delle Fiandre e della Renania tedesca passarono sotto il suo diretto potere, mentre assegnò i rimanenti ex territori olandesi alla Germania Magna, come compensazione per le regioni tedesche che vennero trasformate nelle province romane del Norico, Germania Superior e Inferior.
A questo punto rimaneva solo la Bretagna ad ostacolare la completa riconquista dei territori continentali come ai tempi di Augustus. Il governo di Londra, però, non volle rischiare una nuova sconfitta e ordinò l’evacuazione della regione, che cadde senza combattere davanti all’avanzata di due legioni.
Nel luglio 1809, presso la reggia di Versailles dove aveva installato il suo quartier generale, Napoleone ricevette ottime nuove da est. Entrambi i suoi magistri militum Vittorio Amedeo e Petros Bagrationi avevano riportato vittorie in Polonia e Ucraina sui russi nella tarda primavera e nell’estate di quell’anno.
Le loro forze congiunte, supportate da un contingente svedese, avevano trionfato a Minsk in una battaglia che era costata a San Pietroburgo 35.000 tra morti, feriti e prigionieri. L’imperatore Aleksandr dovette chiedere la pace, anche perché aveva il timore di un’invasione su vasta scala del suo territorio ora che i romani erano liberi dalle minacce ad occidente.
A questo punto Napoleone convocò una grande conferenza di pace da tenersi a Praga, in cui inviò anche i prussiani in quanto “ospiti” dell’esiliato Franz d’Austria. Questa, nei piani dell’imperatore romano, doveva celebrare l’apoteosi del suo potere. Nei mesi che andarono dal novembre del 1809 al febbraio del 1810 venne infatti ridisegnata la carta dell’Europa.
Il valore storico di quello che stava avvenendo in quei mesi fu tale che vi parteciparono non solo i delegati di tutti i paesi belligeranti, ma anche ospiti di paesi neutrali o lontani come gli emissari della Persia, del Marocco e persino dei decadenti mughliyah d’India. Napoleone fu il grande cerimoniere di una lunga serie di incontri alternati a balli di gala, spettacoli teatrali, pirotecnici e parate militari.
Nello specifico il grande sovrano poté restaurare i confini dell’Impero Romano dei tempi d’oro di sedici secoli prima, escluse solo la Gran Bretagna e la regione dei Carpazi, che preferì mantenere come Stato-Cliente in un nuovo grande paese chiamato Dacia Magna, in cui fece confluire i vecchi principati di Valacchia, Moldavia e Transilvania, che affidò alla fedele famiglia Drăculești con il titolo di basileus.
La famiglia Szapolyai fu invece insignita del titolo di rex d’Ungheria e Slovacchia. Questi dovettero accettare di cedere le città danubiane di Budapest e Bratislava e spostare la loro capitale a Nitra.
Tutta l’Austria al di sotto del Danubio con Vienna compresa, la Carinzia, il Tirolo e perfino la neutrale Svizzera furono annesse all’Impero Romano, mentre i territori a nord del grande fiume vennero riconsegnati al vecchio kaiser Franz, che venne nominato rex di Boemia e dell’Alta Austria. Questi dovette rinunciare pubblicamente al titolo di Sacro Romano Imperatore della Nazione Germanica, che venne del tutto soppresso in via ufficiale, ed entrare all’interno della Confederazione della Germania Magna.
Quest’ultima diventava una sorta di grande paese cuscinetto tra le nuove frontiere romane e i possibili avversari prussiani, che non accettarono di entrare nella confederazione. Al suo interno i vecchi Stati tedeschi vennero razionalizzati nel Regno d’Olanda, Regno di Hannover, Regno di Württemberg, Regno di Baviera, Regno di Sassonia e Regno di Boemia e Alta Austria. Questi sei paesi avrebbero nominato due consules che avrebbero coadiuvato un proconsul nominato dall’imperatore romano. Quest’organo esecutivo tripartito avrebbe amministrato la confederazione dal punto di vista doganale, commerciale e di politica estera, ma ogni Stato aveva la facoltà di mantenere una diplomazia, un’esercito, un sistema giudiziario e una polizia propria.
Tutti i regni dovevano abbandonare il sistema monarchico assoluto per uno costituzionale su modello romano, fondando i primi Bundestag, che a loro volta dovevano mandare delegati al Reichstag confederale, con sede a Norimberga. La bandiera della Germania Magna fu frutto della combinazione di tre bande orizzontali di colore Schwarz-Rot-Gold o Nero-Rosso-Oro, che simboleggiavano la Germania meridionale, centrale e settentrionale. Fu vietata da Napoleone, anche se venne richiesto dai delegati, l’inserimento al centro dell’antica aquila imperiale tedesca. In tal modo il sovrano romano voleva sventare qualsiasi collegamento con quello che era stato l’antico impero germanico, che per secoli aveva creato un’alternativa imbastardita del solo e unico Impero Romano.
La Russia dovette accettare i confini dell’Ucraina dei trattati precedenti e cedere la Lituania alla Polonia, che poté ottenere il suo sbocco al mare e rifondare l’antica Confederazione Polacco-Lituana, seppur di dimensioni ridotte. Mantenne invece la Russia Bianca, l’Estonia e la Lettonia, ma dovette riconsegnare la Finlandia all’alleato svedese di Napoleone.
Solo la Gran Bretagna uscì dal conflitto con i confini intatti, strappando persino la promessa di Napoleone a fare da mediatore con gli Stati Uniti, affinché ponessero fine al conflitto in Nord America.
La firma del trattato di pace si svolse il 1° Marzo 1810 presso l’antico palazzo imperiale di Hradčany, realizzato da Albrecht III Wallenstein due secoli prima. Il tutto si svolse con una cerimonia sfarzosa in cui erano presenti tutti i più grandi monarchi d’Europa, compreso George IV di Gran Bretagna. In quell’occasione un Napoleone raggiante proclamò in maniera ottimistica di aver scritto il preludio di una Pax Aeterna.
Nelle zecche di tutto l’Impero Romano venne coniata una moneta speciale d’oro puro del valore di 100 bisanti con da un lato il profilo dell’imperatore cinto da una corona classica di lauro con la scritta:
IMP.NAPOLEO.AVG.RESTITUTOR.ORBIS
Dall’altro, invece, un’aquila imperiale circondata da una corona di alloro e l’indicazione dell’anno in lettere latine. La datazione era duplice, in alto secondo il calendario cristiano – 1810 o MDCCCX – e in basso, con la dicitura AB VRBE CONDITA, secondo l’antichissimo sistema di datazione di Roma: 2563 o MMDLXIII.
Fu il momento più alto del suo prestigio politico e militare, che poté coronare in maniera definitiva nel 1814, quando la sua flotta sconfisse nelle acque di Boston la marina britannica guidata da Horatio Nelson. Questa fu coadiuvata da un’azione militare terrestre congiunta statunitense e romana che, nonostante l’abilità di Wellesley, il quale seppe preservare intatta la colonia del Canada, costrinse Londra a cedere tutte le terre un tempo appartenute alla Francia in Luisiana, che ora passavano a Washington con un sospirato accordo di pace tra le parti nel 1815.
La parentesi d’oltre Atlantico non sfociò in una nuova guerra europea grazie alle abilità diplomatiche del patricius Talleyrand-Périgord, che aveva ottenuto la nuova carica di praefectus augusti che sostituiva in parte l’antico magas logothetes della corte costantinopolitana. Questi passò i due anni tra il 1812 e il 1813 a preparare il retroterra politico giusto per isolare Londra, garantendo allo tzar Alexandr la non intromissione romana nella sua espansione in Asia centrale per i successivi dieci anni e la possibilità per la Prussia di annettere definitivamente parte dell’Hannover e tutto lo Schleswig-Holstein, oltre che mantenere la città di Danzica con la Prussia Occidentale, rivendicata dai fedeli alleati polacchi, che vennero ricompensati con la Bessarabia ucraina, cosa che permise alla Polonia-Lituania un accesso sia al Mar Baltico che al Mar Nero.
In tal modo il breve conflitto del 1814 fu fatto passare come il semplice sostegno alla libertà degli Stati Uniti – che, in verità, erano stati gli aggressori – e venne circoscritto ad operazioni condotte nel solo Nord America, senza allargarsi all’Europa o alle colonie. In tal modo, seppur in maniera forzata, Napoleone poté dichiarare che la Pax Aeterna reggeva sul continente, garantendo benessere e prosperità a tutti i popoli europei.
Alberto Massaiu
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