Tra il 1881 e il 1898 la Gran Bretagna visse il suo canto del cigno imperiale con le guerre anglo-sudanesi, raggiungendo il culmine della sua fase di espansione – che conteneva al suo interno i germi della futura crisi – vittoriana, con i confini imperiali che raggiunsero la loro massima estensione attraverso duri e semi-sconosciuti conflitti sostenuti in ogni angolo del globo.
Ho già parlato delle guerre con i boeri, combattuti per il controllo delle miniere d’oro del Transvaal, in Sud Africa, ma altrettanto importante – per quanto ancora meno conosciuta, se si esclude il libro, ma ancor di più gli adattamenti cinematografici de “Le quattro piume” – fu la lunga situazione di guerra endemica sostenuta contro Muḥammad Aḥmad ibn al-Sayyid ʿAbd Allāh ibn Faḥl, detto il Mahdī, e i suoi successori.
Tutto era iniziato con il Canale di Suez, che aveva ridotto di migliaia di chilometri la strada per giungere in India ed Estremo Oriente, aprendo una via privilegiata che cambiava radicalmente la geopolitica e i traffici mondiali. Il problema per i francesi e i britannici, finanziatori del progetto, era la debolezza e la corruzione dell’Egitto, governato da İsmail Paşa, erede di Mehmet Ali Paşa, il khedivè ottomano del paese e che lo aveva reso nella pratica autonomo dalla Sublime Porta, di cui era nominalmente vassallo.
I rapporti anglo-egiziani si erano intensificati, oltre che da un punto di vista economico, anche da quello politico e militare. Erano i britannici ad addestrare “all’europea” i soldati regolari egiziani, oltre che fornire armi e prestiti per finanziare l’ammodernamento del paese. I risultati, ad ogni modo, tardavano a carburare, anche a causa del nepotismo e dell’eccessiva prodigalità dell’amministrazione di İsmail e del figlio Tawfīq. Questa ragione portò gli anglo-francesi a progettare l’invasione del paese, conclusa con successo nel 1882. Da quel momento l’esazione dei tributi del paese, come la politica estera e quasi ogni aspetto dell’amministrazione economica e militare, passarono direttamente nella mani di Londra, che si ritrovò a gestire l’esplosiva situazione che si stava creando nel Sudan, un territorio dipendente dal Cairo ma ormai in piena ribellione.
Per questo motivo la Gran Bretagna si ritrovò a scivolare, passo dopo passo, in un coinvolgimento sempre più diretto nella questione sudanese. All’inizio il governo inglese si preoccupò di supportare l’Egitto nell’addestramento, armamento e supporto delle forze armate locali, in modo da risolvere la questione senza l’intervento di truppe regolari imperiali.
Questi tentativi vennero condotti da avventurieri o ufficiali di origine inglese, ma che per la loro esperienza in loco avevano adottato titoli esotici quali (William) Hicks Paşa, oppure il colonnello (Valentine) Baker Paşa. Le loro spedizioni al di là della terza cataratta del Nilo si spinsero nel cuore del territorio ribelle, dove la figura carismatica del Mahdī, che si proclamava come il messia promesso al mondo islamico per liberarlo dalle influenze occidentali – comprese quelle egiziane – e restaurare il regno perfetto di Allāh, stava adunando sempre più seguaci.
Il 5 novembre del 1883 la spedizione di Hicks Paşa, composta da 7.000 fanti e 1.000 cavalieri, si trovò ad affrontare 40.000 ribelli che travolsero il suo quadrato, sterminando tutti fino all’ultimo uomo. Stessa sorte toccò ai 4.000 soldati di Baker Paşa, annientati non lontano da Suakim nel febbraio del 1884. Le due sconfitte, che riguardavano forze egiziane guidate da ufficiali britannici, non solo scossero l’opinione pubblica, ma a livello pratico consegnarono al Mahdī fucili moderni, munizioni, cannoni e persino mitragliatrici, con cui poté in parte sostituire l’antiquato armamento delle sue truppe, che per la maggior parte era composto da spade, pugnali, lance e al massimo vecchi archibugi e fucili.
Per questo motivo il governo di Londra si sentì chiamato in causa direttamente, decidendo di muovere su due livelli. Da un lato l’invio di uno degli eroi coloniali del tempo, il generale Charles Gordon, affinché soprintendesse all’evacuazione del Sudan. Dall’altro, quando Gordon rimase intrappolato dalle orde mahadiste dentro Khartoum, l’invio di una colonna militare di giubbe rosse sotto l’esperta guida di sir Garnet Wolseley, il migliore comandante inglese di quel tempo, Che aveva militato e combattuto in Birmania, Crimea, India, Cina, Canada, Ashanti e infine conquistato l’Egitto due anni prima, sconfiggendo le forze di ʿOrābī Paşa.
Gordon si rivelerà una figura romantica e tragica, perfetta per un romanzo o un film. Soldato nobile e coraggioso, con una salda fede e indubbi valori morali, uomo di cultura e sensibilità, affascinato dai paesi dove aveva servito in nome della regina, era amato sia in patria che all’estero, tanto da essere giudicato la persona giusta per gestire una situazione tanto pericolosa. Purtroppo il governo di Londra, dove Gordon aveva molti estimatori ma anche parecchi nemici, non fornì al generale risorse e mezzi sufficienti a gestire l’avanzata del Mahdī. Quest’ultimo, infatti, dopo aver riorganizzato le sue orde stava stringendo d’assedio la capitale sudanese, Khartoum, dove intrappolò il generale britannico.
Le forze di soccorso a Khartoum, sotto la guida di Wolseley e Graham, iniziarono una lunga marcia di avvicinamento. Il primo discendendo il Nilo, il secondo muovendo da Suakim, stessa località di partenza dello sfortunato Baker. Le truppe britanniche combatterono con una strategia elaborata nei conflitti coloniali, dove relativamente poche truppe scelte, bene armate con fucili moderni, cannoni e mitragliatrici, combattevano in quadrato – la tattica adottata fin dal ‘700 contro le cariche di cavalleria – per respingere, mediante il fuoco di fila concentrato e le punte delle baionette, gli assalti di massa sferrati da truppe locali armate di solito con armi bianche.
Finché il quadrato era ben schierato e godeva di una buona area di tiro, magari rinforzato con una zareba – una rozza costruzione fatta di arbusti spinosi, innalzata di solito a difesa del campo per la notte, in una pallida imitazione dei castra militari temporanei dei romani, ma talvolta utilizzata come rudimentale barricata contro le cariche nemiche – le truppe britanniche potevano agevolmente sconfiggere orde mahadiste dieci o venti volte superiori, perdendo una manciata di uomini contro migliaia di morti dervisci. In caso contrario, ovvero di un attacco a sorpresa, di una cattiva disposizione sul terreno o di insufficiente esperienza, disciplina o coesione tra i reparti, le cose potevano andare molto, molto male.
Wolseley e Graham erano generali solidi, navigati e prudenti, ed erano dotati di forze di comprovata esperienza, perciò da quel fronte il rischio rimase sempre basso. Il problema era che tutti questi accorgimenti, uniti ai continui assalti – che generarono numerose battaglie dove di solito i britannici si difendevano e i sudanesi attaccavano fino all’esaurimento delle loro forze, lasciando centinaia o migliaia di morti sul terreno – dei mahadisti, rallentarono l’avanzata dei soccorsi, permettendo al Mahdī di stringere sempre più l’assedio di Khartoum.
La città, capitale del Sudan anglo-egiziano, era una colonia del Cairo fin dal 1820, popolata da 50.000 abitanti di cui oltre metà schiavi, popolata da un insieme di egiziani, greci, austriaci, italiani, inglesi, indiani, ebrei, siriani, algerini e abissini, e posta a guardia delle vie commerciali del Nilo. Gordon decise di organizzare in città un governo alternativo al Mahdī, preparando le sue forze a resistere.
A Khartoum disponeva di 2.500 forze regolari di egiziani e sudanesi, 5.000 irregolari armati con fucili moderni, una trentina di cannoni e alcune mitragliatrici, per fortuna con abbondanti scorte di cibo e munizioni. Li dispose a protezione della parte più esposta della città, a sudest, non protetta dai fiumi Nilo Bianco e Azzurro ma dotata di una linea di fortificazioni che univano i due fiumi, che Gordon potenziò con trappole di ogni tipo, come i proiettili Krupp esplosivi, interrati come mine ante litteram, oppure i cocci di vetro o i triboli di ferro atti ad azzoppare le truppe mahadiste, che caricavano spesso scalzi.
Il governo Gladstone, a Londra, fu infine costretto dall’opinione pubblica ad autorizzare la spedizione di soccorso di Wolseley e Graham, con uno sforzo di raggruppamento tale da ricomprendere tutto lo sconfinato impero, con reparti che giunsero dalla madrepatria ma anche da India, Gibilterra, Malta e Australia. L’impresa aveva un qualcosa di epico, con 7.000 uomini scelti e superbamente armati che dovevano discendere per 2.600 chilometri per tutto il Nilo e le sue cataratte, supportati da 400 lance fluviali, vaporetti e migliaia di cammelli.
Il 17 gennaio del 1885, presso Abu Klea, il corpo cammellato della guardia, definito anche “desert column” e spedito a tutta velocità in direzione Khartoum in supporto di Gordon, fu attaccato da una forza di circa 12.000 guerrieri. Il suo comandante, sir Herbert Steward, dispose i suoi 1.400 uomini in un quadrato, e con una turbolenta, rapida e violentissima azione, che quasi sorprese le forze britanniche, infine prevalse. La battaglia, durata una manciata di minuti, vide almeno 1.500 caduti mahadisti contro poco più di un centinaio di morti e feriti occidentali.
Nel frattempo, però, la sorte di Khartoum, rimasta totalmente circondata fin dal settembre 1884, era giunta al limite. Il 26 gennaio, infatti, le acque del Nilo Azzurro e Bianco si erano molto ridotte, cosa che permise ai dervisci, preponderanti dal punto di vista numerico, di travolgere le difese predisposte da Gordon. Fu in quel giorno che, annientata ogni resistenza, i guerrieri espugnarono la città, massacrando e depredando la popolazione e infine uccidendo lo stesso Gordon, che cadde nel suo palazzo. La sua testa, recisa dal corpo, fu portata come macabro trofeo al cospetto del Mahdī.
La caduta di Khartoum fu un colpo micidiale per la spedizione britannica. Il salvataggio di Gordon, obiettivo principale della missione, era sparito e il costo della campagna in termini di difficoltà logistiche, investimenti e perdite, scoraggiava un suo proseguo. Per tale motivo, tra febbraio e maggio del 1885, i reparti coloniali svolsero ulteriori operazioni nell’area di Suakim e Berber, dove Wolseley puntava a far realizzare una ferrovia per future operazioni. Questo portò alle vittorie difensive di Hashin e Tofrik, il 21 e il 22 marzo, dove al costo di 200 perdite, i britannici inflissero agli avversari una dura lezione di tattica europea, che lasciò migliaia di guerrieri mahadisti sul terreno.
Ironia della sorte lo stesso Mahdī, guida della rivolta, morì di malattia – forse tifo – pochi mesi dopo il suo nemico Gordon, nel giugno del 1885, poco dopo l’evacuazione totale delle forze di invasione inglesi. Gli successe come khalīfa ʿAbd Allāh ibn Taʿāysh, che governò per i successivi dieci anni e mezzo un Sudan indipendente, fino al secondo round contro i britannici.
A riaprire le discussioni di una possibile guerra in Sudan furono due libri. Nello specifico, due resoconti di prigionia scritti dal missionario cattolico italiano Giuseppe Ohrwalder – intitolato “I miei dieci anni di prigionia: rivolta e regno del Mahdi in Sudan” – e dall’ex governatore del Darfur, Rudolf Carl von Slatin, che tra il 1891 e il 1895 fuggirono dalle prigioni dervisce e, giunti in Egitto, raccontarono la loro terribile esperienza.
Le loro parole fecero un’enorme impressione in Gran Bretagna che, unita alla preoccupazione dell’espansione coloniale francese nel Ciad, che avrebbe potuto mettere a rischio l’egemonia inglese nel nord-est africano, portò il governo a progettare un’invasione del Sudan per il 1896. L’uomo che venne scelto per la rivincita fu Horatio Herbert Kitchener, grande organizzatore e stratega, a cui fu affidato il compito di preparare la spedizione che avrebbe spazzato via i mahadisti e ristabilito il potere di Londra. Kitchener aveva compreso che la vittoria sarebbe stata raggiunta con la logistica e la prudenza, in quanto le truppe britanniche, se ben guidate, rifornite e schierate, avrebbero sempre prevalso sulle orde nemiche.
La campagna iniziò nel marzo del 1896, con 11.000 soldati armati fino ai denti e una flotta di barconi equipaggiati con cannoni e mitragliatrici ultimo modello, che lo avrebbe supportato seguendolo passo passo dal Nilo, mentre lui costruiva una ferrovia che lo collegava direttamente al Cairo, da cui poteva far giungere ogni cosa in breve tempo. Questa superiorità tecnologica gli permise di prevalere contro i dervisci presso Ferkeh e di estendere i binari fino a Wadi Halfa, cosa che lo aiutò ad ingrossare i ranghi fino a 25.000 soldati entro l’inizio del 1898.
Con un tal rapporto di forze, la caduta del mahadismo era solo una questione di tempo. Una prima grande battaglia venne combattuta presso Atbara nell’aprile dello stesso anno, dove 60.000 dervisci vennero nettamente battuti, mentre alla fine dell’estate ʿAbd Allāh al-Taʿāysh si giocò il tutto per tutto davanti alla sua nuova capitale di Omdurman.
Il 2 settembre 1898 50.000 guerrieri a piedi e almeno 3.000 a cavallo si scagliarono coraggiosamente contro i 26.000 britannici. Le 52 mitragliatrici, distribuite su tutto il fronte inglese, aprirono il fuoco contro i mahadisti alla carica, che lasciarono sul terreno ben 4.000 caduti senza poter giungere neanche a contatto con le baionette di Kitchener. I dervisci combatterono valorosamente, mettendo talvolta in difficoltà alcuni reparti britannici come il 21° reggimento lancieri, che si era lanciato con soli 400 uomini contro 2.500 guerrieri – allo scontro partecipò anche un giovanissimo Winston Churchill – o i 3.000 soldati della brigata sudanese di Hector MacDonald, che dovette fronteggiare ben 15.000 nemici, che respinse con un micidiale fuoco di fila supportato da cannoni e mitragliatrici Maxim.
La battaglia, che mise bene in chiaro la netta superiorità europea industriale contro il coraggio tribale dei guerrieri dervisci, costò al khalīfa ben 30.000 perdite, inclusi 5.000 prigionieri, oltre che il possesso della sua capitale di Omurdman. I britannici lamentarono appena 47 morti e 382 feriti. L’evento fu celebrato in tutto l’impero, con la nomina a Kitchener di baron di Khartoum, la consegna di diverse onorificenze militari ai reparti che si erano maggiormente distinti, tra cui quattro Victoria Cross – la più alta dell’esercito – e l’intitolazione di strade in Inghilterra o nel Commonwealth.
Ad ogni modo il conflitto non si concluse in modo definitivo fino alla morte di ʿAbd Allāh al-Taʿāysh che, sopravvissuto ad Omurdman, era scappato verso sud. Solo il 24 novembre 1898, presso Umm Diwaykarāt, gli ultimi 10.000 dervisci ancora in grado di opporre resistenza affrontarono 8.000 soldati regolari inviati da Kitchener e guidati dal generale Wingate. Qui, grazie sempre alle inossidabili Maxim e ai cannoni, si concluse con l’ennesima sproporzione di caduti – 1.000 contro 3 – la parabola mahadista. Tra i corpi rimasti sul terreno figurava lo stesso khalīfa, cosa che pose fine ad ogni ulteriore lotta nel paese, che da quel momento venne gestito mediante il cosiddetto “Condominio anglo-egiziano”, che terminò solo nel 1955, dopo la caduta della monarchia egiziana filo-britannica e la proclamazione della repubblica.
Alberto Massaiu
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