La battaglia di Hastings è uno di quei pochi scontri che hanno cambiato veramente la storia. I circa 15.000 uomini che si affrontarono sopra una collinetta non lontana dallo Stretto della Manica non avrebbero mai immaginato che il destino di interi continenti sarebbe mutato in seguito allo scontro.
Non scrivo questo con leggerezza. Se ci pensate la conquista normanna della terra degli angli, con la creazione di uno Stato in cui il delicato equilibrio tra il dominio politico-militare di una minoranza – gli aristocratici normanni francesizzati – sulla maggioranza anglosassone, generò quel fortunato connubio che portò, nei secoli successivi, alla nascita del sistema parlamentare, all’autonomia della magistratura rispetto al potere esecutivo (tradotto: il re o i governi) e infine a quello Stato di diritto che è al centro del modello di pensiero occidentale.
L’avventura di William, duca di Normandia, prima detto “il bastardo” (era un figlio illegittimo) ma in seguito “il conquistatore”, fu l’ultima riuscita invasione anfibia dell’antica Britannia, che da quel momento divenne imprendibile per ogni altro papabile conquistatore, come verificarono di persona sia Napoleone che Adolf Hitler.
Inoltre, lo status giuridico di William, che divenne re d’Inghilterra ma, per i suoi possedimenti sul continente, rimaneva anche vassallo del re di Francia, creò quegli attriti che sfociarono nei conflitti combattuti da Richard Lionheart (Cuor di Leone) – reso famoso dalle sue storiche gesta durante la III Crociata e, forse ancora da più, dalla leggenda di Robin Hood – e dal suo debole fratello John “Il Senza Terra” contro Philippe Auguste di Francia a cavallo tra il XII e il XIII secolo, per poi deflagrare nella tremenda “Guerra dei Cent’Anni”, che insanguinò il continente occidentale a fasi alterne fino alla metà del ‘400.
Tornando indietro al tempo di William, la terra che si accingeva ad invadere era un paese omogeneo etnicamente (tranne le regioni periferiche di Galles, Cornovaglia e Scozia, che rimanevano in mani celtiche), ma diviso in fazioni e con una leadership debole.
Tra il V e il VI secolo l’antica Britannia romana era stata invasa, occupata e colonizzata dagli angli e dai sassoni, genti provenienti dall’alta Germania e dalla Danimarca. La resistenza celtica era stata spazzata via, ricacciata nei monti e nelle foreste dell’ovest. Da quelle guerre oscure, in cui è ambientata la saga di re Artù (leggi qui il mio articolo), nacquero grossomodo tre regni: il Wessex, la Mercia e la Northumbria. I loro sovrani, quando non guerreggiavano contro i gallesi, gli iberni, i pitti e gli scoti, lo facevano tra di loro, ma nessuno riuscì a prevalere fino all’VIII secolo, quando un nuovo antagonista si fece sotto da est: i vichinghi!
Ironia della sorte, appena due secoli dopo la conquista, i sassoni si videro attaccati dai loro cugini, che arrivavano proprio dal mare da cui a loro volta erano giunti per cacciare i britanni. La storia, alcune volte, dimostra tutta la sua amara ironia. I sovrani anglo-sassoni dell’epoca si erano infatti inciviliti (ovvero sedentarizzati e cristianizzati) e furono sconvolti dalla violenza dei normanni e dal loro “paganesimo”, dimentichi che solo duecento anni prima anche loro veneravano Óðinn e Þórr, Freyr e Freyja e via dicendo (leggi il mio articolo sui vichinghi qui).
Il sacco del monastero nortumbro di Lindisfarne fu solo il primo di una serie di raid che diventarono via via più audaci, fino a che i vichinghi tentarono il colpo gobbo, sconfiggendo in battaglia le truppe della Northumbria e della Mercia, dilagando nell’est della grande isola, che da allora prese il nome di Dena Lagu o Danelaw.
Prossimi alla fine, i sassoni si strinsero intorno all’ultimo regno rimasto sufficientemente integro e solido, il Wessex di Ælfred – in seguito detto “il Grande”, che sconfisse in alcune durissime battaglie di linea e in molte schermaglie tra l’870 e l’890 circa. Dalla sua opera di riorganizzazione politico-militare, dalla cristianizzazione di alcuni leader danesi e dalla spregiudicata politica sua e dei suoi discendenti, il Wessex si espanse, diventando la base di un vero e proprio regno anglo-sassone, che riprendeva grossomodo i confini dell’attuale Inghilterra (non della Gran Bretagna).
Questo stato di cose era però fragilissimo e molto dipendeva dalla spina dorsale dimostrata dai suoi regnanti, che dovevano lottare per evitare le spinte centrifughe degli orgogliosi nobili del nord (con idee autonomiste) e l’irrequietezza delle genti danesi del Danelaw.
Il penultimo sovrano, Edward, non aveva la stoffa per regnare. Per la spiccata religiosità fu soprannominato “il Confessore” ed è diventato Santo della Chiesa Cattolica, patrono dei re, dei matrimoni difficili e degli sposi separati (forse perché non fu in grado di mettere al mondo un erede). Il suo essere pacifista aveva portato allo smantellamento della flotta militare reale (per risparmiare sulle tasse) e alla riduzione dell’esercito, sostituiti con una delicata politica di alleanze che metteva il regno sotto la protezione dell’aggressivo e potente ducato di Normandia, di cui divenne virtualmente vassallo. La fortuna fu dalla sua, perché una guerra in Norvegia e Danimarca allontanò il rischio di un revanscismo vichingo e in più seppe mettere i nobili più litigiosi e ambiziosi tra di loro, evitando il loro insorgere contro la corona.
Questo gioco delle tre carte che non si avvaleva di un forte potere militare regio giunse alla fine nel 1066, quando i vent’anni di pace del suo regno finirono con una tempesta perfetta che si scatenò sull’isola, spazzando via l’indipendenza anglo-sassone dalla storia.
Come avevo già detto, Edward era rimasto senza figli e, come è facile intuire, un trono senza eredi fa gola a molti. Nonostante il sovrano avesse già pubblicamente designato come successore il suo protettore William, duca di Normandia, lo stesso giorno del funerale di Edward il Confessore il più ambizioso e potente nobile del paese, l’earl (più o meno corrispondente al titolo di conte) di Wessex, Harold Godwinson, si fece proclamare re d’Inghilterra dall’assemblea del Witan.
Dalla parte opposta del Mare del Nord sorse un ennesimo, pericolosissimo pretendente: il re di Norvegia, ma anche grande avventuriero, pirata e comandante che aveva militato nella celeberrima Guardia Variega del imperatore di Costantinopoli, combattendo in Grecia, Asia Minore e Italia meridionale, Harald Hardråde.
Harald era un uomo possente, alto persino per gli standard scandinavi, ambiziosissimo, avido di ricchezze e gloria militare e capace di ispirare i suoi uomini. La quintessenza del capitano vichingo, l’ultima espressione di una razza che si stava estinguendo, venendo addomesticata dall’espansione del cristianesimo e dai contatti con i tedeschi del Sacro Romano Impero Germanico.
Insomma, per la fine dell’estate del 1066 ben tre eserciti si stavano per fronteggiare sull’isola: la potente e moderna armata di William di Normandia, dotata di cavalleria e fanteria pesante feudale, arcieri e marinai addestrati; la numerosa e motivata armata anglo-sassone, il cui nerbo gravitava però intorno ai soli 2.000 o 3.000 housecarl – uomini della casa, in pratica le guardie reali e nobiliari – a cui si aggiungevano migliaia di coscritti, detti fyrd, molto meno equipaggiati e addestrati; la grande flotta d’invasione norvegese di Harald, con circa 10.000 guerrieri e 300 drakkar, le temute navi da guerra norrene.
William, un comandante navigato di grande esperienza, aspettò che i contendenti si azzuffassero tra di loro, in modo da affrontare il superstite con le forze fresche e al completo. L’impetuoso sovrano norvegese fece infatti la prima mossa, sbarcando in Northumbria e sconfiggendo nella battaglia di Fulford gli earl Morcar ed Edwin che difendevano York.
Questa débâcle settentrionale costrinse Harold Godwinson a marciare a nord con la sua armata. Il serrato ritmo dell’avanzata permise al sovrano anglo-sassone di sorprendere l’avversario scandinavo presso Stamford Bridge. I vichinghi erano impreparati alla battaglia e molti di loro dovettero improvvisare una linea di combattimento senza corazze e scudi, aspetto tattico che li penalizzò grandemente. In più solo una parte delle loro forze era presente sul campo di battaglia e il fior fiore della loro fanteria fu massacrato prima dell’arrivo dei rinforzi, che riuscirono solo a prolungare lo scontro, ma non a vincerlo.
Harold Hardråde cadde sul campo con 7.000 dei suoi guerrieri, segnando il sanguinoso epilogo dell’epopea vichinga, che vedeva in lui il suo ultimo, orgoglioso, esponente. Al contempo potò alla perdita di almeno 2.000 uomini nelle file degli anglo-sassoni, di cui molti validi housecarl, che avevano infranto a duro prezzo il muro di scudi nemico.
Harold Godwinson non ebbe il tempo di festeggiare, perché venne raggiunto dalla notizia dello sbarco dei normanni a meridione, verso cui dovette recarsi nuovamente a marce forzate, usurando i suoi uomini che non ebbero tempo di riprendersi dallo scontro. In più, contando che il suo era un esercito di coscritti, questa guerra di manovra non gli permise di convocare tutti i fyrd del paese, lasciandolo con circa 8.000 uomini nello scontro finale contro William.
La battaglia, resa celebre da libri di ogni genere, film, documentari e videogiochi, è storia.
Sulla collinetta di Hastings, che separava i normanni dalla strada per Londra, l’ultimo sovrano anglo-sassone dell’Inghilterra schierò in un semicerchio, protetto ai fianchi dalla foresta, i suoi guerrieri. Erano tutti fanti, con ai lati i coscritti e al centro i temibili housecarl, armati di asce lunghe e protetti da elmi, cotte di maglia e scudi.
Alla base della collina, diviso in tre disciplinate battaglie, stava l’armata specializzata di William, dotata di 2.000 cavalieri pesanti (l’arma principe dei normanni, con cui conquistarono anche il meridione italiano e diedero filo da torcere ai romani d’oriente nei Balcani e ai musulmani in Terra Santa), 1.500 arcieri e balestrieri e 4.000 fanti corazzati con lancia, scudo e spada.
Lo scontro, che durò tutta la giornata, fu il tentativo (in alcuni momenti quasi disperato) dei normanni di spezzare l’istrice di ferro, carne e cuoio bollito che componeva la linea sassone. Lancio fitto degli arcieri, cariche di cavalleria, scontri di fanteria si avvicendarono per ore e ore, esaurendo i contendenti.
Ad un certo punto sembrò che lo stesso William, che guidava coraggiosamente i sui uomini in prima linea, fosse caduto e la voce rischiò di far sbandare l’intera forza attaccante. Cavalieri e fanti iniziarono a scappare, inseguiti dai meno esperti fyrd, che ruppero in più parti i ranghi. La leggenda narra che il duca si mise a capo scoperto, gridando a gran voce che era vivo, poi radunò uno squadrone dei suoi e massacrò gli incauti coscritti, cambiando il corso della marea.
Gli anglo-sassoni, esausti e dissanguati dal duro pedaggio, si strinsero intorno al sovrano, che proprio in quel momento venne colpito all’occhio da una freccia fortunata, che gli penetrò fino al cervello, uccidendolo quasi sul colpo.
Fu la fine.
Con un ultimo, immane sforzo, William guidò i suoi uomini in un’ultima carica sulla collina, che spazzò via i superstiti housecarl, che caddero tutti intorno al re morente, mentre i fyrd si dispersero ai quattro venti.
Era il successo totale della strategia del duca di Normandia, che nella notte di Natale dell’Anno Domini 1066 si fece incoronare a Londra come sovrano d’Inghilterra. La storia del mondo, grazie alla sua impresa, prenderà un corso completamente differente.
Alberto Massaiu
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