Ricordo ancora la prima volta che entrai in un mitreo. Fu a Roma, durante l’università. Avevo venti, ventun anni al massimo. Scesi per tutti i livelli della Basilica di San Clemente, non lontano dal Colosseo, sprofondando letteralmente tra i millenni della storia, fino ad arrivare agli edifici romani sopra i quali è stato innalzato il tempio cristiano, entrando infine nel piccolo ambiente dove un tempo soldati e guerrieri celebravano i misteri di questo antico dio orientale.
L’altare suscitò in me una grande emozione. La potenza del guerriero che schiacciava con il ginocchio la sua vittima, la tensione drammatica mentre affondava la spada nel collo del toro, lo sguardo rivolto al cielo, come se quell’atto di violenza non lo riguardasse. Tutto rimandava con grande impressione ad un rito arcaico, primevo, lontano eoni dal nostro modo logico e razionale di vedere le cose.
I suoi significati sono simbolici e nascosti, frutto di una conoscenza ermetica ormai perduta e che, solo in minima parte, è stata ricostruita dagli studiosi del XIX e XX secolo.
La tauroctonia, l’uccisone rituale di un toro bianco, è la classica rappresentazione presente nei mitrei (templi dedicati al culto mitraico greco-romano, posti sottoterra a simboleggiare una grotta) e anche la tipica forma di celebrazione sacrificale. L’immagine completa è quella di Mithra, un giovane forte vestito con mantello e cappello frigio, che con il ginocchio sinistro blocca il toro mentre lo colpisce a morte con la mano destra, che impugna una spada. Nell’iconografia sono presenti anche un cane e un serpente che sembrano bere il sangue che zampilla dalla ferita, mentre uno scorpione attacca i testicoli della povera bestia morente. In diverse rappresentazioni, oltre a queste figure, possono apparire anche un leone, una coppa, un corvo, il sole, la luna e perfino la personificazione dei gemelli celesti Cautes e Cautopates.
Secondo molti studiosi il significato di questa tragica scena va interpretato in chiave astronomica, probabilmente una ritualizzazione della precessione degli equinozi: l’animale sacrificato indicherebbe infatti l’Era del Toro (tra i 4.000 e i 6.000 anni fa) che muore, per lasciare il posto a quella successiva dell’Ariete, che apre un altro ciclo cosmico. In tale contesto si spiegano gli altri animali rappresentati: il serpente è l’Idra di Lerna, il cane la costellazione del Canis Major o Minor, a cui si aggiungono quella del Corvo, dello Scorpione, del Cratere e infine del Leone. I gemelli coinciderebbero invece con gli equinozi di primavera e autunno, oppure con l’aurora e il tramonto, comunque tutti legati a doppio filo con la figura solare di Mithra.
Detto questo, dobbiamo tenere a mente che quest’ultimo ha passato una lunghissima evoluzione millenaria e molte delle sue attribuzioni e ritualità sono state perfino assorbite e tramandate fino a noi dal cristianesimo, che prese a piene mani dalla versione rimaneggiata da greci e romani di una figura molto più antica. Questa che andrò a scrivere è, per sommi capi, la sua storia.
Mithra è un dio il cui culto è attestato in India, Persia e Medio Oriente già tre millenni e mezzo fa. Prima citazione scritta giunta fino a noi è un trattato stipulato nella regione anatolico-armena del lago di Van tra i potenti imperi ittita e del Mitanni. Questi ultimi posero a garanzia del loro accordo ben cinque divinità ariane venerate dalla loro casta guerriera, e tra loro spiccava proprio Mithra.
Divinità solare positiva di provenienza indiana, fin dalle origini è stata associata all’onesta, al rispetto dei patti e all’amicizia, a cui si aggiunsero caratteristiche guerriero-militari quando la sua venerazione si spostò nella regione iranica.
Negli antichi testi Veda il dio Mithra è spesso associato con Varuna, signore delle sfere celesti e del ritmo del cosmo, con cui garantisce il sorgere dell’alba e della luce.
La fortuna di questo culto fu però la sua entrata nel pantheon elaborato da Zarathuštra, profeta iranico che elaborò la religione monoteista zoroastriana, con al vertice il dio supremo Ahura Mazdā, che diventerà il culto dei Re dei Re di Persia. Mithra venne collocato da Zarathuštra in una posizione intermedia, come il più grande degli yaza ta, esseri creati da Ahura Mazdā per aiutarlo nella distruzione del male e l’amministrazione del mondo.
Mithra aveva il compito di proteggere i giusti dalle forze demoniache di Angra Mainyu, la controparte malvagia di Ahura Mazdā. I suoi attributi furono quindi la forza e la verità, a cui aggiungeva il dominio sull’aria e sulla luce. Era considerato onnisciente e infallibile, oltre che deputato a trasportare le persone buone verso la garō dəmāma o “Casa del Canto”, il paradiso zoroastriano.
Proprio per questa correlazione con il sole che la sua nascita veniva celebrata durante il solstizio d’inverno, tra il 21 e il 25 dicembre, quando il grande astro ricominciava a salire lungo l’orizzonte e le giornate ad allungarsi.
Divinità protettrice dei regnanti, venne adottato dai sovrani achemenidi prima e dai conquistatori greco—macedoni poi, che lo trasformarono in una divinità ellenistica. Questa tradizione onomastica è evidente tra gli aristocratici e i monarchi del Ponto, dell’Armenia e della Parthia, il cui nome spesso conteneva quello del dio, come Mithradates, il “Regalato da Mithra”.
Ma il vero mistero, o perlomeno la parte del culto di Mithra che mi interessa trattare in questo articolo, è la sua diffusione nel mondo greco-romano, che portò questo dio ariano fino alle nebbie della Britannia, le innevate montagne della Dacia e le gelide foreste della Germania.
Nel I secolo a.C., infatti, i legionari di Pompeo, Cesare e Augusto, entrarono in contatto con questo culto persiano. Mithra era perfetto per una società militarista come quella romana del tempo. Forte, potente, legato al sole e alla luce, guerriero leale e garante dei giuramenti di fedeltà, si diffuse rapidamente ad ogni livello dell’esercito e ben presto tutte le città più grandi, oltre che quelle di frontiera o dove erano acquartierate unità legionarie o ausiliarie, vantarono il loro mitreo.
Il massimo splendore del suo culto fu il III secolo d.C., durante il periodo più buio di Roma. Per cinquant’anni una lunga sequela di imperatori salirono e caddero dal trono, gli eserciti svolsero un ruolo sempre più determinante nella politica romana e Mithra venne utilizzato per rafforzare la figura monarchica – legandolo alla casa imperiale – e per aumentare la fedeltà delle milizie, grazie al suo attributo di patrono dei soldati.
Il suo apice coincise anche con il primo segno di declino. La religio romana, esattamente come tutte quelle pre-cristiane (con l’unica eccezione dell’ebraismo), era molto tollerante verso nuove “immissioni” e contaminazioni di dei, semidei o simili, perciò tra la fine del III e il primo IV secolo ci fu una sempre maggior unione sincretica delle figure di Apollo-Helios, Mithra e il Sol Invictus, tutti ricollegati al culto del sole e della luce.
Quello che ne uscì fuori era ben diverso dall’originale Mithra indo-iranico, diventando una divinità venerata ai massimi livelli. L’imperatore Aurelianus decise nel 274 di elevare il Sol Invictus al rango più alto nella gerarchia dei culti imperiali, creando un corpo di sacerdoti ad hoc chiamati pontefices Solis Invicti e numerosi templi a Roma e in altre città.
Questa commistione era però astratta, decisa dall’alto, e non aveva modo di diffondersi sentitamente nelle masse popolari delle grandi città, dove un altro credo si stava diffondendo. Mithra rimase ad Occidente il dio dell’imperatore e dei soldati e anche Constantinus, colui che gettò le basi della fortuna cristiana, era pontifex maximus Solis Invicti, e vi rimase orgogliosamente fino alla morte.
Fu probabilmente il collasso del sistema di frontiera imperiale, oltre che dell’esercito della Pars Occidentis, a segnare il forte declino di Mithra. Le invasioni di goti, alani, franchi, sassoni, alemanni, burgundi e unni travolsero le grandi città-fortezze e i castra militari della Dacia, del Danubio, del Reno e della Britannia, centri del credo misterico mitraico, mentre nelle città dell’Italia, della Gallia, dell’Africa e della Spagna cresceva in influenza il clero cristiano, che iniziò ad osteggiare prima e a distruggere poi gli antichi culti, con la complicità di nuovi imperatori oramai convertiti alla nuova fede.
Gli ultimi aneliti di speranza risiedettero nel breve regno di Iulianus (360-363) e nell’usurpazione di Flavius Eugenius (392-394), che tentarono di ristabilire un equilibrio tra i vecchi dei e il nuovo, unico, dio cristiano. La morte prematura del primo e la sconfitta e uccisione del secondo nella battaglia del fiume Frigido segnarono la storia.
Il vincitore, l’imperatore Theodosius, estese anche all’occidente i decreti “Nemo se hostiis polluat” del 391 e il “Gentilicia constiterit superstitione” del 392 (conosciuti come decreti teodosiani), che misero al bando tutte le religioni e i credi che non coincidevano con il cattolicesimo niceno. Fu questo il colpo finale, fatale, che condannò il mitraismo all’oblio.
Il paradosso fu che, per ironia della sorte, la nuova religione assorbì nel suo processo costitutivo molte parti del culto che andava a sopprimere: il Natale che cade il 25 dicembre, data di celebrazione di Mithra-Sol Invictus; la domenica come giorno sacro, che in passato era il Dies Solis (denominazione rimasta in inglese e tedesco: sunday e sonnentag, il giorno del sole) e che solo in seguito, soprattutto nei paesi latini, venne rinominato Dies Dominici ovvero “Giorno del Signore”; il tema della grotta come luogo di nascita e di culto; perfino la lotta del bene contro il male, della luce contro l’oscurità, avvicina il cristianesimo più al mitraismo che all’ebraismo, dove questo concetto non è così marcato. Ad ultimo il tema della salvezza era presente anche nel mitraismo, ma solo per i suoi iniziati, che dovevano passare una lunga e dura serie di prove per poter accedere al culto.
Forse fu proprio questo elitismo guerriero e aristocratico, che tenne Mithra lontano dalle masse, a decretarne il fatale declino. Un mistero, però, che se da un lato è stato un male per il futuro di questa antica religione, dall’altro ne mantiene ancora forte l’indubbio e magnetico fascino.
Alberto Massaiu
3 Comments
I gemelli rappresentano il segno dell’Ariete, ovvero il passaggio dall’Era del Toro a quella dell’Ariete – vedasi https://it.m.wikipedia.org/wiki/Cautes_e_Cautopates . Un parallelismo con gli Israeliti che adorano il vitello e per questo vengono rimproverati da Mosè (Thutmoses, generale fratello del faraone Akhenaton, che aveva fondato una religione monoteista basata sul culto solare) il quale introdusse l’Ariete come simbolo di Dio.
Da notare che la religione degli Ariani/Indoeuropei, il culto maschile del dio Sole, è un culto gnostico-trascendente che, secondo le teorie di Marija Gimbutas, avrebbe soppiantato – a seguito delle guerre di conquista portate avanti dalla casta guerriera degli Ariani/Indoeuropei – quella religione immanente (panteista), sciamanica, animistica e soprattutto femminile incentrata sul culto della Grande Dea Madre, identificata con la Terra e con la Luna, con la profondità delle acque, delle grotte, ma anche Signora del Cielo, e i cui simboli erano i bovini, le serpi, i draghi, le colombe e i corvi, le civette, le capre, i cani/lupi con cui la Dea andava a caccia… di conoscenza.
Anche qui ci sono parallelismi nell’ebraismo (il maschio Yaweh non nega l’esistenza di altri dei, ma ne proibisce il culto perché “geloso” e in particolare il culto della “Signora del Cielo” Asherah e di Ishtar), per non parlare del serpente (Dea) che dà ad una donna il frutto (identificato con la mela, simbolo femminile) della Conoscenza (nella Bibbia conoscenza è sinonimo di sesso e quindi fertilità: Adamo ed Eva scoprono di essere nudi), con parallelismi con il mito delle Esperidi.
La Dea è triplice (Vita che nasce, Vita che Nutre, Morte che consente di Rigenerarsi e dona la conoscenza): Persefone, Demetra ed Ecate o, se preferite, Saraswati, Lakshmi, Kali, la TriDevi immanente (perché coincide con la Shakti) che veniva venerata nella Valle dell’Indo in un culto Sciamanico e Panteista (forse dovremmo dire Pan-Tea-ista),
per poi essere sostituita da parte degli invasori Ariani con la Trinità Maschile di origine Vedica, Trascendente perché distaccata dalla vile e peccaminosa materia (da mater, madre), la Trimurti Brahma, Visnu e Shiva, uniti dal Brahman che, a differenza della Shakti, è trascendente. In seguito la Trimurti diventerà la Trinità Padre, Salvatore e Spirito Santo (da dire che Shiva, oltre ad aver caratterizzato lo Spirito Santo, ha anche firnito tutto gli elementi che nel medioevo caratterizzeranno il diavolo: le corna, il tridente, il serpente, il drago rosso a sette teste dell’Apocalisse).
In origine era la Dea che scendeva negli inferi e risorgeva, sia da sola ( Ishtar ) che come Teiplice (Persefone, Demetra, Ecate); con l’avvicinarsi del culto maschile indoeuropeo, la Dea immanente divebta Zoe, Vita che non Muore ma fa Nascere e poi Morire il Bios/Sole, il suo figlio-consorte che puntualmente scende negli inferi, per poi rinascere al Solstizio d’Inverno o Risorgere all’Equinozio di Primavera:
Come Tammuz/Adone, compagno di Ishtar/Afrodite, che era venerato…a Betlemme.
Da notare che Gesù:
– nella Bibbia ebraica, il proprio nome ha lo stesso valore numerologico del serpente della Genesi, e del termine ebraico per il membro maschile;
– si rivolge allo Spirito Santo con il sostantivo femminile Ruah, che è simboleggiata dalla Colomba, simbolo della Dea;
– nasce in una grotta, da una madre vergine (il culto mariano è l’adattamento cattolico di quello di Iside) la quale nell’Apocalisse è descitta sulla Luna.
– secondo leggende, si sposa con Maria Maddalena, ovcero di Magdali, città così chiamata perché presenta i tre templi delle dee
– risorge uscendo fuori da una grotta-sepolcro, venendo ritrovato da TRE DONNE
– l’eucarestia, praticata dalke sacerdotesse di Vesta (la Dea Vergine) prima che gli Ebrei la usassero per simboleggiare la fuga dall’Egitto.
Ovviamente nel Vangelo ci sono anche riferimenti maschili/indoeuropei (la Trascendenza, il culto del Padre, le associazioni con Visnu nel simbolismo del Pesce – era dei Pesci successiva a quella dell’Ariete – e nel cavalcare un cavallo bianco nell’Apocalisse).
Dopo l’era dei Pesci verrà quella dell’Acquario – Gesù dice agli apostoli di srguire il garzone che trasporta l’acqua.
Ovviamente tutte queste informazioni non devono far sminuire la religione Cristiana, ognuno è libero di seguire una Fede, e per chi crede in Dio si può benissimo accettare questa “evoluzione delle religioni” come una sorta di “rivelazione progressiva” della Divinità a secconda del grado di consapevolezza dell’essere umano (a patto che si accetti che la progressività “non si ferma”, e che quindi anche la propria religione potrà evolversi in un’altra).
Per gli atei, tutto ciò è semplice Antropologia Culturale.
Buon Natale a tutti.
Bellissimo articolo. Mi piace aggiungere quando citi Costantino Il Grande, la grande devozione dell’Imperatore al Dio Sole Compagno Sole lo chiamava) ereditata da suo padre Costanzo Cloro. I cristiani hanno sempre cercato in ogni modo di far credere che il culto era rivolto al loro Dio,, vedesi l’ambiguità della giornata della domenica che Costantino dedicò al Dio Sole, fatta passare come ‘Giorno del Signore’. Quello che lascia ancora perplessi è come ancora molti studiosi affermano che l’iscrizione sull’Arco di Costantino della frase per ‘INSTINCTU DIVINITATIS’
è rivolto al Dio dei cristiani, e per questo instinto
divino Costantino sconfisse Massenzio., visto anche che nell’Arco nessun simbolo ricorda sia la scritta famosa , la Croce o altro sia sugli scudi , o in i bassolirievi che rappresentano l’esercito di Costantino. Rimaneva solo questo instinto della divinità., per giustificare l’aiuto divino del Dio dei cristiani . Molti studiosi nell’anniversario dei1700 anni di quella battaglia e del famoso Editto (che Editto non è) 2012-13 . smontano quella tesi affermando che INSTINCTUS, è una affermazione assolutamente pagana e che mai i cristiani dell’epoca avrebbero dedicato quella frase .Per loro l’istinto è riservato alle bestie e mai avrebbero indicato Istinto al Loro Dio perchè quell’INSTINCTUS ritenuto blasferno. Sempre gli studiosi ritengono che quella frase era rivolta come ringraziamento per la vittoria di Ponte Milvio al Dio Sole, che il Senato di Roma edificò l’Arco e perciò anche la scritta. e dedicò a Costantino tu cosa ne pensi. Saluti Tittinu (Costantino)
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