L’aspetto che fa più pensare, relativamente alla Guerra delle Falkland, è che questa è stata l’ultimo conflitto convenzionale combattuto tra due moderne Nazioni occidentali. Difatti, la Gran Bretagna e l’Argentina schierarono per due mesi e mezzo in quel teatro di guerra – lontano centinaia di chilometri di oceano aperto da qualsiasi base logistica – oltre 20.000 soldati, 16.000 marinai, 150 imbarcazioni e più di 300 aerei da combattimento.
Fu uno sforzo finanziario enorme, sostenuto da due paesi che si trovavano entrambi in crisi economica. Il suo esito cambiò il futuro di entrambi, elevando il prime minister Margareth Thatcher alla gloria e facendo sprofondare la traballante giunta militare che governava l’Argentina con il pugno di ferro, riportando il paese alla democrazia.
Fu un toccasana per lo spirito britannico, che viveva ancora con dolore il tramonto del suo prestigio imperiale, evidenziato dalla perdita della maggior parte delle sue colonie e la brutta doccia fredda subita a Suez nel 1956, quando il Regno Unito, la Francia ed Israele erano stati costretti – nonostante la vittoria sul campo – ad accettare la nazionalizzazione egiziana del canale.
Le territorio delle Falkland, o Malvinas secondo gli argentini, è composto da una serie di arcipelaghi e isolette semi-disabitate (in totale vantano poco più di 3.000 anime) che, nel complesso, ricoprono una superficie ampia come metà della Sardegna o della Sicilia.
Disputate tra Spagna, Francia e Gran Bretagna nel tardo XVIII secolo, il primo insediamento fu stabilito solo nel 1764, anche se la colonizzazione definitiva anglosassone (per la maggior parte scozzesi) venne completata solo nel 1839, aprendo una diatriba infinita con l’Argentina, che si considerava erede degli antichissimi diritti spagnoli sulla regione, risalenti al famoso Trattato di Tordesillas che, nel 1494, aveva spartito arbitrariamente il mondo al di là dell’Atlantico – con il santo beneplacito del Papa Alessandro VI Borgia – tra Spagna e Portogallo.
Queste isole divennero una base navale strategica per Londra tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. L’8 dicembre del 1914, ad esempio, si combatté nelle sue gelide acque una grande battaglia tra la Royal Navy e la Kaiserlische Marine tedesca del Pacifico, che si concluse con una schiacciante vittoria britannica.
Nell’epoca della Guerra Fredda l’Argentina riuscì a farsi riconoscere dall’ONU la disputa come un problema coloniale, ma le trattative si arenarono. Ad ogni modo per tutti gli anni ’60 e ’70 le relazioni furono serene, con Buenos Aires che garantì rifornimenti, collegamenti e cure mediche tra la terraferma continentale e le isole.
Le cose precipitarono nel 1981. Dal 1976, infatti, una giunta militare era salita al potere in Argentina. All’epoca i regimi di destra erano ben visti dal potente vicino nordamericano, specialmente dall’amministrazione Reagan, in un’ottica di contenimento comunista. Il protagonista della nostra storia è Leopoldo Fortunato Galtieri Castelli, un generalissimo di origine italiana che aveva sostenuto il colpo di Stato di Jorge Rafael Videla.
Questi aveva viaggiato anche negli States, venendo accolto con tutti gli onori, e nel dicembre del 1981 divenne il nuovo leader del paese dopo un rapido avvicendarsi di “uomini forti” della giunta, sostituendo Roberto Eduardo Viola, che aveva fatto le scarpe a Videla nel marzo dello stesso anno.
Appena saluto al potere, Galtieri si autoproclamò “Presidente a vita” dell’Argentina, in perfetto stile da Caudillo latino-americano, con la facoltà di nominarsi un successore. Dai suoi predecessori – compreso il periodo democratico precedente al golpe – aveva ereditato una disastrosa situazione economica, a cui sommò una feroce repressione, che si aggiunse a quella già instaurata negli anni precedenti da Videla. Violazioni dei diritti umani con torture e omicidi politici erano la norma nel paese, eppure il dissenso e le dimostrazioni anti-junta si facevano sempre più forti.
Fu questo stato di cose a fargli venire l’idea di stabilizzare il regime tramite un grande colpo di teatro: la presa delle Malvinas! Nei suoi calcoli gli argentini sarebbero stati così ubriachi di orgoglio nazionalista da dimenticare, almeno in parte, le violenze e le ristrettezze economiche, garantendo al suo governo un po’ di respiro.
I suoi piani si fondavano però su due grossi azzardi:
- Che la Gran Bretagna non avesse le risorse e la determinazione per impelagarsi in un conflitto a migliaia di chilometri da casa
- Che gli Stati Uniti, i quali finora avevano guardato alla junta militar con favore, mantenessero una posizione neutrale o perfino consigliassero a Londra di accettare il fatto compiuto
Non aveva valutato bene il peso della sua controparte al di là dell’oceano. Margareth Thatcher, infatti, nel 1979 era diventata la prima donna a guidare il governo di un paese europeo e, per quanto considerata una “novellina” della grande politica, si era lanciata con determinazione con l’idea di traghettare la Gran Bretagna fuori dalla stagnazione economica, politica e sociale in cui si trovava da anni.
Ad ogni modo i primi due anni di governo erano stati durissimi per lei. Le sue decisioni monetariste e antisindacaliste avevano ridotto l’inflazione ma raddoppiato la disoccupazione, mandando in crisi il settore manifatturiero e facendo scoppiare rivolte e proteste nei centri industriali del paese. Ancora, nel 1981 dovette gestire gli scioperi della fame dei membri dell’IRA (l’Irish Republican Army), che volevano ottenere lo status di prigionieri politici. La sua linea dura portò alla morte ben dieci di loro, compreso il celebre Bobby Sands, ammaccando il suo prestigio già adombrato.
Insomma, nel 1982 la sua popolarità era ai minimi storici, tanto che tutti davano per spacciato il suo governo alle elezioni successive. Tenendo conto di tutte queste notizie, Galtieri si decise per l’azzardo, lanciando l’Operación Rosario.
Il 2 aprile del 1982 tutto era pronto. Complice la quasi totale smilitarizzazione delle isole per motivi economici – la flotta britannica aveva in quegli anni subito un netto ridimensionamento – l’invasione si concluse con un pieno successo in appena undici ore. Con un morto e cinque feriti gli argentini ebbero la meglio contro gli appena cinquanta marine stanziati a Port Stanley, capitale delle Falkland.
Sembrava fatta, e Galtieri si poté beare di un’effettiva popolarità. Il vento sciovinista aveva invaso le piazze, sopendo in parte le proteste. Tale soddisfazione duro però molto poco, in quanto la Thatcher dimostrò appieno di meritare il nomignolo con cui stava iniziando ad essere conosciuta: Iron Lady o Signora di Ferro.
A Londra venne approntata l’Operation Corporate con il pieno sostegno della popolazione. Lo smacco subito aveva scaldato gli animi e risvegliato l’orgoglio nazionale, che si compattò sotto la politica di riscatto del Thatcher.
Nel frattempo il prime minister si mosse in maniera abile anche sul piano diplomatico, presentando l’azione argentina come un atto di violenza compito da una dittatura militare contro una democrazia. Si dimostrò pronta a trattare diplomaticamente presso l’ONU, lasciando agli abitanti il diritto di auto-determinarsi, ben consapevole che i coloni di origine anglosassone mai avrebbero accettato l’incorporazione forzata nel paese latino. L’Argentina rigettò le proposte di dialogo vantando pretese territoriali antecedenti alla creazione stessa dell’organizzazione internazionale (il famoso Trattato di Tordesillas), scatenando la preoccupazione di tutti gli altri Stati, i quali compresero che avvallare tale linea politica avrebbe potuto scatenare rivendicazioni incrociate per i loro stessi territori.
Da questa gaffe diplomatica l’Argentina subì il primo smacco, subendo la risoluzione 502 che chiedeva il ritiro delle truppe argentine dalle Falkland e la cessazione delle ostilità. Al rifiuto di Galtieri, che ormai non poteva più accettare un ritorno alla situazione precedente, il paese perse ogni simpatia internazionale, compresa quella USA, che appoggiarono – seppur in maniera indiretta – la posizione britannica.
A quel punto prevalse la linea dura del first lord of the sea e chief of staff – Primo Lord del Mare e Capo di Stato Maggiore – sir Henry Leach, che disse alla Thatcher in merito alle isole: “Sì, possiamo riprendercele… E dobbiamo! Perché se non lo facciamo, in pochi mesi vivremo in un paese diverso la cui parola non conterà niente”.
Con un immane sforzo economico-militare, venne concentrata una flotta composta da due portaerei (la HMS Hermes e la HMS Invincible), otto cacciatorpediniere, tredici fregate, sei sottomarini tra i nucleari HMS Conqueror e HMS Courageous, oltre che una grande quantità di navi da trasporto, supporto e logistica.
Le truppe imbarcate erano il meglio del meglio dei royal marine, delle forze speciali del para regiment ed elementi della guardia di fanteria, tra cui i Welsh e gli Scots Guard. Tutte unità con una gloriosa storia secolare, e talvolta plurisecolare, alle spalle.
Il primo passo della riscossa fu la presa delle isole della Georgia Australe, totalmente disabitate da civili e presidiate da una piccola – e difficilmente rifornibile – guarnigione argentina. L’idea era quella di mettere a segno una facile vittoria per alzare il morale britannico e fiaccare quello nemico, in previsione delle operazioni principali nelle Falkland vere e proprie.
L’obiettivo fu centrato in pieno.
“Compiacetevi d’informare Sua Maestà che la White Ensign sventola al fianco della Union Jack nella Georgia del Sud. Dio salvi la Regina”
– Comunicato ufficiale della marina dopo la prima vittoria –
Il 26 aprile il sottomarino a propulsione nucleare HMS Conqueror intercettò e affondò con una triplice salva di siluri l’incrociatore General Belgrano, che stava tentando una manovra a tenaglia con la portaerei Veinticinco de Mayo contro la task force britannica. Nell’attacco morirono oltre 300 militari argentini, che divennero da soli quasi la metà dei caduti totali delle loro forze armate durante l’intero conflitto.
Come ritorsione, l’aviazione argentina colpì in modo mortale il cacciatorpediniere HMS Sheffield, che però non affondò subito, permettendo a tutto l’equipaggio di evacuare la nave in tempo. La guerra aerea proseguì, con i primi che riuscirono ad affondarono altre sette navi minori e ne danneggiarono in modo grave altre, come la HMS Glasgow.
Nonostante il grande coraggio dei piloti argentini, che si lanciavano in continuazione contro i mezzi britannici nonostante la loro strumentazione fosse datata di una generazione rispetto a quella britannica, alla fine i comandanti inglesi poterono lanciare le truppe speciali nell’invasione anfibia delle isole principali, puntando alla capitale Port Stanley.
Le forze di terra di Londra assommavano a circa 4.000 soldati scelti, che dovevano teoricamente fronteggiare una forza di difesa ben maggiore, che assommava a circa 13.000 uomini. Questi ultimi, però, erano per la maggior parte coscritti, aspetto che si rivelò determinante.
Il 27 maggio, ad esempio, 500 paracadutisti, supportati da una batteria di obici della royal artillery, diedero battaglia ad oltre 1.000 argentini presso Goose Green. Complice il supporto aereo e il bombardamento navale portato avanti dalla fregata HMS Arrow, dopo due giorni di intensi combattimenti la posizione si arrese.
A questo punto la caduta di Port Stanley divenne solo una questione di tempo, rallentata solo dalla mancanza di elicotteri e di veicoli, perduti in seguito alle incursioni aeree argentine. La marcia attraverso il duro territorio delle Falkland avvenne quindi a piedi, come ai tempi delle guerre del XIX secolo.
Sempre più unità britanniche strinsero d’assedio il capoluogo e l’11 giugno venne ordinato l’attacco finale, supportato da uno schiacciante bombardamento aereo e navale. Tre giorni dopo, alle 23, il generale Menendez accettò la proposta di resa, consegnando quasi 10.000 prigionieri di guerra nelle mani delle forze anglosassoni.
Questa breve e relativamente piccola guerra era finita. Al prezzo di 649 vittime argentine e 258 britanniche, il prestigio di Londra era stato ristabilito, mentre quello della junta militar crollava miseramente.
Leopoldo Galtieri dovette dare le dimissioni quello stesso 18 giugno, quattro giorni dopo la caduta di Puerto Argentino – il nome con cui aveva frettolosamente ribattezzato Port Stanley. Lo sostituì un ennesimo generalissimo, Reynaldo Bignone – anche lui di origini italiane – che tentò di tenere in piedi la dittatura, ma l’anno dopo dovette cedere all’opinione pubblica e garantire libere elezioni, che perse miseramente contro Raúl Ricardo Alfonsín.
La Thatcher, invece, divenne a tutti gli effetti la Iron Lady che è passata alla storia. Nel 1983 il suo partito, quello Conservatore, stravinse le elezioni. Bissò tale successo anche con un terzo mandato, che si concluse nel 1990.
Oggi i cittadini delle Falkland – come quelli di Gibilterra – hanno il pieno status di cittadini britannici. Le isole sono state rinforzate dal punto di vista difensivo, con la riforma della FIDF (Falkland Islands Defence Force), l’aumento delle unità di royal marine, lo stazionamento di una piccola forza di Eurofighter Typhoon nel nuovo aeroporto di Mount Pleasant e l’invio regolare di sottomarini nucleari d’attacco a pattugliare le acque territoriali.
L’Argentina, nonostante tutto, continua a rivendicare le isole Malvinas, aspettando una futura rivincita.
Alberto Massaiu
Leave a reply