La Serenissima Repubblica e la Sublime Porta hanno vissuto quasi tre secoli di un rapporto stretto e burrascoso. Venezia, infatti, è stata la potenza cristiana che ha avuto più a che fare con i turchi, tanto da essere vista con sospetto dalle altre Nazioni europee – con l’unica eccezione della Francia, che con gli ottomani strinse persino alleanza in chiave anti-asburgica più di una volta – come tiepida rispetto alla comune lotta contro la minaccia musulmana.
In verità, la città di San Marco era governata semplicemente da persone pragmatiche, aperte da secoli al confronto con culture diverse e specialmente levantine. La sua fortuna, infatti, era stata fondata sui traffici con Costantinopoli e l’Impero Romano d’Oriente, ma soprattutto sullo sfruttamento del suo collasso dopo il 1204 (ho scritto un articolo che puoi leggere qua), che rese il doge “Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae”, ovvero il “Signore di un quarto e mezzo dell’Impero Romano”, compresi 3/8 della capitale stessa sul Corno d’Oro.
La riscossa portata avanti dai niceni ristabilì una parvenza dell’antico prestigio imperiale, ma Venezia tenne per sé un florido dominio che si allargava ad un numero incalcolabile di piccole isole egee tra cui spiccavano Negroponte (l’antica Eubea) e Creta, oltre che le basi navali nel Peloponneso (all’epoca chiamato Morea) e in Epiro, come Lepanto o Durazzo, oltre che le isole ionie con la fortezza strategica di Corfù.
Il collasso di coloro che in epoca illuminista verranno sprezzantemente definiti “bizantini”, però, aprì la strada alla più grande minaccia che l’Europa moderna dovette affrontare: i turchi ottomani.
Sbarcati per la prima volta a Gallipoli nel 1354, la occuparono definitivamente nel 1377, trasformandola nel trampolino di lancio per l’espansione nei Balcani. Nel 1365 questi spostarono la loro capitale in piena Tracia, nella neo-conquistata Adrianopoli-Edirne, da cui nel 1385 annessero la Bulgaria e nel 1389 spazzarono via i serbi nella celebre battaglia di Kosovo Polje.
I veneziani, che insieme ai genovesi avevano all’epoca i mezzi per limitare le ambizioni ottomane, vista l’assoluta superiorità navale, fecero poco per arginare l’incremento della loro potenza, continuando invece a drenare risorse al sempre più piccolo e dissanguato Impero Romano d’Oriente, ormai limitato alla città di Costantinopoli e agli avamposti in Morea, governati dai despotes di Mistrà.
I nodi vennero al pettine nel 1453, quando Mehmet il Conquistatore pose fine all’agonia dell’ultima vestigia della romanità con i suoi potenti cannoni.
Solo allora, i veneziani si accorsero che con le loro azioni predatorie avevano sostituito in vicino debole con uno potente e aggressivo. Il padişah ottomano, infatti, non poteva accettare le numerose spine del fianco poste dalle basi navali di Venezia nell’Egeo, ormai diventato un lago turco. Nel 1463, perciò, iniziò un lungo e intermittente conflitto in cui la Serenissima si vide soffiare parte del suo Stato da Mar, ovvero Negroponte, le Cicladi, Lemno e le fortezze albanesi di Scutari e Durazzo.
Ottenuta una tregua pagata a peso d’oro nel 1479, la Serenissima riuscì a cogliere un grande successo annettendosi la fiorente isola di Cipro nel 1489, obbligando la sua ultima regina, Caterina Cornaro, a cedere il caposaldo in cambio di un titolo e di una rendita presso Asolo, in Veneto.
I conflitti, però, continuarono. Ogni volta, nonostante la strenua difesa posta dai veneziani, alla pace dovettero cedere qualche città o isola al Gran Turco. Le più gravi perdite in tal senso furono Cipro, la cui epopea portò ai fatti di Lepanto nel 1571, e di Creta, che cadde completamente in mani ottomane dopo un assedio protrattosi per 23 anni, dal 1645 al 1669.
Uno dei protagonisti di quest’ultima, titanica lotta combattuta per terra e per mare sarà l’indiscusso protagonista di questo pezzo, ovvero Francesco Morosini.
La Serenissima, infatti, non aveva digerito di aver perso tutti i suoi avamposti nel levante, escluse le isole ionie, e aspettava il momento giusto per una rivincita. Da sola, ovviamente, non poteva nulla, ma nel 1683 i turchi riuscirono ad offrirle un’occasione di riscatto quando sferrarono il loro ultimo grande assalto alla città di Vienna (puoi approfondire in quest’altro articolo).
Per una volta, i cristiani occidentali fecero fronte comune – Francia esclusa – contro la minaccia, e ottennero una schiacciante vittoria. Il papa Innocenzo XI e il frate cappuccino Marco d’Aviano fecero risorgere la Lega Santa che aveva sconfitto i turchi a Lepanto più di un secolo prima, unendo Spagna, Portogallo, Polonia, le repubbliche di Genova e Venezia, il granducato di Toscana e il ducato di Savoia. Persino la Russia ortodossa si unì al conflitto attaccando i tartari della Crimea.
Venezia, per la prima e unica volta nella sua storia diplomatica con la Sublime Porta, le dichiarò ufficialmente guerra.
L’orgogliosa flotta battente il leone di San Marco prese per l’ennesima volta il mare, mentre vennero preparati degli assalti diversivi in Bosnia e in Albania dalla Dalmazia veneziana. Morosini, comandante in capo della flotta, prese l’isola di Santa Maura e la roccaforte di Corone, che insieme alla vicina Modone erano considerate gli “Occhi di Venezia” nel Peloponneso.
I veneti furono abili a sobillare lo spirito di ribellione e rivalsa dei greco-ortodossi, che si unirono numerosi alle truppe regolari e mercenarie della repubblica, permettendole un’avanzata in Messenia.
Lo Stato Pontificio, i cavalieri di Malta e in genere le potenze italiane inviarono rinforzi navale e terrestri, permettendo la creazione di un vero e proprio esercito di circa 12.000 uomini che venne posto nelle abili mani del generale svedese Otto Wilhelm von Königsmarck.
Nel 1686 le forze della Lega Santa avanzarono verso Nauplia, conosciuta all’epoca come Napoli di Romania, che vantava la più imponente e importante fortezza dell’intera regione. La guarnigione resistette fiduciosa dei rinforzi in arrivo dalla Tessaglia, ma il governatore İsmail Paşa venne sconfitto il 29 agosto con i suoi 7.000 uomini presso Argo, e dovette ritirarsi a Corinto lasciando campo libero agli alleati.
Messi all’angolo, i turchi si videro assediati nelle ultime piazzeforti della Morea l’anno successivo. Ahmed Paşa, che aveva sostituito il precedente generale in loco, poco poté contro le combinate forze terrestri e navali di Venezia, che presero Patrasso, le fortificazioni dello Stretto di Corinto di Rion e di Antirion e perfino Lepanto, luogo simbolico in quanto legato all’antica vittoria contro la Sublime Porta.
Fu tale la gioia per quelle vittorie che il Senato veneto decise di concedere, come al tempo degli antichi romani, il titolo di “Peloponnesiaco” a Francesco Morosini, oltre che la dedica di una statua di bronzo con le insegne da condottiero vittorioso.
A suggellare e confermare questi onori, Morosini e Königsmarck presero in quelle settimane gli ultimi brandelli di dominio turco nella regione, ovvero l’antico capoluogo dei despotes romani, Mistrà, e Corinto. Nell’intero Peloponneso resisteva in mano musulmana solo l’isolato e inoffensivo forte di Melvasia, che capitolò anch’esso nel 1690.
Seguendo l’adagio del “battere il ferro finché è caldo”, i due comandanti spinsero la loro offensiva verso la Grecia centrale, entrando in Attica e assediando Atene.
In appena sei giorni la gloriosa, seppur ormai decaduta e marginale città, venne presa. L’operazione, però, oltre che diverse vite umane costò tanto all’arte. I turchi, infatti, demolirono gran parte del tempio di Atena Nike per costruirvi un ridotto difensivo, mentre il 26 settembre un artigliere tedesco fece esplodere con un preciso colpo di mortaio la polveriera ottomana dentro il Partenone, scoperchiando il tetto e annientato il naos, fino ad allora sopravvissuto al passare dei secoli.
Si dice, ma forse è una leggenda, che quando Venezia si scusò per l’accaduto con le autorità turche (anche se in guerra si cercava di mantenere comunque, di solito, un certo aplomb diplomatico), il rude Morosini sbottò: “Ma quali scuse? Se l’ho abbattuto alla prima bordata!”.
Ad ogni modo i turchi erano ormai pronti alla controffensiva e seppero, entro la primavera dell’anno successivo, a riprendere la città, complice una ondata di peste e la defezione di alcuni reparti mercenari. Nell’estate del 1688 Morosini tentò l’ultimo colpo di mano, sbarcando 23.000 tra soldati e marinai a Negroponte, con l’idea di riannettere l’isola allo Stato da Mar.
La recrudescenza dell’epidemia e la resistenza turca costarono agli alleati ben 9.000 morti, compreso l’abile Königsmarck, costringendo Morosini ad una ritirata dopo quattro mesi di lotta.
Nel frattempo i veneziani avevano ottenuto varie vittorie in Dalmazia, occupando Signo e Cattaro, arrivando fin quasi a Ragusa, repubblica italiana vassalla della Sublime Porta.
La riscossa ottomana, però, era alle porte. Venezia, infatti, rappresentava solo una minaccia secondaria per Costantinopoli, che aveva per tutto il tempo concentrato le sue risorse contro la ben più pericolosa offensiva in Ungheria mossa dagli Habsburg di Vienna. Le cose si stavano stabilizzando nel nord, perciò i turchi incaricarono il pirata greco rinnegato Liberakis Gerakaris di condurre una guerra di attrito contro i veneziani, per prendere tempo fino a che non avrebbero avuto i numeri per schiacciarli del tutto.
Questi divenne negli anni successivi l’incubo di Morosini, attaccando con i suoi predoni e navi corsare ogni punto debole delle linee difensive veneziane. Il grande generale morì nel 1694 a Nauplia, ma anche Gerakaris venne catturato e incarcerato a Brescia nel 1696.
Nel 1692 le forze navali della Serenissima provarono a prendere Valona e persino Creta, ma con scarso risultato. Questo portò i turchi a tentare il recupero della Morea, ma vennero sconfitti dal nuovo generale tedesco Steinau e respinti fino a Tebe. La guerra, ormai, aveva esaurito tutti i contendenti, perciò anche gli scontri navali che si avvicendarono presso Lesbo, Andros, Lemno e Samotracia non risultarono decisivi per alcuno dei contendenti, conducendo alle trattative di pace di Carlowitz.
Questa, firmata nel 1699, stabilì il netto reflusso della potenza ottomana in Europa orientale.
L’Austria, infatti, incamerava quasi tutta l’Ungheria, la Transilvania, la Croazia e la Slavonia, la Polonia grandi parti delle attuali Ucraina e Moldavia e la Russia Azov, sul Mar Nero.
Venezia, invece, venne ingrandita di quello che venne ribattezzato come “Regno della Morea”, godette di aggiustamenti confinari favorevoli in Dalmazia e si poté annettere le isole di Santa Maura ed Egina, quest’ultima davanti all’Attica.
Il Peloponneso fu oggetto di grande cura per la Repubblica, in quanto dotato di ben 1459 tra borghi, città e villaggi. Dalla sua capitale, Nauplia, la Serenissima lavorò alacremente per incrementare la popolazione (che nel 1708 raggiunse le 250.000 anime) e le entrate fiscali.
Ad ogni modo, passata la comune necessità di lotta contro i musulmani, i nativi greco ortodossi iniziarono a vedere con sospetto il sistema di tassazione veneto e soprattutto i suoi continui tentativi di incentivare il rito cattolico. Nonostante fossero passati secoli, gli eredi dei romani d’oriente ancora ricordavano che era a causa dei latini che avevano perso la loro libertà contro i turchi.
Per questi motivi, come beffa del destino, tutta la fatica fatta in oltre dieci anni di conflitto venne vanificata dall’ultima guerra tra Venezia e la Sublime porta, che ebbe luogo tra il 1714 e il 1718, in cui la Morea e tutte le acquisizioni fatte, tranne pochissime eccezioni, capitolarono senza opporre molta resistenza.
Da quel momento, e per tutti i pochi decenni che le riservava da vivere il tempo della storia, la Serenissima mantenne una stretta neutralità, puntando a preservare il poco che le era rimasto tramite un saggio uso della diplomazia.
E tale stato di cose sarebbe proseguito se non fosse stato travolto dalle ambizioni di gloria di Napoleone.
Alberto Massaiu
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