Le due guerre anglo boere sono per molti versi un tipico conflitto coloniale, ma si differenziano rispetto agli altri perché videro contrapporsi genti nordiche dall’una e dall’altra parte, entrambe “invasori”, sebbene in periodi diversi, delle terre contese.
I boeri (o meglio dire trek-boer, che in lingua olandese vuol dire migranti-contadini) erano i discendenti dei primi coloni olandesi e franco-ugonotti che si erano stanziati nella cosiddetta Colonia del Capo alla fine del XVII secolo. Di fede calvinista, queste genti dure e realiste avevano una visione di Dio molto vecchio-testamentaria e allo stesso tempo ricercavano un’indipendenza totale dall’autorità politica che li aveva vessati in Europa. Per questo motivo erano refrattari a qualsiasi governo coloniale e, soprattutto, a qualsiasi tassa o imposizione dettata da un governo – o peggio da un sovrano – lontano.
Questo stato di cose non portò a grandi problemi fino a quando la colonia rimase nelle mani degli olandesi, alla fine abbastanza deboli e paghi di poter usufruire di un porto sicuro da cui commerciare attraverso la VOC, la Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie o Compagnia Olandese delle Indie Orientali.
Tutto cambiò in seguito agli sconvolgimenti geopolitici dell’epoca napoleonica. Il generale e poi imperatore Bonaparte invase e annesse l’Olanda – oltre che quasi tutto il resto d’Europa – e gli inglesi si mossero a loro volta per occupare le colonie strategiche dei paesi sottomessi dai francesi sul continente. Uno di questi fu la Colonia del Capo, che nel 1806 passò nelle mani britanniche.
Le leggi inglesi, nate da un impero molto più potente e accentratore dell’Olanda, entrarono subito in conflitto con i coloni boeri, che si videro minacciati nella loro libertà un po’ come i sudisti americani prima della Guerra di Secessione.
Va detto che i boeri avevano una visione del mondo che perfino agli occhi di molti contemporanei era eccessivamente razzista. Il loro credo religioso era autoritario e intollerante e li metteva in una condizione infinitamente superiore alle altre razze negre – parole loro, non mie – che avevano popolato quelle terre fin dalla notte dei tempi. I boeri, di fatto, praticavano la schiavitù e non si facevano troppi scrupoli ad abusare della loro posizione di forza, cosa che li metteva in continuo attrito con le più potenti tribù africane del Sud Africa come gli zulù.
Nel 1834 la Gran Bretagna emanò una legge che proclamava l’emancipazione di tutti gli schiavi dell’impero, stabilendo un criterio di compensazione economica per la loro liberazione che venne giudicato inadeguato dai boeri.
Questa situazione, unita all’arrivo di governatori, militari e tasse da Londra, convinse i coloni che era necessario andarsene. Questa epopea, chiamata die Groot Trek o la Grande Marcia, portò tra il 1830 e il 1850 12.000 boeri a nord e ad est della Colonia del Capo, al di là del fiume Orange e del fiume Vaal. I britannici non digerirono il fatto che migliaia di sudditi avessero abbandonato la loro giurisdizione e con un tratto di penna estesero la loro colonia anche alle terre appena occupate dai voortrekkers (parola che in lingua afrikaans significa letteralmente “coloro che vanno avanti”, traducibile in pionieri).
Tra il 1842 e il 1848 le truppe britanniche ebbero diversi scontri con i boeri che, disuniti e indisciplinati, vennero sconfitti a Port Natal, Zwartkopijes e Boomplaats. Ad ogni modo parve che la fortuna arridesse a questi ultimi perché il governo britannico, alle prese con problemi geopolitici ben maggiori ai quattro angoli del globo, decise che le povere terre al di là del Capo non meritassero lo spreco di uomini e denaro, perciò si decise a concedere, con la Convenzione di Sand River del 1852, la tanto sospirata indipendenza ai boeri.
Il Transvaal, letteralmente al di là del fiume Vaal, divenne la Zuid-Afrikaansche Republiek o Repubblica Sudafricana che a sud confinava con l’altro Stato boero dell’Oranje Vrystaat o Stato Libero dell’Orange a cui si aggiunse, per una breve parentesi tra il 1882 e il 1885, la Repubblica dello Stellaland.
Sembrava che le cose potessero andare a posto così, con entrambe le parti soddisfatte, ma tra il 1850 e il 1870 in Transvaal vennero scoperti i diamanti in quantità mai viste prima e l’avidità della potenza britannica fu indirizzata di nuovo in quelle zone selvagge.
Il Colonial Office, il Ministero delle Colonie, sotto la guida di Lord Carnavon iniziò a gettar giù un piano per riunire sotto la giurisdizione inglese tutte le repubbliche boere e i potentati africani della regione in una Confederazione Sudafricana che sarebbe diventata una ricca e potente colonia britannica.
Il primo passo fu l’annessione del Transvaal, Stato fallito per debiti nel 1876 e in piena crisi istituzionale, alla Colonia del Capo. Nel 1877 il governo di Londra nominò un commissario speciale che giunse a Pretoria, la capitale della Repubblica Sudafricana, e vi innalzò la Union Jack mandando in pensione l’ultimo presidente Burgers.
Il secondo passo fu la guerra contro gli zulù, il più potente e militarizzato Stato africano indigeno della regione. Gli zulù erano all’apogeo della loro potenza, con un’armata di oltre 40.000 guerrieri che si era imposta su tutte le altre tribù della regione. L’obiettivo del loro sovrano, Cetshwayo, era quello di modernizzare il suo paese e di metterlo al sicuro delle mire dei bianchi, boeri o inglesi che fossero.
Nel 1878-1879, con una campagna di sette mesi, i britannici ebbero la meglio sugli zulù, seppur dopo aver subito qualche rovescio iniziale dovuto alla sottovalutazione delle forze e della volontà di questo popolo fiero e battagliero. A questo punto, eliminata la minaccia indigena, inglesi e boeri vennero alla resa dei conti.
Sir Garnet Wolseley, vincitore della guerra e fresco di nomina come Governatore del Natal e del Transvaal ed Alto Commissario per il Sud Africa, espresse in maniera adamantina il suo pensiero con queste parole: “Finché il sole splenderà, il Transvaal rimarrà territorio britannico”.
Peccato che alle altisonanti parole non seguisse un progetto politico-militare preciso e in pochi mesi Wolseley tornò in Inghilterra e con lui partirono molti dei veterani del conflitto appena concluso, lasciando sguarnito un territorio immenso e con una popolazione che serbava molto rancore sotto le ceneri.
Nel novembre 1880 un boero di nome Piet Bezuidenhout vide prevaricati i suoi diritti per l’ennesima volta e per una questione di tasse – gli inglesi non avevano imparato molto dalla lezione delle Colonie Americane – il proverbiale vaso andò a traboccare: 4.000 boeri si riunirono a Paardekraal e decisero di restaurare una Repubblica Sudafricana libera dal giogo britannico, elessero un triumvirato a loro guida – Paul Kruger, Piet Joubert e Marthinus Pretorious – e decisero di affidare la loro sorte a Dio e alla forza delle armi.
La prima guerra boera non era stata pianificata né desiderata dagli inglesi, ma allo stesso tempo era stata da questi causata con la loro superbia e superficialità. La riprova migliore di questo fatto è che, mentre inasprivano il loro controllo autoritario sui coloni olandesi, allo stesso tempo ritiravano i migliori reparti per spostarli in nuovi scenari. Così facendo le forze imperiali nella regione assommavano a circa 5.000 uomini, con pochissima cavalleria e artiglieria. I boeri, dal canto loro, non avevano un esercito convenzionale, ma piuttosto dei cittadini armati, una sorta di milizia.
Ogni boero adulto era nato e cresciuto a cavallo ed era un ottimo tiratore, allenato alla dura scuola del selvaggio territorio africano e alle continue razzie di confine con potenti e bellicose tribù native. Era il perfetto precursore del guerrigliero mordi e fuggi, pragmatico, attaccato alla pelle, refrattario alla disciplina ma duro e coraggioso. Insomma l’esatto opposto delle truppe britanniche, addestrate ad andare in battaglia in giubba rossa, formazione chiusa e bandiere al vento, a sparare tutti assieme agli ordini dei loro ufficiali e a rispettare una rigidissima gerarchia di comando.
Questo conflitto mise in nudo l’impreparazione e gli errori di calcolo del più grande impero della terra, che sottostimò le forze e la volontà di resistere dei coloni. Le poche forze britanniche erano sparpagliate su di un immenso territorio e vennero attaccate dappertutto con una tattica che non erano abituate a fronteggiare.
A Bronkhorstspruit una colonna di 260 uomini venne sorpresa in campo aperto dai boeri. Fu la classica imboscata perfetta, dove al riparo di una linea di alberi spinosi i commandos aprirono un fuoco micidiale che mise fuori combattimento più della metà dei soldati e costrinse i restanti ad arrendersi per evitare il totale annientamento.
Nei giorni seguenti gli inglesi sottovalutarono il problema e inviarono una esigua spedizione comandata da George Pomeroy Colley per ripristinare l’ordine, ma anche questi soldati furono intercettati e sconfitti a Laing’s Nek e a Schuinshoogte. In tutti i casi le truppe imperiali avevano marciato e caricato in perfetto ordine, con linee rosse – bersagli perfetti – in bella vista, facendosi massacrare dal preciso fuoco boero, che sceglieva sempre posizioni ben difendibili come colline o avvallamenti dove proteggersi e giocare al tiro al bersaglio. L’orgoglio e la disciplina inglese non seppe adattarsi a questa innovazione tattica e si intestardiva a perseverare nell’errore, portando al sacrificio eroici soldati.
Colley tentò un’ultima, disperata operazione a Majuba, dove le residue forze britanniche vennero circondate e attaccate dai boeri che, guadagnata ormai fiducia e ben consapevoli che una netta vittoria avrebbe costretto l’impero a trattare, si fecero sotto e sbaragliarono il nemico. Il comandante inglese stesso cadde sul campo con più della metà dei suoi soldati, mentre i boeri ebbero solo un morto e sei feriti.
Per l’esercito britannico fu un affronto intollerabile, un onta da vendicare, ma il Primo Ministro Gladstone ne aveva abbastanza della guerra e, nonostante anche la Regina Vittoria fosse favorevole a continuare il conflitto, decise di firmare un armistizio e poi la pace, concedendo al Transvaal una semi-indipendenza.
Il più grande impero del mondo era stato così sconfitto da una piccola, neonata repubblica priva di esercito permanente e la stampa vittoriana la definì amaramente “Una miserevole fine per una miserevole guerra”. Ma nessuno dimenticò e per quasi vent’anni l’esercito covò sotto le ceneri la volontà di rivalsa: nel 1899, quando scoppiò il secondo conflitto tra i due paesi, gli ufficiali incitarono i loro uomini al grido “Remember Majuba!”, ricordatevi di Majuba.
La pace, difatti, rimase fragile fino alla nuova guerra. Nel 1886 vennero scoperti dei giganteschi giacimenti di oro nel Witwatersrand e in breve tempo il Transvaal ne divenne il primo produttore al mondo e la nazione più ricca della regione. A questo punto, attratti dalla prospettiva di una facile fortuna, vi fu un continuo e massiccio afflusso di immigrati principalmente britannici nella repubblica boera. In pochi anni i cosiddetti uitlanders, gli stranieri, divennero la maggioranza della popolazione del Transvaal e superarono numericamente i boeri, assunsero la gestione delle miniere e fondarono la nuova città di Johannesburg, la capitale mondiale dell’oro in continua espansione.
I giacimenti consentirono enormi guadagni alle compagnie capitalistiche britanniche che controllavano le miniere. In Sud Africa queste società monopolistiche ricevettero potenti appoggi politici dal Primo Ministro britannico del Capo, lo spregiudicato e ambizioso miliardario dei diamanti Cecil Rhodes, che aveva il sogno di unificare tutti i domini britannici africani dall’Egitto fino al Capo di Buona Speranza. I suoi cinici e spicci metodi da avventuriero avevano permesso al governo di Sua Maestà di guadagnare nuove colonie a nord dei territori boeri, terre che hanno immortalato il suo nome nella storia visto che per tanto tempo vennero chiamate Rhodesia in suo onore.
Ad ogni modo il presidente del Transvaal Paul Kruger considerava con crescente preoccupazione il continuo arrivo degli uitlanders nella repubblica boera. Certo, questi producevano l’immensa ricchezza che grazie ai pesanti diritti di estrazione garantiva un roseo futuro al suo paese, ma al tempo stesso il loro incontrollato afflusso rischiava di minare la coesione nazionale e di togliere il predominio politico boero sulla repubblica.
Kruger e i nazionalisti afrikaner si rifiutarono di concedere i pieni diritti politici agli uitlanders che, pur essendo maggioranza nella popolazione bianca, non ottenevano, sulla base di una legge restrittiva sul suffragio promulgata nel 1888, il diritto di voto se non dopo quindici anni di residenza.
Nel 1895 Cecil Rhodes ritenne giunto il momento di organizzare un colpo di forza per scuotere la solidità della Repubblica del Transvaal e favorirne l’annessione all’Impero Britannico. Rhodes era in contatto con i capitalisti del Witwatersand, stufi di pagare le pesanti imposte estrattive al governo boero e godeva del tacito appoggio del Ministro delle Colonie britannico Joseph Chamberlain. I piani di Rhodes prevedevano di provocare una sollevazione dei coloni uitlander attraverso un’audace incursione di una improvvisata colonna mobile guidata da Leander Starr Jameson e da alcuni ufficiali britannici.
La spedizione di Jameson si concluse con un disastro e portò alla rielezione di Kruger e all’irrigidimento delle posizioni boere più nazionaliste, Rhodes fu costretto a dimettersi e anche la poltrona di Chamberlain scricchiolò, mentre i tedeschi inviarono una lettera di felicitazioni e di sostegno al Transvaal, nella speranza di avvicinarlo alla loro politica coloniale nella regione, dove si stavano formando le prime colonie germaniche.
Quest’ultima cosa fece precipitare le cose e nel 1897 sbarcò nella Colonia del Capo Alfred Milner, che aveva come obiettivo politico di causare una crisi che portasse alla guerra finale e alla scomparsa, manu militari, delle repubbliche boere del Transvaal e dell’Orange.
Milner sfruttò abilmente il problema tra i boeri e gli uitlander di origine britannica per seminare zizzania e preparare l’opinione pubblica e il governo al conflitto, culminato nel famoso “Dispaccio degli iloti”, in cui paragonava gli uitlander agli iloti di Sparta.
Il 9 maggio 1899 si riunì a Londra il governo britannico che prese le decisioni definitive. Il gabinetto, su pressione del ministro delle Colonie Chamberlain e di Milner, proponeva di appoggiare politicamente le rivendicazioni degli uitlander, di sostenere la politica aggressiva dell’alto commissario e di stringere nella morsa Kruger per fargli abbassare la cresta.
Grazie al sostegno in patria Milner poté far saltare in aria la conferenza di Bloemfontein esasperando Kruger, che era in cerca di un accordo, facendo finire il tutto senza un nulla di fatto e confermando al presidente boero che i britannici non volevano trattare se non da una posizione di forza. Entrambe le posizioni si irrigidirono sempre di più e la crisi diplomatica si aggravava giorno dopo giorno e nel settembre 1899 venne deciso di inviare in Sud Africa 10.000 soldati di rinforzo con contingenti provenienti principalmente dall’India e reggimenti stanziati ad Alessandria, Cipro e Creta. Vennero inoltre pianificate le prime misure organizzative per la mobilitazione e il trasferimento del I corpo d’armata che, al comando del generale Buller, avrebbe dovuto sferrare una grande offensiva decisiva invadendo le repubbliche boere.
Dal 2 settembre Paul Kruger aveva compreso che, nonostante le sue concessioni, la guerra con l’Impero Britannico era ormai inevitabile e decise di agire d’anticipo, sperando di ottenere quelle brillanti vittorie che avevano portato il suo paese all’indipendenza due decenni prima. In quel momento le forze inglesi presenti sui confine erano particolarmente deboli e i boeri potevano sfruttare la loro superiorità locale prima che la Gran Bretagna potesse mettere in campo le sue immense risorse.
La Repubblica del Transvaal e lo Stato d’Orange mobilitarono quasi 40.000 miliziani e inviarono un ultimatum al governo coloniale di ritirare le truppe già arrivate e di bloccare l’invio di ulteriori rinforzi. Questo fu abbastanza per il governo di Chamberlain, che era pronto ad inviare un suo ultimatum ma fu lieto di poter addossare la causa del conflitto alle due repubbliche. Fu meno felice di sapere che questi ultimi avevano invaso la Colonia del Capo.
I boeri, estremamente mobili grazie ai loro cavalli, poterono sorprendere rapidamente le posizioni britanniche e minacciare le comunicazioni della guarnigione di Dundee. Il generale Symons rimase ucciso durante la battaglia e il suo successore, generale Yules, temendo di essere accerchiato iniziò una disastrosa ritirata verso Ladysmith dove si trovavano le forze principali del generale White. Questi decise di sferrare un attacco per bloccare l’avanzata boera ma subì una dura sconfitta e rimase assediato in città, garantendo agli avversari un grande vantaggio strategico – avevano di fatto intrappolato 12.000 soldati britannici in una posizione avanzata e poco difendibile – e politico, perché in caso di resa sarebbe stato uno smacco pesantissimo per il governo di Sua Maestà.
A questo punto, liberi di agire, i boeri mossero a sud e assediarono altre città e guarnigioni isolate, che si difesero come poterono in attesa dei rinforzi dalla madrepatria. Questi giunsero alla guida di Buller, allievo del potente Wolseley, eroe di guerra britannico e vincitore di innumerevoli guerre ai quattro angoli del pianeta. Questi decise di distaccare parte dei suoi 40.000 uomini per difendere i vari settori minacciati dall’avanzata nemica mentre lui, con il nucleo più consistente, voleva spezzare l’assedio di Ladysmith.
Anche qua gli inglesi riprodussero testardamente le loro tattiche usuali, avanzando allo scoperto e attaccando rilievi e trincee protette dagli eccellenti tiratori boeri, subendo dure perdite. Nonostante questo la loro disciplina e il loro numero preponderante portò a delle vittorie locali che scacciarono gli invasori, facendoli arretrare sulle colline in posizioni difensive sempre più solide.
A questo punto il generale britannico Metheun, incoraggiato dai recenti successi, tentò l’ennesimo attacco frontale notturno ma rimediò una prima pesante sconfitta a Magersfontein. I suoi soldati subirono forti perdite e vennero bloccati allo scoperto. Al mattino successivo ripiegarono in rotta abbandonando le posizioni raggiunte. Le cose non andarono meglio al generale Gatacre che il giorno prima aveva subito una disfatta a Stormberg, dove i suoi uomini erano stati sorpresi allo scoperto dai commando boeri e messi in rotta.
Sempre nella stessa seconda settimana del dicembre 1899, che divenne nota come la Black Week o Settimana Nera, vi fu una netta terza sconfitta britannica sul fronte del Natal. Lo stesso generale in capo Buller, che aveva saputo delle sconfitte dei suoi subordinati, per salvare la faccia aveva deciso di attaccare battaglia a Colenso, rimediando un’ennesima pesante sconfitta nonostante disponesse di quasi 17.000 uomini contro 4.500 boeri.
Le disastrose notizie delle ripetute sconfitte della cosiddetta Settimana Nera e soprattutto della grave disfatta del generale Buller a Colenso suscitarono grande emozione nell’opinione pubblica britannica e provocarono la reazione rabbiosa dell’orgoglio imperiale. Vennero quindi mobilitate, organizzate e trasferite in Sud Africa grandi quantità di soldati e armamenti di rinforzo. In un’atmosfera di coesione nazionale, la Regina Vittoria mostrò fiducia e ottimismo e i capi del partito liberale sostennero il governo conservatore. Anche i dominions bianchi di Australia, Canada e Nuova Zelanda appoggiarono l’impero e inviarono reparti in Sud Africa. Venne soprattutto mobilitato un secondo corpo d’armata regolare e tre nuove divisioni di fanteria, con altri 45.000 soldati, che partirono subito per il teatro di guerra.
Nel frattempo i boeri non erano stati in grado di sfruttare le loro brillanti e inattese vittorie. Le forze sul fronte occidentale erano rimaste ferme sulla linea del Modder, mentre un violento attacco sferrato il 6 gennaio 1900 dalle forze boere del Natal del generale Joubert contro la guarnigione assediata di Ladysmith era stato respinto dai britannici dopo una serie di drammatici combattimenti notturni.
Terminò invece con una nuova pesante sconfitta il secondo tentativo del generale Buller di superare le difese boere guidate dal generale Botha sul fiume Tugela e sbloccare la guarnigione britannica di Ladysmith che si trovava in situazione sempre più precaria. Buller, una volta ricevuta una nuova forza fresca appena sbarcata in Sud Africa orchestrò un audace ma avventato tentativo di sloggiare i boeri, rimediando l’ennesima batosta nella battaglia dello Spion Kop, dove tra morti e feriti ci rimise altri 1.500 uomini.
Le cose iniziarono a cambiare con l’arrivo del Feldmaresciallo Roberts che, una volta riorganizzate le truppe, i rifornimenti e le vie di comunicazione, mosse verso nord con 40.000 uomini tra cui cavalleria scelta, fanteria montata, irregolari a cavallo e 100 cannoni.
Fu l’aumento nel numero dei cavalleggeri a cambiare le sorti del conflitto, perché non permise più ai boeri di compiere le loro audaci e sanguinose imboscate. Ora ogni reparto di fanteria era protetto da uno schermo di esploratori e schermagliatori a cavallo che combattevano allo stesso livello dei miliziani boeri, mentre un’intera divisione di cavalleria armata di lance e spade era capace di travolgerli con le sue terrificanti cariche.
In questo modo Roberts liberò Kimberly e bloccò 5.000 boeri a Paardeberg, dove questi si trincerarono in attesa dello scontro, dando il tempo alle preponderanti forze del Feldmaresciallo di concentrarsi e lanciarsi all’attacco. Dopo duri e sanguinosi scontri Roberts decise di salvaguardare i suoi fanti e lasciare la cosa all’artiglieria che in pochi giorni costrinse alla resa i sopravvissuti e garantì ai britannici la prima, schiacciante vittoria.
Anche Buller, nonostante le numerose sconfitte, alla fine riuscì a spezzare le linee difensive sul fiume Tugela, liberando Ladysmith. A questo punto i britannici avevano guadagnato finalmente l’iniziativa e invasero le due repubbliche. A difesa di Bloemfontein, capitale dello Stato Libero d’Orange, si disposero circa 6.000 combattenti galvanizzati dalla presenza dei presidenti delle due repubbliche, Paul Kruger e Martinus Steyn, ma la superiorità dell’armata di Robetrs era schiacciante, la resistenza fu spezzata e la città cadde.
Nel frattempo la dirigenza boera si era riunita il 17 marzo 1900 a Kroonstad per prendere nuove decisioni. La riunione ebbe grande importanza e rinsaldò la coesione e la determinazione dei coloni olandesi. Venne deciso di continuare la guerra e di prendere una serie di iniziative diplomatiche e propagandistiche per ricercare l’aiuto concreto delle Grandi Potenze contro l’Impero Britannico, descritto come una potenza aggressiva che mirava a distruggere il volk boero. Questo tentativo, per quando riscontrasse molte simpatie, non approdò a nessun aiuto concreto se non all’arrivo di alcune migliaia di volontari.
A livello militare i boeri decisero di abbandonare gli scontri campali e riprendere con le incursioni atte a rendere difficili i collegamenti e i rifornimenti delle decine di migliaia di soldati imperiali sparsi nell’immenso territorio sudafricano. Questa nuova strategia di pura guerriglia portò ad una serie di piccole sconfitte locali ma Roberts era ormai pronto al secondo colpo di mano, la marcia su Pretoria, capitale del Transvaal. Nel maggio 1900 43.000 soldati avanzarono rapidamente senza incontrare resistenza e il 5 giugno la città cadde e il governo boero dovette darsi alla macchia.
Nonostante la caduta di entrambe le capitali le forze boere erano intatte e decise a proseguire la guerra mordi e fuggi, nella speranza di logorare la volontà e le risorse dei nemici, troppo potenti sul campo. Gli immensi spazi e la simpatia della popolazione permisero a migliaia di boeri in armi di proseguire la lotta, diventando un vero incubo per le forze di occupazione, che per quanti ne sconfiggessero o catturassero vedevano spuntare sempre nuovi nemici in una parte o in un’altra dei due paesi sconfitti.
Dopo una serie di operazioni per riaprire i collegamenti ferroviari tra il Natal e il Transvaal, la forza campale del generale Buller e l’armata principale del feldmaresciallo Roberts si congiunsero e condussero insieme in agosto l’ultima fase della campagna, dove sconfissero le truppe boere del generale Botha nella battaglia di Bergendal. I resti dell’esercito, duramente battuti e demoralizzati, si dispersero nel veld e il presidente Kruger si mise in salvo passando nel Mozambico e quindi recandosi in esilio in Europa.
Il 25 ottobre 1900 il comandante in capo proclamò ufficialmente l’annessione del Transvaal e a novembre comunicò a Londra che riteneva la sua missione conclusa e che quindi era disponibile a cedere il comando sul posto al generale Kitchener e tornare in patria. In realtà almeno 30.000 combattenti boeri erano ancora attivi nello Stato Libero dell’Orange e nel Transvaal occidentale e soprattutto, nonostante le prime misure repressive adottate dai britannici con distruzioni ed incendi di fattorie, la resistenza boera non si era esaurita e i capi principali erano sfuggiti alla morte o alla cattura.
I commandos boeri avevano ripreso con crescente efficacia le incursioni locali e avevano progressivamente esteso il territorio sotto il loro controllo. Il gruppo dirigente dei boeri era ora composto da uomini più giovani e intransigenti rispetto al passato, decisi a proseguire con la massima energia la guerriglia anche a scapito di provocare rappresaglie contro la loro stessa popolazione.
Nel 1901 il generale Kitchener, che aveva sostituito Roberts nel governo militare della Colonia del Capo, decise di iniziare una nuova strategia più aggressiva per accelerare la fine del conflitto utilizzando metodi sempre più duri. Il nuovo programma si fondava sull’organizzazione di sistematiche battute sul territorio da parte di colonne mobili per ricercare e distruggere i gruppi boeri attivi, e sul rastrellamento, la deportazione e lo sgombero di donne, bambini e bestiame allo scopo di isolare i nemici e privarli delle risorse necessarie a prolungare la resistenza. Il generale Kitchener prevedeva di ammassare i civili boeri, evacuati a forza dalle loro abitazioni, in cosiddetti lager, veri e propri campi di concentramento mediocremente vettovagliati ed organizzati dove ben presto si sarebbero diffuse la denutrizione e le malattie. La tragedia dei campi di concentramento può essere descritta attraverso il conto pagato dai detenuti, con quasi 30.000 tra donne e bambini che persero la vita.
La guerra si stava progressivamente trasformando e inasprendo. Non si combattevano più grandi battaglie e non c’erano più fronti precisi, mentre il comandante in capo ribadì che le uniche alternative per terminare la guerra rapidamente erano costituite da misure sempre più dure come la confisca delle proprietà dei boeri in armi o addirittura la deportazione oltremare di tutti i boeri resistenti, comprese famigliari e servi, oppure intavolare trattative per ricercare una pace di compromesso.
Alla fine fu un mix di tutti questi fattori, oltre all’impiego di 250.000 effettivi provenienti da tutto l’impero, a costringere degli esausti e sempre più braccati boeri alla resa nel 1902. La tattica distruttiva e dimentica di spirito umanitario di Kitchener spezzò il morale e le linee di rifornimento dei guerriglieri, che accettarono di diventare parte del Regno Unito all’interno della colonia sudafricana.
La guerra boera cambiò per sempre il panorama politico del Sudafrica. I britannici ottennero il controllo delle più grandi miniere d’oro del pianeta, prolungando la loro ricchezza e potenza imperiale fino al primo conflitto mondiale, che fece iniziare il loro lento declino. I boeri tennero covato il loro risentimento, spirito che esplose quando il paese tornò pian piano nelle loro mani dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’espulsione dal Commonwealth nel 1961 a causa delle loro politiche di apartheid.
Alberto Massaiu
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