Le guerre dell’oppio furono due conflitti combattuti principalmente tra il Regno Unito, la più grande superpotenza mondiale dell’epoca, e la Cina, retta dalla decadente dinastia Qing, di origine Manciù. Rientrano nel grande disegno dell’espansione coloniale europea, svolgendosi tra il 1839-1842 (prima guerra dell’Oppio) e il 1856-1860 (seconda guerra dell’Oppio).
Le motivazioni del conflitto sono tra le peggiori, in quanto puramente commerciali (e, come vedremo assieme, del peggior tipo), ma furono causate anche dalla grande differenza nel modo di vedere le cose tra il mondo cinese e quello occidentale e furono un grosso shock per il Celeste Impero, che all’inizio pensava di dettare legge ai barbari stranieri, mentre si trovò ben presto alle corde, con il suo mondo vicino al collasso economico, militare, sociale e culturale.
I primi contatti con gli europei in estremo oriente erano avvenuti fin nel lontano XVI secolo, con i portoghesi che si erano installati nelle roccaforti di Goa (in India) e a Macao (nel sud della Cina).
I cinesi, come i giapponesi retti dagli Shogun della dinastia Tokugawa, avevano deciso di limitare al massimo l’influenza commerciale e culturale dei barbari occidentali, che temevano e disprezzavano al tempo stesso. Perciò gli imperatori della dinastia Qing concessero solo il porto di Canton agli affari con portoghesi e spagnoli prima, per poi allargare agli olandesi, agli inglesi e ai francesi. In più questa città aveva dei forti dazi doganali, che servivano a proteggere il mercato cinese dalla concorrenza a buon mercato occidentale (eh si, ai giorni nostri suona quasi comico, ma all’epoca eravamo noi in piena rivoluzione industriale).
Altri tre aspetti di potenziale attrito erano le modalità di pagamento, coniugate alla moda dei prodotti di lusso cinesi sorta in Europa e infine al modo di relazionarsi tra l’autorità imperiale cinese e le potenze occidentali.
Punto primo: i cinesi si facevano pagare i loro beni di lusso in argento, perché erano pochi i prodotti industriali europei a far gola al mercato cinese.
Punto secondo: in Gran Bretagna, Francia, Prussia, Austria, Russia, stati tedeschi e italiani era scoppiata fin dal XVIII secolo la moda cinese, con richiesta massiccia di ceramiche, sete e prodotti d’arredo provenienti dal celeste impero.
Punto terzo: l’imperatore cinese, che si giudicava come un sovrano universale, vedeva (ciecamente) gli europei come barbari, indegni della sua attenzione e non dei pari. Perciò non ammetteva ambasciatori o consoli con indipendenza e status speciale, ma solo mercanti (inglesi, olandesi o francesi) che si dovevano comportare tuttalpiù come vassalli.
Questo stato di cose perdurò fino a quando le potenze europee furono occupate ad espandersi su altri fronti, massacrandosi tra loro in Europa, Americhe e India. Ma all’alba del XIX secolo, con la fine dell’epopea napoleonica, queste ultime erano pronte per spartirsi il resto del mondo in aree di influenza, commercio esclusivo o dominio diretto.
Nel 1757 la Compagnia delle Indie Orientali, prima vera e propria multinazionale della storia (dotata non solo di mercanti, finanziatori e funzionari, ma anche di un suo esercito e una sua marina), mise le mani sull’intero Bengala dopo la battaglia di Plassey, dove un pugno di risoluti e audaci giubbe rosse inglesi avevano sconfitto le forze congiunte dell’Impero Moghul. Ben presto la corona britannica e la Compagnia assunsero sempre più potere nel paese, cacciando i rivali francesi e avviando la coltivazione intensiva dell’oppio e la sua lavorazione fino a trasformalo in prodotto di consumo per il mercato.
L’oppio (che si ricava incidendo le capsule immature del papaver somniferum e raccogliendo il lattice che trasuda) aveva una lunga storia in Cina come medicina popolare, somministrato in particolari cibi o bevande. Per l’arte medicinale erboristica esso aveva effetti benefici contro malattie quali la dissenteria, la tosse e l’asma. I veri problemi, però, cominciarono nel momento in cui più che esser usato come un medicinale, si cominciò a fumarlo.
Se all’inizio il fumare l’oppio era un vero lusso, appannaggio dei ricchi viziosi indiani e cinesi, la produzione in massa e il commercio all’ingrosso introdotto dal monopolio concesso dal governo britannico alla Compagnia lo trasformarono in un vizio che si potevano permettere tutti. A questo si deve aggiungere quello che avviene tutte le volte che un paese viene inondato di prodotti dannosi per la salute e la società, con leggi sempre più severe che creano un sottobosco di corruzione, malavita e contrabbando difficile da estirpare, che aggravano sempre di più le condizioni dell’ordine pubblico e dello stato di salute dell’amministrazione statale, che si lascia infettare a più livelli (un po’ come avviene oggi in Occidente, con le mafie e la criminalità organizzata che smercia cocaina o peggio nei nostri paesi).
Insomma i mercanti inglesi della Compagnia delle Indie Orientali ottenne il diritto a commerciare l’oppio indiano con la Cina, in cambio di tè, sete e porcellane cinesi tanto desiderate dalle classi abbienti europee. Come ho già indicato prima in Europa c’erano pochi beni che interessavano il mercato cinese, perciò quei beni di lusso esotici si potevano acquistare solo con ingenti esborsi di metallo prezioso (e la Cina, a complicare le cose, voleva pagamenti in argento, non in oro, costringendo a ulteriori costose conversioni per poter commerciare). Insomma, appena gli inglesi scoprirono che l’oppio poteva sostituire questo svantaggioso e anti-economico stato delle cose, ne approfittarono fin troppo, inondando il mercato del Celeste Impero con la droga.
Tale commercio non venne visto in maniera immorale, anche perché i cinesi venivano visti come barbari senza Dio, quindi fuori dalle regole etiche cristiane (pezza giustificativa che gli europei avevano già usato in America e che riutilizzarono anche quando si spartiranno l’Africa e il resto del mondo fino ai mandati della Società delle Nazioni). I mercanti e soprattutto i finanziatori della Compagnia affermavano semplicemente che era la miglior risposta razionale e funzionale al problema del commercio con la Cina. Si evitava infatti il salasso di metalli preziosi, riportando in equilibrio la bilancia dei pagamenti e riducendo, quindi, il deficit dovuto ai dazi doganali imposti dall’imperatore.
A questo punto furono gli inglesi a farsi pagare in argento, perché il valore dell’oppio superò ben presto quello dei beni di lusso richiesti dall’Europa. Si stima che nel primo cinquantennio del XIX secolo la Gran Bretagna contrabbandò in Cina oppio per un valore che oscillava tra i 300 e i 400 milioni di talleri d’argento, cosa che prosciugò le risorse cinesi e diede avvio ad una profonda stagnazione industriale e commerciale, mettendo in ginocchio il mondo rurale che veniva costretto a pagare le tasse direttamente in argento per pagare l’oppio consumato nelle città. Nel 1858 i guadagni per il commercio dell’oppio rappresentarono per il Regno Unito tra il 10 e 15% delle sue entrate imperiali.
La situazione degenera fino al punto di rottura tra il 1834 e il 1838, quando gli inglesi decisero di sostituire il vecchio sistema di rapporti incentrato sul vassallaggio, dove il capo dei mercanti inglese (detto dai cinesi Daiban o Taipan) doveva trattare come un suddito rispetto al grande sovrano di Pechino per commerciare, con un altro più equilibrato, con un sovrintendente che era vicino alla figura di ambasciatore. L’incarico venne dato a Lord Napier, nobile ed ex-ammiraglio. Con questa linea di condotta gli inglesi si ripromettevano di trattare con la Cina alla pari, come nazioni sullo stesso piano, con un riconosciuto canale di comunicazione incentrato sul sistema diplomatico internazionale europeo.
Lord Napier ignorò molti requisiti del protocollo cinese e soprattutto si comportò subito da ambasciatore e non più da semplice capo dei mercanti inglesi, cosa che irritò grandemente l’autorità imperiale, già alterata per il sempre più massiccio contrabbando di oppio che causava danni economici e sociali sempre più preoccupanti nel paese.
Stufo della situazione nelle sue province meridionali, nel 1838 l’imperatore Daoguang inviò Lin Zexu (un governatore forte e capace che si era distinto per la lotta contro l’espansione dell’oppio nelle sue province di Hubei e dello Hunan), come commissario imperiale nella provincia del Guangdong per risanare Canton. Il commissario intimò ai commercianti stranieri di consegnare entro tre giorni tutta loro merce illegale e, una volta ricevuta, fece distruggere tutte le 20.000 casse d’oppio confiscate. Lin Zexu provò a costringere tutti i commercianti inglesi a sottoscrivere un documento in cui si vincolava la continuazione delle attività commerciali alla cessazione del contrabbando dell’oppio, ma il nuovo sovrintendente inglese, Sir Charles Elliot, proibì ai suoi connazionali di firmare. Il governo cinese richiese allora che i mercanti britannici avrebbero dovuto versare una cauzione a garanzia di futuri coinvolgimenti nel contrabbando, pena l’esclusione dai commerci.
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso a Londra, dove la borghesia, la marina, la Compagnia delle Indie e vari gruppi d’interesse legati al contrabbando d’oppio spinsero il governo verso la guerra nel 1840.
Una flotta di quaranta navi e qualche migliaio di soldati attacca il forte di Chuanbi, la prima difesa marittima di Canton. Sotto il comando di George Elliot, cugino di Charles, la marina britannica si diresse verso il nord della Cina, puntando su Pechino. Forte di 15.000 uomini, nel 1840 la flotta inglese giunse di fronte ad Amoy e occupò il porto di Dinghai, bloccando i porti alla foce del fiume Yangzi e bombardando la foce del fiume Beihe.
La corte comincia a sospettare che Lin Zexu abbia esagerato e che gli inglesi abbiano una parte di ragione, perciò l’imperatore decide di trattare e ripristinare i vecchi rapporti commerciali cino-inglesi. Ma i britannici alzando la posta dopo la loro prova di forza, visto che si sono ormai resi conto che la Cina è una tigre di carta: una base commerciale a Hong Kong per sottrarsi alle autorità provinciali di Canton e l’abolizione del sistema di rapporti internazionali basato sul sistema vassallaggio-tributi. Per costringere il governo imperiale ad accettare la flotta inglese occupa il forte di Chuanbi e minaccia Humen, nelle vicinanze di Canton. A questo punto il governatore locale firma la Convenzione di Chuanbi in quattro punti: cessione di Hong Kong, indennità agli inglesi di sei milioni di dollari, rapporti cino-inglesi su basi paritarie, riapertura del porto di Canton. Gli inglesi da parte loro vanno a restituire i forti occupati.
L’imperatore cinese appena sente la notizia si infuria, destituisce il governatore, non approva la Convenzione e invia nuove truppe a Canton per la riscossa. Prevedendo la mossa i britannici hanno però conquistato tutti i forti a difesa della città e si sono fortificati in modo eccellente, sconfiggendo i cinesi e assediando Canton.
Dopo una serie di abboccamenti tra i comandanti cinesi e gli inglesi, l’imperatore manifesta in maniera inequivocabile che vuole ributtare in mare e allontanare dal suo paese tutti i barbari occidentali, ma non ha la forza da far seguire alla sua determinazione. I britannici, al contrario, si sono preparati: fatti giungere rinforzi dall’India occupano Amoy, riprendono Dinghai, conquistano Shanghai e risalgono il fiume Yangzi e arrivano a minacciare il cuore del potere imperiale, che si arrende quando si trova davanti all’ultimatum di un bombardamento su Nanchino.
Quello che deriva da questa prova di forza è il primo dei tanti trattati ineguali che la Cina dovrà subire fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Queste le clausole del cosiddetto Trattato di Nanchino, firmato il 29 agosto del 1842:
1 – pagamento di un’indennità di guerra pari a 21 milioni di dollari;
2 – cessione perpetua di Hong Kong alla corona inglese;
3 – apertura di cinque porti al commercio con la Gran Bretagna (Canton, Fuzhou, Amoy, Ningbo, Shanghai), dove possono risiedere famiglie inglesi con diritto di extraterritorialità e, in caso di crimini, essere giudicati dai propri tribunali consolari e non dalla legge cinese;
4 – corrispondenza ufficiale su basi di parità (rapporti diplomatici sul modello europeo), che mette in luce la debolezza delle pretese universali del Celeste Impero;
5 – tariffe doganali unitarie, che permettono il commercio senza più i dazi precedenti;
6 – clausola della nazione favorita, che permette alla Gran Bretagna di beneficiare di ogni altro diritto che la Cina avrebbe concesso ad altre potenze occidentali.
Il peggio per la Cina fu che l’indebolimento politico e la palese inefficienza militare stimolò la bramosia di Francia e Stati Uniti, che nel 1844 costrinsero la Cina a riconoscere loro gli stessi privilegi concessi alla Gran Bretagna, entrando a loro volta nel teatro cinese.
A causa di questa pesante botta al prestigio imperiale (molte figure di spicco della corte dissero che “Il cielo e la terra erano stati ribaltati”) e alla drammatica situazione economico-sociale derivata dalla prepotente penetrazione commerciale europea, tra il 1850 e il 1864 scoppiò una terribile sollevazione contadina detta di Taiping, che portò quasi al collasso il Celeste Impero, con milioni di morti tra militari e civili.
Nel pieno della rivolta, inglesi e francesi approfittarono di futili motivi (la cattura di un battello cinese registrato in Gran Bretagna che portava avanti azioni di contrabbando d’oppio per i primi e l’uccisione di un missionario per i secondi) per strappare ulteriori concessioni all’agonizzante dominio Qing.
Le forze cinesi, prese nella doppia morsa dell’attacco franco-britannico e della rivolta dei Taiping, non ebbero scampo. Nel dicembre 1857 gli alleati presero Canton e si diressero al nord per aprirsi la strada fino a Pechino. Dopo un tentativo di pace che imponeva pesantissime condizioni al nuovo imperatore Xianfeng, la Cina decise di continuare a resistere. Nel 1859 ci fu una vittoriosa resistenza dei forti di Taku, che ricacciarono ina flottiglia britannica di 21 navi e 2.000 uomini. Le forze inglesi rischiarono l’annientamento e vennero salvate dalla copertura militare offerta dal commodoro statunitense locale, che violava di fatto la neutralità americana al conflitto. Nell’estate successiva una ben più potente flotta di 170 navi, con un esercito congiunto di 18.000 franco-britannici si aprì a suon di cannoni e moschetti la strada fino alla capitale, spazzando via ogni resistenza.
La battaglia decisiva fu combattuta il 21 settembre 1860 sul ponte Baliqiao, ai sobborghi della capitale. Dopo sanguinosi combattimenti la vittoria fu degli occidentali i quali, dopo la fuga dell’imperatore, devastarono l’intera città, mettendo a fuoco il Palazzo d’Estate (Yihe Yuan) e il Vecchio Palazzo d’Estate (Yuan Ming Yuan). Si giunse, così, alla fine del conflitto con la Convenzione di Pechino, siglata il 18 ottobre del 1860.
Questi i nuovi punti:
1 – venivano ceduti agli inglesi l’isola di Stonecutter e la parte meridionale della penisola di Kowloon;
2 – venivano ceduti ai russi (che avevano sostenuto lo sforzo bellico franco-britannico) parte della Manciuria esterna e il controllo sul territorio del fiume Ussuri;
3 – veniva sancita l’apertura al commercio estero di altri undici porti cinesi oltre quelli già stabiliti dal precedente accordo di Nanchino;
4 – veniva sancita la possibilità, da parte dei paesi firmatari, di aprire proprie legazioni a Pechino (fino a quel momento città chiusa);
5 – veniva sancita la possibilità alle navi straniere di navigare liberamente sul fiume Yangtze;
6 – la Cina avrebbe dovuto versare alla Francia e alla Gran Bretagna cospicui indennizzi;
7 – veniva sancito il permesso agli stranieri di accedere alle zone interne del paese per motivi di escursione, commercio o attività missionaria;
8 – veniva sancito l’obbligo per la Cina di legalizzare il commercio d’oppio;
9 – veniva sancito l’obbligo per la Cina a conferire pieni diritti ai cristiani (in particolare la possibilità di avere proprietà nel paese).
Tra il 1861 e il 1866 anche altre nazioni riuscirono ad ottenere questi benefici, sfruttando la debolezza della dinastia imperiale, come la Prussia, la Danimarca, l’Olanda, la Spagna, il Belgio e infine l’Italia.
L’arrendevolezza con cui il governo cinese aveva accettato tutti i diktat europei era dettato principalmente dalla drammatica piega presa dalla rivolta Taiping, che l’imperatore considerava molto più pressante delle concessioni commerciali e territoriali date agli occidentali, ma i semi di odio e umiliazione gettate in un popolo fiero e orgoglioso come quello cinese esplosero alla fine del secolo con la Rivolta dei Boxer, che unì il paese in un’ultima, apocalittica resistenza contro i diavoli bianchi.
Alberto Massaiu
3 Comments
Grazie mille del tuo bellissimo articolo su un argomento di cui sono completamente digiuna. Giustamente hai evidenziato le conseguenze politiche e economiche delle guerre dell oppio ma vorrei sapere che ne è stato dei tosdicomani diffusi a livello a piaga nazionale? Non temeva l Inghilterra che i suoi stessi uomini finissero invischiati nella dipendenza di una sostanza che era a loro sconosciuta, un po come l alcool per gli indiani d America? Perché l inghilterra non ha riversato l oppio anche in Europa che sarebbe stata una facile preda? Infine, direi che i cinesi si sono presi in questi ultimi anni una bella rivincita, ci hanno messo in ginocchio. D’altro canto però i nostri prodotti di lusso sono diventati per i cinesi terribilmente attraenti mentre prima non ci filavano proprio.
Ciao Stefania,
in effetti gli inglesi subirono gli effetti del loro commercio anche all’epoca. La piaga del laudano (un oppiaceo) dato alle donne in tutto il XIX secolo (soprattutto dell’alta società, perché si pensava le tenesse lontane dalle crisi isteriche) le trasformò, in sostanza, in drogate segregate in casa. Molti poeti, artisti, nobili e persino membri della corte in un modo o nell’altro fecero uso dell’oppio, indebolendo la società vittoriana.
Per rispondere alla tua domanda, io penso che ai ricchissimi produttori di oppio poco importasse il destino di migliaia di persone, ancorché fossero loro compatrioti. D’altro canto sono proprio i britannici che hanno inventato il detto “Business is business”, separando il giudizio morale da quello che viene commercializzato per generare profitto.
Ti consiglio la lettura di “Attenti al dragone” di Erik Durschmied, che mostra quanto la Cina sia pericolosa quando non indebolita da problemi interni e fammi sapere che cosa ne pensi.
Alberto
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