L’Impero Romano non cadde nel fatidico e stra-abusato 476 d.C.
Per quanto sia vero che la capitale occidentale di Ravenna passò nelle mani del signore della guerra germanico Otacher (latinizzato in Flavius Odovacer), le sue insegne vennero infatti inviate a Costantinopoli con il pretesto che bastava un solo signore per tutto l’ecumene romano. Da allora, nonostante l’elevazione ad augusto del franco Karolus Magnus nella notte di Natale dell’anno 800, i basilei d’oriente si tennero ben stretta la millenaria eredità imperiale che si riallacciava alle gesta di Octavianus Augustus.
Furono loro, come ho già scritto in questo articolo (LINK), a bloccare la montante marea islamica che, ad est, aveva annientato gli storici nemici persiani (LINK) e instaurato un dominio che si estendeva dai Pirenei fino all’Himalaya. Dopo la terribile lotta per stabilire se si dovessero ancora venerare o meno le sacre immagini (LINK), però, i romani d’oriente iniziarono una lenta riscossa che culminò con la gloriosa dinastia macedone.
Tra l’867 (anno in cui ascese al trono Basileios I) e il 1025 (anno della morte del grande Basileios II, detto il Bulgaroktonos) la Basileia ton Rhomaion – in italiano, l’Impero dei Romani – raggiunse un culmine di potenza e prestigio che non si era più visto dai tempi d’oro di Ioustinianos. Tanto era stata l’aura di forza raggiunta sotto questa fortunata serie di sovrani che la dinastia macedone poté durare altri 32 anni con i matrimoni che contrassero le due sorelle del defunto basileus Basileios, Zoe e Theodora.
Queste due signore non mostrarono la fibra morale e l’inflessibilità del fratello, diventando sempre più ostaggio delle pretese della grande aristocrazia, che mandò pian piano in sfacelo la macchina dello Stato, che divenne il classico gigante con i piedi di argilla, pronto a cadere alla prima pressione esterna.
Il colpo giunse da est, con i turchi selgiuchidi. Nel 1071, infatti, il basileus Romanos IV Diogenes divenne vittima del tradimento di Andronikos Doukas che gli costò la sconfitta e la cattura a Manzikert, in Armenia. Il peggio, però, fu la gestione delle conseguenze della battaglia. La guerra civile e le lotte di fazione lasciarono sguarniti i confini dell’Anatolia, centro di reclutamento e – soprattutto – di entrate fiscali per il governo, che venne devastato dai predoni turchi.
La distruzione del sistema militare dei themata in Asia Minore fu un colpo fatale per Costantinopoli, che ridusse l’Impero Romano alla sola parte europea in appena dieci anni. Solo la disorganizzazione dei clan tribali selgiuchidi prevenne uno sbarco al di là del Mar di Marmara fino all’ascesa al trono del trentatreenne Alexios Komnenos.
Egli era un brillante generale, nipote del basileus Isakios Komnenos, distintosi in guerra sia contro i turchi sia contro vari ribelli e usurpatori, e che alla fine aveva trovato un accordo con le potenti casate dei Doukai, dei Palaiologoi e dei Melissenoi per ottenere il loro sostegno nel traghettare fuori dalla crisi lo Stato romano.
Giusto in tempo, perché proprio in quegli anni i normanni invasero l’Epiro con l’obiettivo di prendere Costantinopoli. Alla loro testa c’era uno dei politici e condottieri più abili del tempo, Roberto d’Houteville – detto il Guiscardo, conte di Puglia e Calabria.
Contro i suoi cavalieri pesanti Alexios schierò un’armata composita che era solo il pallido ricordo delle schiere tematiche di appena cinquant’anni prima. La Guardia Variaga fu l’unica a mantenere le sue posizioni fino alla fine, venendo in gran parte massacrata. Ironia della sorte, i vareghi al servizio dei romani erano cugini – con comune ascendenza scandinava – con gli invasori normanni.
Ad ogni modo, a poco tempo dalla salita al trono il basileus subiva la prima sconfitta della sua carriera, che metteva a rischio l’integrità di quel poco che rimaneva dei domini di Costantinopoli. Prese Corfù, Valona e Durazzo, Roberto poté occupare buona parte della Grecia settentrionale, e solo le abilità diplomatiche di Alexios – che fece scoppiare rivolte in Italia – salvò lo Stato dalla rovina.
I normanni rimasero una minaccia fino al 1085, quando il conte morì a Cefalonia mentre predisponeva una nuova campagna. La divisione tra i suoi eredi azzerò la loro potenza nei Balcani, e Alexios poté recuperare tutti i territori perduti, ricacciando gli invasori in Puglia.
Il peggio, però, doveva ancora arrivare. Dal Danubio, infatti, era giunta l’ennesima orda nomade: i peceneghi. I loro numeri effettivi sono sconosciuti, ma erano di certo molto superiori agli ultimi 20.000 soldati che poteva schierare Alexios. A questo punto si dovette affidare, di nuovo, al servizio diplomatico imperiale. Contattata un’altra tribù nemica dei peceneghi, i cumani, strinse con loro un’alleanza con cui poté affrontare gli invasori presso il monte Levounion nel 1091.
Questo scontro fu il vero turning point del suo regno, il momento in cui le fortune imperiali tornarono a fiorire. In quella giornata i peceneghi vennero quasi del tutto annientati, i sopravvissuti dovettero entrare a forza sotto il servizio di Costantinopoli e le frontiere europee vennero finalmente stabilizzate. Dopo il terribile ventennio tra il 1071 e il 1091, l’Impero Romano poteva tornare a sperare.
«Fu straordinario a vedersi un intero popolo, che si contava non a decine o migliaia, ma in moltitudini innumerevoli, con le donne e i bambini, venire cancellato in un solo giorno»
– Anna Komnena –
Giusto in tempo, perché quei pochi anni di pace lo prepararono a gestire al meglio una nuova orda: quella dei crociati latini. Alexios, infatti, nei primi momenti bui del suo regno aveva richiesto aiuto all’occidente cristiano. Il pontefice Urbano II, però, era andato ancora oltre, creando quel movimento culturale, quel primitivo drang nach osten che condusse migliaia di “franchi” in Siria, Libano e Palestina per i due secoli successivi.
Il basileus dovette utilizzare fino all’ultimo briciolo di abilità diplomatica per condurre senza danni i pellegrini con la croce al di là del Mar di Marmara. I primi, la cosiddetta “Crociata degli Straccioni” di Pietro L’Eremita, vennero sbaragliati dai turchi nei dintorni di Nicea. I secondi, invece, che verranno eternati dalla “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso, trattarono faticosamente con Alexios un giuramento feudale di fedeltà che gli permise di riguadagnare negli anni successivi buona parte delle coste occidentali dell’Asia Minore, indebolendo il pericoloso sultanato turco di Rum.
Ad ogni modo la Crociata “dei nobili”, guidata dal conte di Tolosa Raymond de Saint-Gilles, da Godefroy de Bouillon, da Baudouin de Boulogne e dai normanni Boemondo e Tancredi d’Houteville conseguì un insperato successo, prendendo Antiochia, Edessa e Gerusalemme, fondando una serie di Stati Crociati nell’Outremer che divennero un ennesimo attore nel complesso gioco a scacchi nel Medio Oriente che venne diviso tra romani, turchi, franchi e arabi (a loro volta divisi in fazioni curde, siriane ed egiziane).
La mancata consegna di città storicamente romane come Antiochia – occupata dai normanni – mise però in luce le ambizioni mai sopite di questi ultimi verso Costantinopoli, cosa che portò ad un ennesimo conflitto tra Boemondo e Alexios nel 1107. Questi, tornato in Puglia dopo la Crociata, tentò di nuovo l’impresa del padre, invadendo l’Albania puntando su Durazzo. Stavolta, però, a quasi trent’anni di distanza dalla grande batosta del 1081, le forze militari romane erano ritornate possenti.
La flotta imperiale annientò quella normanna e l’esercito sconfisse la tanto temuta cavalleria pesante nemica in ben due scontri, portando Boemondo ad implorare per un’ignominiosa pace che lo trasformò in un vassallo dell’impero nel suo dominio di Antiochia – seppur con l’altisonante titolo di sebastokrator – ridotto del porto di Laodicea e delle fortezze cilicie di Tarso, Adana e Mamistra, che vennero assegnate ufficialmente ai romani.
Gli anni fino alla morte di Alexios furono contraddistinti dalla cura dell’erede al trono, Ioannes, che venne fatto sposare alla figlia del sovrano d’Ungheria per evitare conflitti nei Balcani, dalla persecuzione delle eresie pauliciane e bogomile e dalle ultime vittorie contro i turchi selgiuchidi nel 1116, che lo portarono a recuperare tutta l’Anatolia settentrionale e occidentale fino a Philomelio, poco lontano dalla capitale nemica di Iconio.
Nel 1118 il grande basileus spirò, lasciando nelle mani del capacissimo figlio Ioannes II Komenos uno Stato prospero e sicuro, pronto ad un ulteriore fase di riscossa. Questi dovette in primo luogo sgominare i tentativi di deposizione portati avanti dalla sorella maggiore, Anna, che voleva ascendere al trono come basilissa attraverso il marito Nikephoros Briennios. Questi, però, non la seguì nelle macchinazioni e, anzi, molto probabilmente fece filtrare informazioni a Ioannes che poté eliminare i sicari e bandire la sorella, che si fece monaca.
Risolte le questioni di corte, il nuovo imperatore si lanciò in una serie di continue campagne militari. Nel 1119 occupò Attalia e Laodicea strappandole ai turchi, mentre tra il 1122 e il 1128 sconfisse definitivamente i peceneghi sopravvissuti al padre (facendoli sparire per sempre dalla storia), i serbi della Rascia e perfino gli ungheresi. Unico neo in quegli anni furono le sconfitte navali contro i veneziani, che lo costrinsero a garantire loro ampi privilegi commerciali in cambio della pace. Per bilanciare il loro strapotere aprì i porti romani anche ai loro rivali pisani e genovesi, cosa che sul lungo periodo minò l’economia interna.
Risolte le questioni ad ovest, tra il 1130 e il 1135 poté concentrarsi di nuovo in Asia Minore contro il suo più potente signore, l’amir Ghāzī ibn Danishmend. Contro di lui vennero organizzate ben sei campagne militari che, nonostante siano state tutte vittoriose, non lo portarono alla riconquista completa degli altopiani interni dell’Anatolia.
Questo perché la sua attenzione venne distolta dai litigiosi regni latini della Terrasanta e, forse, dal miraggio di una riconquista romana di Gerusalemme. Per tale motivo, invece che dare il colpo di grazia ai turchi selgiuchidi di Rum, condusse le proprie armate nella cosiddetta Armenia Cilicia, presso i monti del Tauro, nel 1137. Nello stesso anno prese Antiochia, strappandola a Raimond di Poitiers che gli dovette giurare fedeltà come vassallo.
La campagna in Siria nell’anno successivo portò alla presa di diverse città e fortezze intorno ad Aleppo, ma il tradimento dei crociati e la ribellione di Antiochia lo costrinse a riparare a Costantinopoli nel 1139. Nel 1142 dovette tornare in armi nella regione per ristabilire il predominio romano ma la campagna fu funestata dalla morte per un misterioso morbo del suo primogenito Alexios e del secondogenito Andronikos. Distrutto dal dolore, mentre l’anno dopo si preparava ad assediare Antiochia morì per le conseguenze di un banale incidente di caccia. Prima di spirare, però, assegnò la corona al suo ultimogenito, Manouel – superando il terzogenito Isakios, rischiando perciò di scatenare una guerra civile.
La cosa fu evitata dall’abile e incruenta manovra del suo megas domestikos Axuch, che giunto a Costantinopoli prima della notizia della morte di Ioannes poté imprigionare sia Isakios che lo zio di Manouel, fino a che questi non ottenne l’ufficiale incoronazione ad Aghia Sophia. In seguito vennero liberati e reintegrati nel loro rango, visto che tutta la manovra era stata dettata dalla sola Ragion di Stato, senza alcun odio o rivalità da una parte o dall’altra. Testimonianza del fatto fu il seguente fedele servizio che entrambi portarono avanti per l’imperatore negli anni successivi.
Il primo atto politico di Manouel fu il ritorno in Siria, in cui ricevette per l’ennesima volta un giuramento di vassallaggio da parte dell’infido Raimond d’Antiochia, terrorizzato dalla caduta di Edessa nelle mani dell’astro nascente ‘Imād al-Dīn Zangī, atabey di Mosul.
Nel 1147, però, dovette affrontare due gravissimi pericoli. Il primo fu l’arrivo di una nuova ondata di crociati tedeschi e francesi, che crearono diversi grattacapi nei Balcani romani. Il secondo fu l’ennesimo tentativo dei normanni di Sicilia di minare le province occidentali dell’impero. Questi presero Corfù e saccheggiarono Atene, Corinto e Tebe, da cui vennero rapite molte delle migliori tessitrici di seta romane, che vennero trasportate a Palermo per gettare le fondamenta di un’industria serica nell’isola.
Dalla cosiddetta Seconda Crociata, che si concluse in un misero fallimento, il basileus guadagnò però l’amicizia dell’imperatore di Germania, Konrad III di Hohenstaufen. Con quest’ultimo organizzò una congiunta campagna contro Ruggero II di Sicilia. Nel 1149 venne recuperata Corfù e nei due anni successivi vennero sconfitte le rivolte bavaresi e serbe orchestrate dal sovrano normanno per indebolire le iniziative dei coalizzati. Purtroppo, tanto tempo bastò perché Konrad morisse, nel 1152. Il suo erede, Friedrich Hohenstaufen – conosciuto da noi italiani come Barbarossa, non aveva la minima intenzione di collaborare con Manouel, in quanto si considerava l’unico imperatore romano che aveva diritto a dominare sull’Italia.
Nel 1155, allora, Manouel decise di agire da solo, sfruttando l’ostilità dei baroni pugliesi verso la casata reale degli Houteville. Gli abili generali Mikhael Palaiologos e Ioannes Doukas vennero inviati con soldati e denaro in abbondanza per fomentare una rivolta. Persino il papa Adriano IV sostenne le manovre romane, arruolando dei mercenari campani.
Nonostante buona parte della Puglia e della Campania fossero in breve cadute nelle mani degli alleati, la riscossa siciliana non si fece attendere. L’anno dopo un potente esercito sotto la guida diretta di Guglielmo I di Sicilia attraversò lo stretto e giunse fino a Brindisi, in cui annientò le forze imperiali in cui erano fioccate le defezioni. Bari, che si era arresa senza quasi combattere a Manouel, fu rasa completamente al suolo con la sola eccezione della basilica di San Nicola.
Questa devastante sconfitta segnò il destino dell’ultimo tentativo di Costantinopoli di riconquista dell’Italia meridionale. Da allora l’Impero Romano non ebbe più la forza di intraprendere una campagna così ambiziosa, e si accontentò di firmare una pace stabile con il Regno di Sicilia nel 1158.
Stabilizzato l’occidente, Manouel rivolse la sua attenzione all’estremo est, in quella ferita sempre aperta che era la Siria. Organizzato un grande esercito e la flotta, il basileus si riprese la Cilicia dal ribelle Thoros II di Armenia e puntò dritto alla metropoli di Antiochia, caduta nelle mani dell’avventuriero Renaud de Châtillon. Questi era stato l’alleato di Thoros, con cui aveva saccheggiato Cipro. La furia dell’imperatore fu placata solo dalla resa incondizionata della strategica città, che divenne parte di un thema romano, e dall’amicizia che nacque con il sovrano di Gerusalemme, Baldwin III.
Nel 1161, però, Manouel si giocò buona parte della simpatia dei crociati quando strinse una vantaggiosa pace con il temutissimo Nūr al-Dīn, signore musulmano di buona parte della Siria. L’accordo era straordinariamente utile all’Impero Romano dal un punto di vista strategico, perché obbligava gli infidi franchi dell’Outremer a rimanergli fedeli in chiave protettiva, mentre al contempo obbligava il sulṭān di Rum Qilij Arslān a firmare una pace svantaggiosa con Costantinopoli in cui doveva cedere tutte le città di popolazione greca che aveva occupato in Anatolia e fornire un contingente di soldati alleati ogni volta che Manouel ne avrebbe fatto richiesta.
Qilij Arslān fu ospitato come amico nella capitale per 80 giorni, in cui venne fatto di tutto per impressionare l’ospite con lo sfarzo, il lusso e il potere dell’Impero Romano. I rapporti tra i due sovrani migliorarono e le frontiere vennero stabilizzate per gli anni successivi, cosa che permise al basileus di concentrare la sua attenzione di nuovo ad ovest.
Tra il 1162 e il 1167 le armate romane avanzarono in un’Ungheria sconvolta da una crisi dinastica, conquistando la Bosnia, la Croazia e la Dalmazia. Queste ultime, per quanto effimere nel tempo, furono tra le più importanti annessioni nell’area dai tempi di Ioustinianos, quando la regione era conosciuta come Illyrico.
Risolta la questione magiara, Manoul si rivolse contro l’arroganza dei veneziani, che ormai stavano spadroneggiando nella stessa Costantinopoli. Nel 1171 questi fece imprigionare 10.000 di loro residenti in città, sequestrandone i beni e azzerando i loro privilegi. Il conflitto perdurò fino al 1175, anno in cui si concluse con un ritorno allo status quo precedente, ma i semi dell’odio gettati in quegli anni germogliarono nel terribile sacco che la capitale dovette subire per mano franco-veneziana nel 1204 (LINK all’articolo qui, se ti interessa).
Nel 1176, però, il basileus dovette subire il secondo più grande smacco della sua carriera – dopo quello in Italia – quando, troppo pieno di sé, aveva riaperto le ostilità contro Qilij Arslān in Anatolia. Nei passi presso Miriokephalon, infatti, si fece ingenuamente imbottigliare dalle truppe turche, dovendo accettare un’umiliante pace.
Gli ultimi anni di questo imperatore visionario videro un ultimo successo diplomatico grazie al matrimonio tra il figlio ed erede al trono Alexios II (dieci anni) e Agnès (nove anni), figlia del re di Francia Louis VII. Era il 1180. Pochi mesi dopo Manouel si ammalò e morì dopo aver di poco superato i sessant’anni.
Il suo imperio era durato quasi quattro decadi, e vide il punto di massimo splendore del rinato Impero Romano dei Komnenoi, la vera superpotenza del Mediterraneo dell’epoca, con la sua capitale sfarzosa da mille e una notte, la sua cultura, la sua ricchezza e le ambizioni che, forse, andavano ormai al di là delle sue effettive potenzialità.
Manouel era stato il più audace, curioso e creativo tra tutti i membri della propria casata. Lasciò però uno Stato con le casse quasi svuotate dalla sua munificenza e, peggio ancora, un giovanissimo sovrano-bambino che non aveva chance di sopravvivere al tritacarne della politica imperiale. Il povero Alexios II gli sopravvisse infatti appena tre anni, venendo spodestato dallo zio Andronikos che, poco dopo la propria incoronazione, lo fece strangolare con una corda d’arco.
Il suo breve e sanguinoso regno si concluse appena due anni dopo, nel 1185, quando questi venne linciato dalla folla aizzata dal futuro imperatore Isakios II Angelos. Con lui venne tagliata fuori dal trono la dinastia che, dopo quella macedone, aveva fatto di più nell’ottica di restaurare gli antichi fasti dei Cesari e degli Augusti del passato.
Da allora le lotte di fazione, il terribile sacco del 1204, la perdita della capitale (che rimase in mano latina fino al 1261) e la frammentazione dello Stato in potentati più piccoli determinò la lunga agonia di quello che rimaneva dell’eredità di Roma, che verrà infine annichilita per sempre dalle armate dell’erede di Osmân Ġâzî nel 1453.
Alberto Massaiu
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