La Repubblica Araba Unita (RAU), United Arab Republic in inglese (UAR) o ancora al-Jumhūriyya al-ʿArabiyya al-Muttaḥida in arabo, fu un breve ma significativo esperimento portato avanti dal presidente egiziano Gamāl ʿAbd al-Nāṣer tra il 1958 e il 1961.
Nello specifico va ad identificare l’unione tra l’Egitto, la Siria e parte dello Yemen che, se fosse sopravvissuta alle vicende politiche che andremo a scoprire assieme, ora sarebbe per estensione la 25° Nazione al mondo, con una superficie di 1.166.049 km2, pari a due volte la Francia.
La sia nascita ebbe luogo nel contesto dei fenomeni di pan-arabismo sviluppatisi in seguito al secondo conflitto mondiale e, soprattutto, con l’ascesa di Nāṣer in Egitto e la sua lotta contro Israele, Gran Bretagna e Francia per la nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956. La sua insperata vittoria politico-strategica, nonostante la débâcle militare (l’alleanza franco-britannico-israeliana travolse i soldati egiziani sul campo), lo fece diventare in quegli anni il grande eroe del mondo arabo, coagulando sotto di lui le speranze d’indipendenza di molti mediorientali.
L’unione tra i due paesi fu fortemente voluta dal partito Ba’th siriano e dai suoi alleati, terrorizzati dall’avanzata delle forze comuniste nel paese, che minacciavano di vincere le elezioni e aggiudicarsi il potere a Damasco. Perciò si rivolsero a Nāṣer, cercando in una sua forte leadership la soluzione ai loro problemi interni.
Vi erano, inoltre, ragioni di natura storico-romantica nel progetto. Nel Medioevo, infatti, il più grande e carismatico sovrano musulmano, il curdo Ṣalāḥ ad-Dīn, aveva creato un potente regno che, dalle due capitali del Cairo e di Damasco aveva riconquistato Gerusalemme – all’epoca in mano ai crociati – e recuperato gran parte della Palestina all’Islām, fondando un potente impero che andava dalla Mesopotamia alla Nubia, compresi i luoghi santi di Medina e La Mecca.
Lo stemma stesso della RAU era composto, difatti, dalla cosiddetta “aquila di Saladino” – nasr Ṣalāḥ al-Dīn – o anche “aquila ayyubide”, con al centro uno scudo tricolore nero-bianco-rosso e due stelle verdi, ad indicare i due paesi che si erano uniti per rifondare simbolicamente l’antico Stato del grande condottiero.
La Repubblica Araba Unita nacque ufficialmente il 1º febbraio 1958 ma ben presto i siriani si accorsero di essere caduti dalla padella alla brace. Nāṣer, infatti, non si fidava degli uomini che lo avevano portato al potere in Siria e insediò fin da subito egiziani al vertice di ogni ministero e organo del nuovo Stato con una proporzione di 3 o 4 a 1. I termini del leader egiziano alla fusione erano stati definitivi e non negoziabili: un plebiscito che sancisse l’unione tra i due paesi, la dissoluzione di tutti i partiti siriani – compreso quello Ba’th che lo aveva chiamato in aiuto – e il totale abbandono da parte dei vertici delle forze armate alla vita politica del paese.
Appena eletto presidente della nuova repubblica, Nāṣer promulgò una costituzione in cui il paese avrebbe avuto un’assemblea nazionale di 600 membri, di qui 2/3 provenienti dall’Egitto e 1/3 dalla Siria, con due vicepresidenti per le due macro-regioni che risultavano separate geograficamente tra loro da Israele, Libano e Giordania. Tutti e tre i paesi videro ovviamente questa nuova entità statuale come una minaccia alla loro libertà, sicurezza e integrità territoriale – in Libano il fronte si spaccava con i drusi e i musulmani favorevoli ad entrare nella RAU, mentre i cristiano-maroniti e i greco-ortodossi fortemente contrari, mentre la Giordania propose all’Iraq di unirsi in una confederazione militare per bilanciare l’espansionismo nasseriano.
Ma il pericolo era più sulla carta che nel concreto. Il disegno napoleonico del presidente egiziano stava già naufragando a causa del suo eccessivo affidamento sui suoi connazionali a svantaggio dei siriani, che si accorsero ben presto di non essere più padroni a casa loro.
Tutto questo portò la popolarità di Nāṣer a sprofondare rapidamente, mentre si rafforzavano le voci in aperto contrasto con la sua leadership. I militari siriani, che mal avevano sopportato la loro estromissione dalle decisioni politiche del paese e ancor meno gradivano di dipendere da ufficiali superiori egiziani, mordevano il freno, mentre l’Arabia Saudita – nemica di Nāṣer a causa dello Yemen, spaccato da una guerra civile tra chi voleva entrate nella RAU e chi voleva rimanere nell’orbita di Riyad – finanziava le tribù beduine della Siria affinché osteggiassero la politica del presidente.
Il 15 luglio del 1958 marines degli Stati Uniti e forze speciali britanniche si posizionarono in Libano e Giordania per evitare che forze filo-nasseriane tentassero colpi di Stato che portassero ad un’eventuale unione con la RAU. In Iraq, dove era caduta la monarchia in seguito ad un coup d’état militare, si discusse sulla fusione con Damasco e il Cairo, ma il nuovo primo ministro Abdel Karim Qasim si oppose fermamente, facendo fallire il progetto nel 1959.
Il progetto di confederare i tre paesi rimase vivo fino al 1963 e venne perfino ideata una bandiera con tre stelle verdi al posto delle due iniziali, ma non si andò mai oltre la mera trattativa generale.
Nel frattempo, invece, si aggravava la politica di forti nazionalizzazioni voluta da Nāṣer tra il 1960 e il 1961, che cercava di potenziare il settore pubblico in Siria, rendendolo più simile all’Egitto. Il problema fu che, per l’ennesima volta, tutto fu deciso al Cairo senza consultare i ministri, i deputati e gli economisti siriani. Il presidente annunciò la nazionalizzazione di banche, assicurazioni e industrie, oltre che l’avvio di una radicale riforma terriera e un potenziamento dei diritti sindacali dei lavoratori in chiave socialista.
I siriani, ormai, avevano ben chiaro di essere diventati una mera succursale dell’Egitto e della volontà del suo leader accentratore. Stufi, i militari di Damasco organizzarono un colpo di Stato il 28 settembre del 1961, che dopo appena due anni e mezzo mise fine al sogno della RAU.
I generali siriani proclamarono la rinata indipendenza del loro paese, a meno che Nāṣer non si fosse posto nella condizione di rivedere profondamente i termini della loro unione sulla base di un bilanciamento dei poteri tra Damasco e il Cairo. Il presidente rifiutò tali termini ma, dopo aver valutato l’eventualità di un’invasione della Siria per rovesciare il nuovo regime, alla fine si convinse ad abbandonare il rischioso progetto che poteva portarlo a rovinare l’opinione che il mondo arabo aveva di lui.
Ad ogni modo Nāṣer non si rassegnò mai del tutto al suo sogno panarabo, mantenendo formalmente il titolo di “Repubblica Araba Unita” per l’Egitto, e la relativa bandiera, fino al 1971.
Ironicamente, dal 1963 anche la Siria riadottò la comune bandiera ideata per la RAU come stendardo nazionale e per dieci anni i due paesi, pur non più uniti, condivisero il vessillo comune.
La parola fine a questa contraddittoria situazione giunse per l’Egitto nel 1972, quando adottò il nome di Repubblica Araba d’Egitto con una nuova bandiera.
La Siria, invece, ha paradossalmente mantenuto il simbolo dell’antica unione, che ancora garrisce, come uno dei tanti strani scherzi che talvolta fa la storia, sugli edifici pubblici del paese che pose fine a quella Repubblica Araba Unita di cui era stato il vessillo.
Alberto Massaiu
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