In genere non sono il tipo che passa i pomeriggi a riguardare le vecchie foto dei posti dove è stato per immergersi in quel torpore di triste e dolce nostalgia. Ad ogni modo solo gli stupidi vivono di assoluti e io, in questo caso, ho quindi fatto uno strappo alla regola.
Mi sono infatti ritrovato, riordinando i file delle mie cartelle che, tra lavoro, hobby di scrittura e altri lavori stanno diventando sempre più caotiche e ingovernabili, a lasciar vagare lo sguardo sulla sezione viaggi. Un anno fa ho fatto una splendida esperienza lavorando e viaggiando per la Nuova Zelanda, un posto a 18.000 chilometri circa dai nostri lidi in un’esperienza spettacolare e avvincente. A parte tantissimi ricordi e centinaia di foto mi sono ritrovato anche una sorta di diario di viaggio che, nei miei propositi doveva essere come quei vecchi taccuini che i grandi viaggiatori dell’ottocento si portavano appresso in luoghi esotici e sperduti come memento delle loro avventure e suggestioni.
Ho deciso di riesumare il tutto, quasi parola per parola, con solo qualche piccola correzione di forma, con l’intento di far rivivere il me stesso di un anno fa. A me ha fatto una certa impressione, tanto da volerla riprodurre qui. Vi lascio al primo capitolo, l’introduzione generale al mio diario di viaggio neozelandese. Buona lettura.
Prime impressioni su Aotearoa, 21 dicembre 2013, inizio dell’estate.
“I maori, primo popolo che ha colonizzato queste remote isole sperdute al di là di quella grande isola-continente che è l’Australia e distanti poco più di tremila chilometri dal Polo Antartico, hanno chiamato la terra da loro coraggiosamente scoperta Aotearoa. Nella loro lingua vuol dire “terra della lunga nuvola bianca” e direi che il nome è più che appropriato visto che, in queste prime tre settimane da quando sono atterrato ad Auckland dopo un viaggio di trenta ore tra Roma, Shanghai e Hong Kong, ho visto parecchie giornate estive guastate da cieli adombrati e piogge battenti. A parte gli scherzi il mito narra che i primi leggendari esploratori polinesiani che navigarono senza meta precisa a sud dell’Australia – alla fine di lunghissimo processo migratorio iniziato almeno duemila anni prima – avvistarono per prima cosa una lunga nuvola bianca che si stagliava sopra una sottile linea verde. Il grido “He ao, he ao tea, he ao te roa!” significa difatti nel loro idioma “Vedo una nuvola, una nuvola bianca, una lunga nuvola bianca!”.
In quanto al clima invece ho riscontrato una certa analogia con le estati inglesi e irlandesi, dovuta all’imprevedibilità del tempo, per quanto naturalmente qui gli inverni siano molto meno rigidi. I kiwi dicono che in Nuova Zelanda si possono avere tutte e quattro le stagioni in un solo giorno e io ho scoperto sulla mia pelle che non è un’esagerazione. Sono venuto anche a sapere che la Nuova Zelanda viene considerata l’Inghilterra del Sud e molti dei suoi abitanti si sentono ancora in buona parte legati alla lontana madrepatria, tanto da mantenere ancora la vecchia bandiera coloniale con l’Union Jack piuttosto che adottare l’orgoglioso emblema della loro nazionale di rugby, i famosi All Balcks, ovvero una foglia di felce bianca in campo nero. In tutta sincerità sono contento della cosa, in quanto una cosa è un gagliardetto sportivo, un’altra è la bandiera nazionale, che deve esprimere una serietà che sinceramente la felce bianca non può rappresentare pienamente.
I maori sono arrivati in Nuova Zelanda mentre noi eravamo nel pieno del nostro medioevo, all’interno delle loro grandi waka, le canoe tribali adatte anche alla navigazione oceanica. Portavano con loro alcuni animali e le famose patate dolci polinesiane che rimangono ancora oggi un piatto tipico della loro cucina (e anche di quella dei bianchi, che loro chiamano pakeha).
Questo popolo tribale è molto affascinante, anche se fondamentalmente condivide molti punti in comune con quasi tutti i gruppi tribali del passato. Un forte senso di appartenenza alla famiglia e al clan, un culto degli antenati (mi è rimasta molto impressa una formula di buon augurio: “cammina sulle orme di coloro che sono venuti prima di noi”) e un sistema religioso basato sulle classiche divinità di stampo animista.
Le loro credenze ancestrali infatti partono dal concetto che in principio ci fosse solo il vuoto, ma poi vennero Rangi-nui, il padre celeste, e Papa-tu-a-nuku, la madre terra, che unendosi generarono vari figli. Uno di loro, Tane-mahuta, dio delle foreste e dell’umanità, decise di separare i genitori in modo da dare spazio al creato.
Ma il dio più importante per la Nuova Zelanda è chiaramente Maui, un semidio famoso per la sua abilità di pescatore. Questi utilizzò l’isola meridionale come una gigantesca waka e pescò un pesce gigantesco detto Te Ika a Maui, ovvero il pesce di Maui, che diventò l’isola settentrionale.
Al di là delle affascinanti leggende i maori sono sempre stati un popolo molto fiero e bellicoso. Sempre in guerra una contro l’altra, le tribù non si unirono mai sotto un’unica bandiera manco quando arrivarono gli europei.
Il primo fu Abel Tasman, un esploratore olandese che aveva già dato il nome alla Tasmania, una terra a sud dell’Australia. Questi viaggiò ancora più a meridione e, paradossalmente, approdò nell’isola settentrionale della Nuova Zelanda nel 1643. Purtroppo per lui non seppe rispondere correttamente alla Teka, ovvero l’offerta di pace che i maori utilizzano per capire se gli stranieri vengono in pace o in guerra da loro. Inutile dire come andarono le cose, basta chiarire il punto che ora la Nuova Zelanda non è una ex colonia olandese bensì una inglese. Dell’Olanda rimase solo il nome, in quanto la Zeeland è una regione olandese e, come spesso accadde in quegli anni, gli avventurieri non si distinguevano per l’originalità e Tasman si limitò a segnare quell’isola piena zeppa di gente ostile e battagliera come Niew Zeeland, che rimase poi nella toponomastica anglosassone quando Cook arrivò ad esplorare un secolo dopo quelle lontane terre.
Lui mostrò a quanto pare un maggior tatto con i nativi e gli inglesi fondarono un nucleo di colonia che un secolo dopo avrebbe portato il loro dominio su tutto il paese.
Nel 1840 questo dominio venne ufficializzato col Trattato di Waitangi, che ancora ora è una delle fonti costituzionali del diritto neozelandese e che regola i rapporti tra i maori e i pakeha, ovvero i coloni bianchi. Dopo Waitangi i britannici presero via via il pieno possesso di tutto il paese, sottraendo le terre alle tribù in sanguinose e violente guerre. I maori offrirono una fiera resistenza, ma le loro lotte intestine e l’incapacità ad unirsi sotto un’unica bandiera li portò ad un’inevitabile disfatta.”
Eccoci qua, queste sono state le prime pagine del mio diario di viaggio, se avrete la pazienza di seguirmi avremo modo di vedere il resto nei prossimi capitoli. D’ora in poi si viaggerà per la Nuova Zelanda, attraverso le tappe del Kiwi Experience che ho intrapreso per tutto il febbraio del 2014. Kia Ora!
Alberto Massaiu
1 Comment
Grandi emozioni