La guerra con la Prussia giunse solo in parte inaspettata. Napoleone aveva fiutato che qualcosa non andava fin dai mesi di Novembre e Dicembre del 1804, specialmente quando si era visto trattare come un parvenu dall’ambasciatore prussiano Christian von Haugwitz spalleggiato da quello russo Andrej von Budberg. L’imperatore aveva il sentore che il loro atteggiamento fosse incoraggiato da lord Yarmouth, plenipotenziario britannico alla conferenza di pace. Uno dei nodi della questione risultava l’Hannover. Stato tedesco appartenuto alla dinastia che ora regnava in Gran Bretagna ma ambito dalla Prussia, era stato però occupato come mezzo di pressione dalle legioni romane.
La più fiera avversaria di Napoleone era però la königin Louise di Mecklenburg-Strelitz, che soffiava sulle braci della linea dura contro Costantinopoli. Emblematico fu quanto accadde ad un ballo nel grande palazzo dell’ormai defunto Friedrich II di Sans Souci, quando esclamò che l’Europa intera doveva rimettere al suo posto quel: “Rifiuto dell’inferno”. La fiera moglie del sovrano di Prussia era l’indiscusso capo del cosiddetto “Partito della Guerra”, composto dal prinz Ludwig Ferdinand e da alti membri della corte e dell’esercito quali Karl Ludwig von Phull, Gerhard von Scharnhorst e Gebhard von Blücher.
Questi contavano nel mito dell’invincibilità e dell’efficienza creato dalle campagne di Friedrich II, che alcuni decenni prima era stato però un alleato dei romani. Il problema era che, vittime proprio di questa sicurezza, le forze armate del paese non erano state riammodernate seguendo le innovazioni tattiche e strategiche introdotte da Napoleone. Ancora, l’ala dei falchi di Berlino aveva chiaro solo l’obiettivo di dichiarare guerra a Costantinopoli, ma si divideva poi sui piani operativi da adottare una volta compiuto il passo fatale.
L’imperatore romano, invece, aveva passato i mesi primaverili del 1805 pianificando un’invasione della Prussia, una anfibia della Gran Bretagna e una balcanico-ucraina in caso di conflitto con ognuno dei suoi possibili nemici. Aveva inoltre aumentato il numero delle legioni, raggiungendo l’astronomica cifra di un milione di uomini divisi in oltre 60 unità distribuite su tutto l’arco dei confini che andavano dall’Atlantico al Mar Rosso, dalla Crimea alle sabbie del Sahara, senza contare i distaccamenti nelle colonie, che facevano lievitare la cifra di almeno altre 100.000 unità tra legionari e marinai. Nei piani di Napoleone la Germania intera sarebbe stata invasa da circa 150.000 soldati romani spalleggiati, se necessario, da 100.000 francesi messi a disposizione dai suoi alleati di Parigi.
I prussiani potevano contare su circa 200.000 uomini molto disciplinati e superbamente addestrati, ma il problema risiedeva proprio nell’ottica arretrata con cui i suoi comandanti avrebbero gestito le operazioni. L’ironia della sorte fu che tutto lo zelo e la superbia mostrata per far prevalere il desiderio di guerra non fu seguito dalla stessa determinazione ed impeto una volta iniziate le danze. A livello strategico la campagna che seguì fu forse la più perfetta condotta dall’imperatore, cosa che lo rese l’indiscusso arbitro della politica del Vecchio Continente per i successivi anni.
Ad ogni modo il casus belli fu generato da un insulto diplomatico seguito da una ritorsione. Il 29 Maggio del 1805, infatti, duecento ufficiali dei reggimenti delle guardie a piedi e a cavallo, capitanati dal comandante del reggimento degli ussari “Königin Louise” si presentarono davanti all’ambasciata romana e si misero platealmente ad affilare le loro sciabole sugli scalini di marmo dell’ingresso, intonando la marcia reale e urlando a gran voce: “Romani, ricordatevi di Teutoburgo!”. Come risposta Napoleone fece mettere un drappo nero su tutte le statue e i busti dedicati a Friedrich II nei territori dell’Impero Romano, ad indicare che considerava il vincolo di lunga amicizia con la Prussia ormai un ricordo. In entrambi i paesi montò una feroce propaganda nazionalista che si riallacciava, a causa delle affermazioni finite su tutti i giornali e i pamphlet d’Europa, alla memoria del tradimento del cherusco Arminius e alla distruzione delle tre legioni di Publius Quintilius Varus accaduto diciotto secoli prima nelle selve della Germania occidentale.
La goccia che fece traboccare il vaso fu l’ultimatum inviato da Berlino e da Londra di evacuare l’Hannover come segno di buona volontà, unito al sequestro di una nave mercantile romana a Dublino, che il governo di lord Grenville – succeduto a Pitt – accusava di aver trasportato armi e denaro per finanziare una rivolta irlandese contro il governo di Sua Maestà britannica. Napoleone, furioso, espulse gli ambasciatori di entrambi i paesi sia da Roma che da Costantinopoli, e si diresse a tutta velocità con l’intera sua Guardia Imperiale verso l’Alsazia e la Lorena, dove aveva concordato di far stazionare le truppe nel territorio dell’alleato francese. La guerra, conclusasi appena pochi mesi prima, ricominciava.
Napoleone aveva all’epoca 36 anni, ed era nel pieno delle sue facoltà fisiche e mentali. Davanti a lui i suoi avversari erano un gruppo di comandanti spesso in conflitto tra loro e con in media il doppio dei suoi anni. Karl Wilhelm von Braunschweig aveva infatti 71 anni, il prinz Friedrich Ludwig von Hohenlohe 60, il general Gebhard Blücher 64, il feldmarschall Heinrich von Möllendorf 81.
I loro piani mutavano da uno molto prudente in cui andava creata una linea difensiva da tenere sulla linea Pomerania-Brandeburgo-Sassonia-Slesia, aspettando quindi che le forze romane allungassero le loro linee di rifornimento e diminuissero di numero per presidiare le terre occupate, ad una decisa invasione dell’Hannover prima e della Francia poi, rimettendo sul trono un governo reazionario e portando magari anche Austria e Russia in guerra, per rimettere a suo posto le ambizioni romane. Alla fine fu adottata, come sempre accade quando ci sono troppe teste testarde e orgogliose a decidere, una via di mezzo che prevedeva di invadere l’Hannover e compiere una dimostrazione di forza in Germania centrale con quella che venne definita una “Marcia offensiva in forze” sulla regione, senza cercare uno scontro campale.
Napoleone, invece, aveva ben altre idee. Lui voleva raggiungere, circondare e annientare l’intero esercito prussiano, occupare le principali piazzeforti della Nazione avversaria e dettare le sue condizioni di pace seduto sul trono di Friedrich Wilhelm III, a Berlino.
Per farlo aveva progettato un’immensa trappola. In primo luogo le sue truppe avanzarono con rapidità fino al cuore della Germania, occupando tutta la riva destra del Reno e stringendo un patto di non aggressione con la Baviera, per proteggere il fianco meridionale da un’eventuale entrata in guerra austriaca. Questa operazione riuscì perfettamente grazie ad una meticolosa pianificazione e, prima che tutti i reggimenti prussiani fossero radunati in Brandeburgo, persino Lipsia venne occupata dalle armate romane con una marcia lampo.
A questo punto, però, il colpo di genio. Napoleone fece trapelare la notizia che nelle sue retrovie erano scoppiate ribellioni e attacchi di tedeschi nazionalisti, mentre un complotto anti-romano si stava sviluppando a Parigi, minacciandolo alle spalle. Ordini segretissimi vennero consegnati ai generali di più alto grado in cui dovevano dare l’impressione di una precipitosa ritirata verso il confine francese, come se la campagna fosse fallita prima ancora di iniziare. I prussiani, tratti in inganno dal servizio di spionaggio imperiale, abboccarono all’amo. Sospesero l’attacco verso l’Hannover e concentrarono tutte le loro forze, a cui si erano uniti 20.000 sassoni e 10.000 soldati tedeschi di vari principati e città libere del nord, in un attacco diretto che doveva giungere a Francoforte sul Meno attraversando il Passo della Fulda.
Riprendendo a livello strategico il capolavoro tattico compito dal grande Hannibal Barca nel campo di Canne due millenni prima, Napoleone fece avanzare il centro delle forze prussiane sempre più avanti, rallentandoli giusto quanto bastava con azioni di cavalleria e schermagliatori mentre ai fianchi concentrava diverse legioni a nord e a sud.
Solo quando fu certo che tutte le forze nemiche erano ormai passate dai valichi della Fulda chiuse la trappola, facendo fortificare il centro del suo schieramento presso il villaggio di Freiensteinau. Contro i suoi 50.000 uomini andarono ad impattare i 75.000 soldati dell’avanguardia tedesca. Subito i prussiani ordinarono di accelerare l’avanzata dei restanti reggimenti per snidare quella che loro consideravano come la forza principale di Napoleone. Nelle ore successive, in cui il paesino fu quasi raso al suolo dai reciproci colpi di artiglierie e dai furiosi assalti alla baionetta, i prussiani non si accorsero delle legioni che giungevano da tutti i lati per circondarli in una morsa di ferro, piombo e fuoco.
Nel primo pomeriggio le loro esauste forze, scompaginate dagli attacchi alla superba posizione difensiva creata dall’augusto, si videro apparire da ogni angolo truppe fresche che innalzavano aquile dorate in alto nel cielo, al grido di: “Vendicate Teutoburgo!”, rispondendo in tale modo all’affronto compiuto appena tre mesi prima. Era il 30 Agosto del 1805. Al calar della notte dell’intero e orgoglioso esercito tedesco che, sicuro di sé, aveva ingaggiato battaglia quella mattina, non rimanevano che morti, feriti, dispersi o prigionieri.
Napoleone, però, non volle perdere tempo. Aiutato dai francesi, che garantivano la sicurezza delle sue linee di rifornimento in cambio di ampie compensazioni sul Reno, avanzò a marce forzate verso il cuore del potere prussiano. In appena tre giorni i suoi reparti di husarioi e drakonarioi entravano nella capitale nemica, mentre l’intera famiglia reale scappava in Prussia orientale, trasferendosi a Königsberg con i pochi reparti militari rimasti. Le fortezze di Magdeburgo, Stettino e Danzica vennero assediate con i pesanti cannoni che avevano segnato il destino di Brest mentre un imperatore trionfante intimava la resa agli avversari dal loro stesso trono.
La Gran Bretagna, che era scesa in guerra a sua volta sbarcando un contingente in Pomerania e uno nell’Oldenburg, ritirò immediatamente le proprie truppe, limitandosi a portare il blocco agli scali settentrionali di Amburgo e Copenaghen, che si erano dichiarati “amici dei romani” per evitare a loro volta un’occupazione.
Napoleone, però, aveva in mente una strategia anche per loro. Da anni, infatti, intratteneva buoni rapporti con il governo di Washington al di là dell’Atlantico e, proprio in quei mesi, aveva offerto la penisola della Florida romana fino alle foci del Mississippi come contropartita per una guerra su terra e sul mare da condurre contro la colonia britannica del Canada. Thomas Jefferson accettò e aprì un conflitto contro gli inglesi che perdurò, con alti e bassi, per i successivi dieci anni, annichilendo le risorse di entrambi i contendenti e concludendosi alla fine in un nulla di fatto nel 1815. L’imperatore ordinò inoltre ad una flotta romano-francese di muovere nel Mare del Nord, da cui sloggiò la marina avversaria. Horatio Nelson, il miglior ammiraglio nemico, nonostante la sproporzione di numeri seppe tenere a bada le più pesantemente armate navi di linea avversarie, tenendo al sicuro la madrepatria ma non permettendole di muovere i consueti attacchi alle colonie nemiche per mancanza di vascelli, tutti concentrati a difendere lo Stretto della Manica.
Per evitare che si sviluppassero sbarchi nella costa atlantica Napoleone concordò con l’Austria la cessione alla Francia di quello che rimaneva dei Paesi Bassi austriaci in cambio del protettorato di Vienna su Turigia e Sassonia. Approfittando di questo i franco-romani occuparono di abbrivio la quasi indifesa Olanda, rendendola di fatto una succursale di Parigi.
A quel punto, però, lo tzar Alexandr III minacciò di entrare a sua volta in guerra se non fosse stata garantita la sopravvivenza della Prussia e il ristabilimento dello status quo in Europa occidentale. Napoleone non si sentiva ancora pronto per un’operazione in grande stile contro l’orso russo ma al contempo sapeva che neanche quest’ultimo poteva far mutare, da solo, il corso del conflitto e perciò propose una tregua a Friedrich Wilhelm.
La Prussia dovette evacuare tutti i territori al di là del lato sinistro del fiume Elba e in cambio riceveva Amburgo, Lubecca (esclusa la svedese Rostock con l’isola di Rügen) e recuperava la roccaforte di Magdeburgo. Dovette inoltre accettare l’occupazione di tutta la riva sinistra del Reno da parte della Francia, che si allargava nei Paesi Bassi cattolici e protestanti. Nella riva destra del Reno fino all’Elba, escluse Baviera, Turingia e Sassonia assegnate all’arbitrio di Vienna, Napoleone creò un nuovo Stato chiamato Germania Magna con capitale Francoforte, di fatto un altro vassallo di Roma insieme alla Francia.
Un umiliato sovrano di Prussia e la sua ormai silenziosa consorte dovettero infine firmare nel febbraio del 1806.
Questo sanciva di fatto se non ancora di diritto – quest’ultimo passo venne compiuto dopo lunghe trattative e l’occupazione temporanea di Vienna solo nel 1808 – la dissoluzione dell’antico Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, facendo scomparire dalla storia la memoria dell’usurpazione barbarica compiuta dal franco Karl e dal papa Leone III e portata avanti per oltre mille anni dai loro successori. Da quel momento in poi la dignità imperiale degli antichi Cesari tornava completamente nelle mani di Roma e Costantinopoli.
Fu il momento più alto del prestigio del grande augusto, a cui rimaneva solo la Gran Bretagna, ormai sua acerrima nemica, da piegare. Ma la sua più ambiziosa campagna, pianificata per l’estate del 1806, dovette aspettare ancora a causa di Austria e Russia.
Alberto Massaiu
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