Per, chi, come me, è cresciuto leggendo i fumetti di Tex Willer, la frontiera americana del sud-ovest è sempre stata assodata sul Rio Grande, il fiume che separava gli Stati Uniti dal Messico da dove passavano i fuorilegge per scappare alla giustizia di una o dell’altra parte, che fossero desperados ispanici, pistoleri americani o i temibili indiani apache o comanche.
Eppure questa immensa frontiera, che si estende per più di 3.000 chilometri e lambisce due oceani, quello Atlantico e quello Pacifico, è nata da due conflitti semi-sconosciuti in Europa (tranne forse l’episodio dell’assedio di Alamo, narrato da film, romanzi e fumetti) che sono la Rivoluzione Texana del 1835-36 e la Guerra di Mr. Polk o Guerra Messicana del 1846-48.
Oggetto di questo articolo sarà proprio quest’ultima, in quanto porrà il timbro finale anche agli effetti della Rivoluzione Texana, stabilendo una volta per tutte non solo la perdita di quella provincia da parte del Messico, ma anche di tutti i territori a nord del Rio Grande e del Golfo della California. Con la firma di un pezzo di carta, il Messico perse oltre il 50% del suo territorio, compresi Texas, Nuovo Messico, Colorado, Utah, Arizona, Nevada e California, trasformando gli Stati Uniti in uno dei paesi più grandi del mondo.
Tutto era iniziato nel 1819, con l’affluenza di numerosi coloni di stirpe anglosassone o comunque nord Europea in Texas, a causa di una profonda crisi economica che aveva colpito i giovanissimi Stati Uniti, che all’epoca non avevano compiuto neanche i trent’anni di vita. Un accordo con la Spagna, che ancora governava il Messico, permise l’accesso alle prime 300 famiglie di coloni, che si installarono in una provincia praticamente spopolata, dove la terra costava poco, perfetta per iniziare quel sogno americano che permise l’espansione ad ovest del paese.
Il flusso, all’inizio di ridotte dimensioni, divenne una fiumana via via che la voce si spargeva nelle città della costa est e tra i contadini del Mississippi, attirando avventurieri, uomini di fede, agricoltori, allevatori, esuli e tutto quel miscuglio di persone che ha reso celebre la colonizzazione del West.
I rapporti tra i nuovi venuti e il giovane governo messicano, resosi indipendente dalla Spagna, divennero via via più tesi, complice il grande divario culturale e religioso tra i due popoli. Le cose sembrarono appianarsi nei primi anni ’30, con una costituzione che apriva ampi spazi di autonomia e autogoverno per i texani di origine anglosassone, ma le cose precipitarono con la presa di potere del generalissimo Antonio López de Santa Anna, che sospese ogni garanzia costituzionale e tentò di imporre il suo volere dittatoriale sull’intero paese.
I coloni americani, memori della guerra combattuta dai loro nonni o bisnonni contro la Gran Bretagna nel 1776, non potevano tollerare di dipendere da un tale sistema di governo, e nel 1835 si ribellarono. La guerra, improvvisata e confusa, fu una lunga sequela di piccole schermaglie per la presa di cittadine, fortini e missioni. Gli episodi salienti sono appunto l’assedio di Alamo e la battaglia di Goliad, in cui circa 500 ribelli texani (meno di 200 ad Alamo e circa 300 a Goliad) combatterono coraggiosamente ma senza speranza, cadendo fino all’ultimo.
Questi fatti bellici, di scarso valore strategico, assunsero però un valore nel mito e nella memoria texana e poi americana, come una sorta di martirio di eroi contro preponderanti forze avversarie, in nome della libertà (una versione moderna delle Termopili). Forse gli episodi sarebbero stati dimenticati per sempre se la rivoluzione non avesse conseguito un insperato successo nella battaglia di San Jacinto, il 21 aprile del 1836.
I troppo sicuri messicani avevano infatti diviso il loro esercito d’invasione – forte di 6.000 uomini – in colonne più piccole. Fortuna volle che la minuscola armata ribelle, che ne contava appena 700, sorprendesse quella guidata da Santa Anna in persona, che in quel momento ammontava a circa 1.200 soldati, e la attaccò di sorpresa durante una pausa di riposo, visto che il dittatore non pensava che i texani avessero l’ardire di affrontare truppe che erano il doppio di loro.
Il suo orgoglioso disprezzo gli costò carissimo. Al grido di “Remember the Alamo! Remember Goliad!” i ribelli si fecero sotto, scaricando i fucili e assaltando con baionette, sciabole e coltelli, travolgendo i messicani in una manciata di minuti e perdendo appena 9 uomini.
Il contingente del generalissimo venne annientato completamente, ma soprattutto Santa Anna stesso cadde prigioniero di Sam Houston, generale e poi futuro presidente del Texas, che in cambio della vita dovette negoziare il ritiro di tutte le sue truppe – ancora grandemente superiori rispetto alle poche centinaia di ribelli – e la concessione dell’indipendenza al Texas.
Fatto sta che questo rocambolesco e fortunoso andamento degli eventi aveva lasciato numerose questioni in sospeso, soprattutto di confine, e a tutto ciò si aggiunse ben presto la spinta verso ovest degli Stati Uniti, che puntavano a raggiungere il Pacifico per poter avvantaggiarsi dei lucrosi affari con la Cina, che in quegli anni stava subendo le prime batoste dalla Gran Bretagna (vedi articolo sulle Guerre dell’Oppio per approfondire) e aprendo di conseguenza i suoi mercati.
Il Messico, inoltre, aveva mal digerito la forzata e offensiva separazione della sua provincia settentrionale, e temeva ulteriori perdite territoriali dietro la spinta di texani, statunitensi o britannici, perciò aveva più volte pubblicamente dichiarato che un eventuale annessione del Texas da parte di Washington sarebbe equivalso ad una dichiarazione di guerra.
Il problema risiedeva nel fatto che a tale voce grossa non seguì alcun tentativo di modernizzare il paese per sostenere un conflitto moderno su larga scala, cosa che sposterà gli equilibri della guerra in maniera decisiva, portando il paese al collasso generale.
Nel 1845, il presidente uscente John Tyler inviò al Texas un’offerta di annessione. Il Texas accettò e divenne seduta stante il 28º Stato federato degli Stati Uniti d’America. Il nuovo e aggressivo presidente americano James Knox Polk, che voleva estromettere i britannici dalla corsa al Pacifico, non solo ignorò le aspre proteste messicane, ma aumentò la posta proponendo l’acquisto di due ulteriori province, ovvero California e Nuovo Messico.
Per velocizzare le trattative utilizzò il metodo di bastone e carota, inviando il diplomatico John Slidell a Città del Messico con un’offerta di 15 milioni di dollari da un lato, mentre dall’altro spediva 4.000 soldati agli ordini del generale Zachary Taylor nel territorio conteso fra Texas e Messico, tra i fiumi Nueces e Rio Grande.
La dichiarazione di guerra fu quel classico pretesto che serve a nascondere tutte le responsabilità del conflitto da parte di Washington fin dalla nascita della repubblica. Il presidente Polk, infatti, era alla ricerca disperata di un pretesto per ottenere una dichiarazione di guerra da parte del congresso.
L’allontanamento di Slidell da Città del Messico, dove non venne neanche ricevuto con la scusa di problemi burocratici inerenti alle sue credenziali, sembrava al presidente americano un offesa tale da risultare “una causa di guerra più che sufficiente”. Fu, paradossalmente, più fortunato. Infatti, poco prima di questo atto arbitrario, Polk ricevette la notizia che forze messicane avevano attaccato truppe statunitensi nelle aree contese, uccidendo 11 uomini e catturandone altri.
Immediatamente pronto ad approfittarne, Polk annunciò che il Messico aveva «invaso il nostro territorio e versato sangue statunitense sul suolo statunitense», tralasciando che era stato lui il primo ad aver inviato truppe in un’area ancora aspramente disputata, oltretutto a seguito di un classico e rozzo tentativo di forzatura di mano diplomatica per ottenere la cessione di territori da parte di uno Stato sovrano.
Molti membri del congresso erano contrari alla guerra, e soprattutto non erano convinti dei pretesti adotti da Polk, ma alla fine la semplice ragione che era stato versato sangue americano bastò ad imporre ai deputati di dichiarare guerra al Messico il 13 maggio 1846.
I piani statunitensi si allargarono in tre aree di operazioni.
Da un lato stava infatti l’Army of the West o Armata dell’Ovest, che puntava ad occupare la California in un’operazione congiunta con la flotta. Furono loro a prendere città che ora ci fanno pensare subito agli States, ma che al tempo erano Messico: Los Angeles, San Diego, Monterey.
Dall’altro Taylor, che all’inizio doveva ricoprire il ruolo di maggior rilievo, operava lungo il Rio Grande con la forza principale dell’esercito, muovendo dal Texas verso sud.
Infine, per velocizzare la capitolazione del nemico, venne predisposto un audace attacco anfibio che, muovendo da Veracruz – città da dove, tre secoli prima, era partita l’invasione dell’impero azteco da parte di Hernan Cortes – avrebbe puntato rapidamente alla capitale di Città del Messico. Alla guida di quest’armata venne posto il generale Winfiel Scott.
Le forze in campo non erano troppo divergenti tra loro in termini numerici, con 70.000 tra regolari, marinai e volontari da parte U.S.A. e 80.000 messicani tra regolari e irregolari. Il problema risiedeva nella qualità e modernità degli armamenti tra i due eserciti. Gli americani erano infatti ben vestiti, equipaggiati con mezzi superiori in calibro, modello e gittata, ben nutriti e con paghe regolari. Dall’altra i messicani erano reclutati attraverso una leva coatta, con paghe basse e occasionali, affamati e armati malamente, con fucili e cannoni residuati dalle guerre d’indipendenza con la Spagna.
Dopo i primi rovesci, il governo messicano si vide costretto a richiamare dall’esilio il generalissimo Santa Anna, pensando fosse l’unico comandante capace di risollevare la situazione. Nei fatti però, il divario qualitativo era troppo ampio per essere colmato, nonostante i grandi atti di valore e coraggio che entrambe le parti misero in atto.
Emblematica fu la resistenza del castillo di Chapultepec, che ospitava l’accademia militare del paese. Qui i giovani cadetti tra i 13 e i 17 anni decisero di resistere per salvare l’onore del Messico, cadendo in combattimento e creando il mito nazionale de los niños héroes. Ugualmente la brigata irlandese di Saint Patrick, composta in buona parte da disertori statunitensi che preferivano combattere per un paese cattolico piuttosto che per uno protestante, oppose una strenua resistenza, ma venne infine sopraffatta. Oltre 100 sopravvissuti irlandesi vennero di seguito impiccati per il reato di diserzione. Il problema di queste azioni era che, sempre e inevitabilmente, ad un certo punto i difensori finivano polvere e munizioni, venendo quindi superati dalla migliore logistica e dagli incommensurabilmente superiori volumi di rifornimenti degli americani.
Santa Anna, nonostante i suoi tentativi di resistenza, venne sconfitto da Taylor a nord e perse la sua capitale a sud, occupata da Scott dopo le battaglie di Contreras, Churubusco, Molino del Rey e infine Chapultepec, che portò alla caduta della città nel settembre del 1847.
Il tentativo del generalissimo messicano di riscattarsi, tagliando fuori Scott dal mare con la riconquista di Puebla, cosa che avrebbe impedito il rifornimento per gli americani dal porto di Veracruz, fallì con la battaglia di Huamantla, dopo la quale a Santa Anna venne esonerato dal comando.
Il Messico uscì devastato dal conflitto, che perse su ogni fronte, e dovette accettare le iniziali proposte di cessione americana, che più che raddoppiò le sue dimensioni territoriali, aprendo la strada verso la colonizzazione del West resa iconica dalla filmografia del secolo appena concluso e giunta persino da noi nella formula degli “Spaghetti Western” o in personaggi inossidabili come Tex Willer.
Una nota interessante è il valzer di dispacci diplomatici tra Nicholas Trist, il plenipotenziario americano inviato a trattare gli accordi con il nuovo governo messicano, e Polk, che ormai aveva in mente di chiedere ancora più territori dopo una vittoria così totale.
La lentezza nella corrispondenza salvò il Messico da altre decurtazioni e, forse, persino dalla completa annessione agli Stati Uniti d’America. Alla fine Trist concordò la “sola” cessione dell’area contesa del Texas e di tutti i territori ad ovest fino alla California, concedendo in cambio 15 milioni di dollari e il condono dei risarcimenti di guerra ai texani per i conflitti precedenti, di altri 3 milioni di dollari, che sarebbe stato versato dal governo statunitense.
Il trattato di Guadalupe Hidalgo, firmato il 2 febbraio del 1848, scontentava un po’ tutti e modificava drasticamente l’emisfero occidentale del continente nord americano, mutandone la storia, ma forse non così tanto come avrebbe voluto l’imperialista Polk, che silurò Trist e gli precluse una futura carriera nel governo a Washington.
Di fatto, l’espansione verso sud-ovest inasprì ancora di più le divisioni tra il nord e il sud degli Stati Uniti, che avevano partecipato al conflitto in maniera antitetica (il meridione a favore, il settentrione contrario). Il Texas, ad esempio, divenne subito uno Stato federato nell’orbita di quelli schiavisti, velocizzando la conflagrazione che portò infine alla guerra civile, e che verrà per certo trattata in un futuro articolo.
Alberto Massaiu
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